Massimo stringe i denti. Non lo ribatte. Non può. Perderebbe il cliente. Non vuole perderlo, non con ottantamila euro. Che scenderanno a settantotto mila. Vuoi avere consenso nella vita? Non occorre mettersi in politica. Va a comprarti un’automobile. Potrai dire quello che vuoi, al rivenditore, proprio tutto. Purché alla fine paghi. Magari è per questo che i miliardari spendono. Mica per possedere. No. Solo per avere qualche oretta dove poter dire di tutto e vedersi le persone ai piedi. Un miliardario tirchio, chi ha ai suoi piedi? Nessuno. E’ tutta una volgare prostituzione e in questo momento Massimo a questo pensiero ci si aggrappa. Lasciagli fare il suo schizzetto, dopo finirà.
"Ha presente" – dice Giordani riprendendo il filo del suo predicozzo – "Mettiamo, scena classica, c’è un furgone. Colore nero. Il furgone accosta davanti al negozio di un barbiere. Si apre il portellone e da dentro uomini armati con fucili e mitragliette sparano a volontà. Un minuto in tutto. Forse due. Poi il portellone si richiude e il furgone sgomma via. Altra scena. Una macchina, una qualsiasi, una centoventisette o una centotrentadue, anche di quelle vecchie, piccole, ormai fuori commercio, si ferma davanti a un bar. Dentro c’è il bersaglio. Si abbassano i finestrini, magari anche fumé, e spuntano fuori le canne dei fucili. Fuoco a volontà. Un minuto, due minuti, tre al massimo. Poi via. L’auto riparte. Uomini armati, con cannoni a mano. Stipati in un furgone. Con calzamaglie. Maschere di carnevale. Il furgone arriva, si piazza davanti a una banca. Gli uomini scendono, ed è rapina a mano armata. E ancora. Una macchina bianca, pulitissima, accosta al marciapiede. C’è una bambina che cammina. Con lo zainetto. I capelli biondi. Vestita con un completo di jeans. Sta tornando da scuola. Sta percorrendo l’ultimo tratto di strada prima di arrivare a casa. E’ dietro l’angolo. La portiera dell’auto bianca si apre. Inghiotte la bambina. La bambina scompare”.
Il signor Giordani resta in silenzio. Rimane il ronzio del motore spinto a non più di cinquanta chilometri orari. Sono stati fermi a un semaforo, davanti al bar che hanno superato solo qualche momento prima. Viguzzolo è un deserto. Però il semaforo sembrava non voler più passare da rosso a verde. Massimo non ne poteva più. Il sorriso sulla sua faccia via via che passano i minuti in macchina col signor Giordani si accorcia. Magari, si dice, una volta tornati passerà la palla a qualche altro collega. O forse no. Clienti strani, dopotutto, ne ha avuti, in questi dieci anni. Ma questo gli comunica qualcosa di orribile dentro. Ogni volta che lo sente parlare gli prende la sensazione di meduse che gli si mettono ad agitare sotto la pelle. Sì, gli sembra che questo renda l’idea.
Giordani riprende a parlare. E lo tira in ballo. “Mi dica, Massimo, questi episodi, esecrabili, non crede si potrebbero evitare con le carrozzerie trasparenti?”. Si aspetta anche una risposta. Massimo muove la bocca. Ma è la lingua. Sembra incollata. Non riesce a dire nulla. “Eh?” incalza Giordani. “Sì sì. E’ vero” dice Massimo. “Altro scenario. Due ragazzi. Giovani. Sono nella loro macchinetta. Sono in atteggiamenti intimi. Il ragazzo sfila la maglia alla ragazza. La ragazza è bionda, ha gli occhi azzurri. Il nasino alla francese. Il ragazzo è uno sportivo. Gioca a tennis, pallanuoto. E’ un tipo atletico. Ha presente, no? Anche qui, scena classica. Il ragazzo e la ragazza abbassano i sedili. La ragazza monta cavalcioni sul ragazzo. E’ nuda. I seni le ballano sul petto. Sono illuminati dal chiaro di luna. Pallidi. I ragazzi sentono un rumore, sospetto. Un uomo con un uncino al posto di una mano colpisce il finestrino dell’automobile. La ragazza strilla. Strilla. I vetri vanno in frantumi. La ragazza strilla. Fino a quando l’uncino non le mozza la testa con un colpo”.
