… Mi è capitato parecchie volte di incontrare amici o sconoscenti modenesi in giro per il mondo. Tra questi, l’incontro più strano penso sia avvenuto a Koundara, città sperduta nel nord della Guinea Conakry, un paese francofono “blindato” per un ventennio da una feroce dittatura che vi proibiva qualsiasi forma di progresso, compresa la scuola. Quando vi giunsi dalla Guinea Bissau, dopo cinquantadue chilometri di marcia sotto la pioggia in compagnia di Franco Cogliano (titolare del magnifico “Cotex Italia”), il regime dittatoriale era terminato da un anno e i confini aperti solo di recente. A onor del vero, non pensavamo di dover fare tanta strada a piedi, ma quando capimmo che per i contadini dell’entroterra un “kilo” corrispondeva a 2-3 chilometri dei nostri, era ormai troppo tardi.
Giunti in un albergo a bordo di un trattore, con nostro immenso stupore vi trovammo l’amico Nando Rabitti in un mare di guai, era in pessime condizioni di salute ed in evidente stato confusionale: parlava con disinvoltura il dialetto modenese spacciandolo per francese e s’incattiviva quando gli interlocutori non capivano o, come diceva lui, “non seguivano”. Questo suo modo di fare, scatenava spesso l’ilarità tra gli indigeni, che ben tolleravano la genuina singolarità dell’individuo. Agli abitanti di Koundara la nostra presenza in città appariva come un miraggio: non avevano mai visto un bianco e all’improvviso eccone tre, tutti di Modena. Nando, 43enne benzinaio della Bruciata, aveva attraversato il deserto con la sua Guzzi Enduro, ma ad un centinaio di chilometri da Koundara era caduto malamente mentre seguiva un camion, sul quale fu poi caricato sofferente e claudicante. Il giovane colonnello “Comandante di Regione” che viaggiava col mezzo gli guidò la moto, già pregustandone il possesso. Nei giorni che seguirono il suo arrivo a Koundara, l’alto ufficiale riuscì a scucirgli tutti i soldi, la macchina fotografica ed ogni altro gingillo e arnese di qualsiasi valore, rifiutandosi di restituirgli la moto. Inoltre, per completare il quadretto di per sé già drammatico, a Nando era caduta una candela accesa sul letto bruciando materasso, bagagli e mezzo passaporto: Messiè, scusé mua, a me casché la candela e la ciapé tot foog, a se brusé tot…”.
Tornando in albergo col buio, Franco ed io notammo la moto posteggiata sul retro dell’edificio e ne prelevammo immediatamente le chiavi, l’ufficiale ed un altro milite, tremendamente ubriachi, erano tornati per vedere cos’altro scucire al povero Nando, completamente succube e incapace di reagire ai soprusi. In seguito al nostro arrivo i due si dileguarono barcollanti, costretti ad abbandonare la moto: provarono a trascinarla nel prato, imprecando ferocemente, ma il loro equilibrio era troppo precario. L’indomani pagammo i danni causati con l’incendio della camera all’albergatore e prenotammo un posto per Nando sulla Land Rover diretta al confine senegalese di Boundou, sulla via per Tambacounda, mentre noi due avevamo programmato di seguire il fuoristrada in motoguzzi. Nell’attesa riapparve il Comandante, ancora straripante d’alcool, che prese in disparte Nando per convincerlo a consegnarli gli ultimi spiccioli. Questi era talmente intimorito, che cercava perfino di scusarsi perché non aveva più soldi, ma non gli riusciva di opporsi. Era rimasto completamente al verde, neppure una manciata di centesimi sufficienti a mangiare qualcosina lungo il tragitto verso Dakar. Disgustato, mi intromisi dando origine ad una furiosa lite e andai direttamente a denunciare il fatto alla stazione di polizia, convinto, in cuor mio, che non avrei ottenuto granché, essendo certo che in definitiva erano tutti della stessa risma. Invece, appena terminato il verbale, in un lampo vennero allertati il campo della polizia, il giudice, e allestito al volo un tribunale, con tanto di banco per gli imputati e posti a sedere per accusa e testimoni. Il pubblico accorse numeroso per assistere allo spettacolo del processo per direttissima, tanto che fu sospesa la partenza della Land Rover. Una sorprendente efficienza “nordica”, sicuro retaggio dei “tribunali speciali” della passata dittatura.
Probabilmente, erano già al corrente delle malefatte del colonnello; aspettavano solo che qualcuno facesse una denuncia e in effetti, soltanto uno straniero di passaggio poteva esser tanto sconsiderato da mettersi contro ad una Autorità locale. Prelevato e portato a forza nella sala, l’ufficiale tentò invano di negare, ma io gli davo addosso a tutto spiano e Nando, sempre più confuso, si limitava a rispondere alle domande del giudice sempre in dialetto modenese, obbligandomi a complicate traduzioni. Inaspettatamente, si presentò a nostro sostegno l’irreprensibile e temerario titolare dell’hotel, testimone oculare dei misfatti del colonnello.
Dopo un breve consulto in ‘camera di consiglio’, il giudice stabilì la piena colpevolezza dell’imputato macchiatosi di un reato gravissimo: col suo operato criminoso nei confronti di stranieri, aveva messo in cattiva luce la reputazione dell’intera nazione. L’ex comandante venne fatto alzare, degradato all’istante a soldato semplice tramite l’umiliante strappo delle mostrine, obbligato a scusarsi pubblicamente con noi e mandato in giro, con una scorta armata, per cercare di racimolare presso amici e parenti il denaro sottratto a Nando. Dopo un’oretta tornò con un enorme pacco di valuta locale, equivalente alla metà della cifra trafugata, la macchina fotografica ed un fagotto con orologio, coltello svizzero ed altri arnesi di vario tipo. Terminato il tutto, il giudice si scusò tantissimo con noi per l’accaduto, anche se in verità non ci riuscì di provare alcuna soddisfazione per un epilogo tanto sommario quanto inquietante.
Mentre mangiavo nella bettola di fronte alla stazione di polizia, l’ex ufficiale sempre scortato da due guardie col fucile a tracolla, ci passò accanto e si fermò per supplicarci con gli occhi lucidi di intercedere in suo favore presso il giudice e soggiunse accorato: “Messieurs, on va me faire du mal”. Un brivido mi scosse la schiena. Lasciai subito il ristorante e corsi a parlare col giudice, spiegando che noi ci ritenevamo ampiamente soddisfatti e pregandolo di non usare troppo rigore … il magistrato mi rassicurò, ma cosa sia successo in seguito all’ex Comandante non mi è dato di sapere … magari, appena partiti, fu promosso generale.
Il viaggio per uscire dalla Guinea Conakry fu incredibilmente massacrante, tra acquitrini infetti (dove caddi accidentalmente immergendomi fino al collo), attraversati nel buio pesto della notte, profusione di camionette piantate nella melma e visioni degne di malebolge dantesche: persone stremate dalla fatica e dalla miseria, che raccoglievano erba nella speranza di sfamarsi. All’alba del giorno seguente arrivammo al confine col corpo completamente tumefatto, deformato dalla testa ai piedi a causa dell’acqua putrida della palude, e curati in seguito da missionari francesi. A Dakar, tramite l’Ambasciata, organizzammo il rimpatrio di Nando e della sua moto per via aerea. Quando lo incontrai a Modena, davanti a Canepari, che all’epoca aveva le vetrine in angolo con Corso Adriano, mi disse che era pronto a ritentare l’impresa. Parlava con lo stesso buffo linguaggio che usava in Africa.