Silenzio. A Massimo sembra che adesso le gocce di sudore sulla sua fronte scendano più velocemente. Il signor Giordani ride, da solo. E’ una risata nasale, calda, gradevole. E’ molto soft. Ride e guarda in avanti, con le sue palpebre gonfie, mollicce. “Se le carrozzerie fossero trasparenti, niente più rapimenti, rapine, sequestri” dice poi. “Sì” dice Massimo. “Niente più coppiette che fanno l’amore in zone immerse nell’oscurità. Non ci sarebbero più pirati della strada. Nessuno investirebbe volontariamente i pedoni. Non le pare? D’accordo, forse ci sarebbe meno, uh, privacy, ma io non ci credo più nella privacy, quella non l’abbiamo più ormai. E’ finita, è da mettere nel dimenticatoio. Ma naturalmente no. Questo non si fa. Perché torniamo al discorso dell’acqua al posto della benzina. O dell’energia eolica. O di quella solare. E se per caso ci proviamo col nucleare, ecco che fanno esplodere una centrale, causano migliaia di morti, orrori, catastrofi, e così il nucleare, ossia risparmio, ossia possibilità di sviluppo, possibilità di benessere, è spacciato. C’è qualcuno, e io ho cinquantasette anni e queste cose le voglio dire, c’è qualcuno che le vuole queste cose. Vuole il caos”.
Massimo rimane in silenzio. Magari il signor Giordani avrà anche le sue ragioni, ma quando non lo mette a disagio, lo annoia. Massimo pensa a Barbara. Fa sempre così, quando è annoiato di qualcosa. Vorrebbe stare con Barbara. Pensa alla linea del suo naso, un po’ a punta. Agli zigomi scolpiti. Barbara ha grossi riccioli biondi, ossigenati. Sembra che la sua testa sia ornata naturalmente di catene e bracciali. Inconsapevolmente Massimo scrolla le spalle. Giordani non scorge nulla. “Mi dica, Massimo, lei è sposato? Ha figli?” “Ho una ragazza. Conviviamo. Prima o poi faremo un figlio”. “Ha una casa, sì. Una vita che funziona…”.
Massimo non risponde. Come si fa rispondere a una domanda come questa? Come si fa a rispondere “Sì, la mia vita funziona” quando basta accendere la televisione per vedere centinaia di persone con denaro, donne, consenso, successo come mai si potrebbe ottenere nella propria vita? E come si fa a rispondere “No, la mia vita non funziona” quando basta fare un giro per strada e ci sono persone stese su panni e vestite di stracci, totalmente cenciose, e poi le immagini dei bambini denutriti sui bicchieri dove mettere il resto del cappuccino e della brioche al bar o del pacchetto di sigarette? Non si può, certo che no, rispondere a una domanda come questa. Massimo vorrebbe tanto il cellulare. Oppure una sigaretta. Soprattutto si odia per non essere in grado di interrompere l’uomo, parlargli del motore o dei pneumatici. Schiacciare qualche tastino del navigatore satellitare incorporato, fargli vedere altri giocattoli. Tanto non ha importanza, ormai sono quasi arrivati. Deve sopportare ancora per poco. Ancora cinquecento metri. Però c’è la fila, a quell’ora. La maledetta fila. Magari proprio a duecento metri dalla concessionaria. Ma, pensa Massimo, se quello continua, lui scenderà e ci andrà a piedi fino alla Concessionaria, e buona notte. Fanculo.
“Una vita che funziona, eh? Sa, Massimo, cosa penso?” Massimo sta in silenzio. Anzi, manda un colpo di tosse. E’ abbastanza, come segno di disapprovazione? No, perché il signor Giordani torna a parlare. Non se li fila proprio i suoi segni di disapprovazione. Quello vuole solo riempirlo delle sue opinioni. “Penso che siamo spiati. Non so bene come. Ma lo siamo. Magari con telecamere nascoste nei televisori. Forse con sistemi di sorveglianza nelle case, ma non si vedono, per anni e anni. O forse, i nostri vicini di casa. Ci puntano un microfono, di quelli potenti, dall’altra parte del muro, e captano tutto quello che diciamo. Sa, Massimo, lo sa cosa penso?” Il signor Giordani ha un tono di voce normale. Quasi suadente. Un po’ raffreddato, e questo lo rende anche più caldo, sensuale. Guarda la strada, mentre parla. Quel suo modo è così stridente con quello che va dicendo… Massimo non risponde.
“Penso che dobbiamo proprio essere degli stupidi se pensiamo che quei marchingegni della Nasa, quelli che servono, secondo loro, per captare segnali di forme di vita extraterrestre…”. Oh, no. Anche gli extraterrestri, adesso. “… siano lì per quello. No. Quei microfoni, quei rilevatori, non sono puntati verso la spazio. Sono puntati verso di noi. Coprono tutta quanta la superficie terrestre, convogliano tutte le voci del mondo dentro un registratore, e un macchinario specializzato può separare voce da voce, e sentire me e sentire lei e sentire un cinese e sentire un peruviano a Cahuachi”
La BMW è in fila. Davanti c’è una Rover. Vecchia. Polverosa. Color verde scuro. La marmitta è mezza andata. Massimo giudica che sia un modello del ’94. O giù di lì. C’è una fila di adesivi sul lunotto posteriore. A trecento metri la concessionaria. Massimo può vedere l’insegna, bianca con le scritte nere e una banda rossa. Dietro il cielo arancione, sfilacci di nuvole biancoazzurre. Un bel tramonto. “Ah, Massimo, le racconto questa. Però voglio finirlo il discorso che ho cominciato. Nondimeno, per non essere troppo monotono, le racconto intanto quest’altra. E’ breve. Ma divertente, ed è successa. A un mio amico. Aveva la chiave dell’auto con il dispositivo per chiudere e aprire a distanza le portiere. Lo usava come tutti per cercare l’auto quando non ricordava dove l’avesse parcheggiata. Ebbene, questo dispositivo gli funzionava, a meraviglia, forse troppo, riusciva ad aprirgli le portiere dell’auto anche a cinquanta metri di distanza. No, sul serio. Così, una volta ha attivato il dispositivo schiacciando il tastino nella chiave, ha visto le luci lampeggiare, era sera, e poi ha visto un’ombra aprire la portiera della sua automobile, ficcarcisi dentro e dopo uno o due minuti mettere in moto e partire. E lui che stava correndo, cinquanta, quaranta, trenta metri, non è riuscito a raggiungere l’auto per tempo e se l’è vista rubare sotto gli occhi”
Giordani ride, ma compostamente. Massimo, pur riconoscendo delle qualità alla storia, non ci riesce. Rimane in silenzio, anche piuttosto inchiodato al sedile della BMW. “Quello che non capisco – prosegue subito il signor Giordani – o meglio, lo capisco, ma quando dico che non lo capisco è solo per introdurre un concetto che chiunque è in grado di capire, oh sì, mi creda, chiunque; ma, le dicevo, quello che non capisco, Massimo, è perché oggi che disponiamo di queste videocamere, e dei microfoni, perché, oggi, le impieghiamo per spiare me o lei o quel peruviano che le dicevo prima. Perché non metterle nelle fabbriche, nei luoghi dove si allevano mucche, nei centri di produzione di derrate alimentari, perché non metterle lì, nelle aziende chimiche, o nei laboratori, anziché metterle, a nostra insaputa, nelle nostre case? Anche dichiarandolo. Anche facendolo sapere ai dipendenti. Non è necessario essere punitivi. Oh, no. Spiare per scoprire chi sei, chi alberga dietro la tua maschera sociale. E chi se ne importa di questo? Che utilità ha? No. No no. Lo devi sapere che sei spiato, e come. Così magari a certe cose non pensi nemmeno”. La BMW va ancora avanti. Va avanti poco poco. Massimo è improvvisamente colpito dalla certezza che il signor Giordani non ha alcuna intenzione di acquistare l’automobile. Non spenderà ottantamila euro. Quest’oggi non è venuto qui per questo. Rientreranno alla concessionaria e Giordani troverà una scusa. Andrà via e lo lascerà bocca asciutta.
Testo tratto dal numero 69 del trimestrale Atelier, diretto da Andrea Temporelli e dalla rivista Letteratura Horror.