Sebbene la politica, la storia, le contraddizioni del Potere siano sempre stati argomenti di cui ho preferito non occuparmi, oggi, nel panorama desertico di personalità del mondo globalizzato moderno, l’amore per l’animo russo che ha accompagnato gli anni della mia formazione classica, non poteva non destare curiosità verso quell’uomo politico contemporaneo che per il popolo russo ha meritato la nomea di “zar”. Secondo lo scrittore siberiano Nicolai Lilin, autore della Biografia Putin. L’ultimo Zar. Da San Pietroburgo all’Ucraina (Piemme, 2022), «Putin è santificato da milioni che vedono in lui il messia sceso in terra con il compito di portare rimedio ai mali del mondo, mentre altri milioni lo detestano e lo temono come se fosse un tizzone d’inferno».
Per chi volesse conoscere il periodo e le circostanze che lo hanno condotto al potere è interessante la visione di questo video pubblicato nel canale Nova Lectio nel 2021 che racconta come dall’anno 2000 in poi la figura di Vladimir Putin sia associata al nuovo volto della Russia dopo il crollo dell'Unione Sovietica avvenuto nel 1991. Boris Eltsin aveva condotto il paese allo sfacelo dal punto di vista economico e sociale, mentre l’ascesa di Putin nel 1999 come Primo Ministro e, nel maggio 2000, come Presidente della Federazione Russa, portò una trasformazione sia nella politica interna (rammentiamo il conflitto con gli oligarchi, i cambiamenti nei rapporti con la Duma e la gestione delle politiche economiche in un mondo che stava diventando sempre più capitalista) che esterna (ricordiamo il conflitto in Cecenia, le relazioni travagliate con l'Occidente, le necessità energetiche e il giudizio feroce dell’Europa verso i metodi "poco ortodossi" del governo di Putin).
Per conoscere l’abilità comunicativa, la preparazione e la personalità del Premier è davvero interessante questo documentario del regista americano Oliver Stone girato nel 2017, una lunghissima intervista di 4 ore rilasciata dal Presidente in luoghi dove nessun giornalista occidentale si era mai sognato di entrare, come la sua dacia, la sala del trono del Cremlino, i suoi enormi uffici e sale riunioni. Vladimir Putin risponde alle domande con diplomazia, con un eloquio permeato da un buon senso dello humour, soffermandosi anche su argomenti personali come la famiglia d’origine, le sue scelte, le sue figlie, mostrandosi in situazioni così confidenziali da spiazzare lo spettatore. Dalla conversazione emerge sempre l’importanza che ha rivestito nella sua esistenza lo sport, l’equilibrio che il judo ha condotto in ogni aspetto della sua esistenza e le strategie apprese nella lotta da adottare con l’avversario sportivo, ma anche con quello politico. Le domande di Stone sono davvero stimolanti e a volte provocatorie, ma tutte le risposte di Putin sono pervase da una grande calma e da un’immensa capacità di autocontrollo.
Prima di considerare comunque il Presidente Putin un demone o un santo, bisognerebbe prendersi il tempo di ascoltarlo, di sentire i suoi innumerevoli discorsi e anche la recente intervista del giornalista americano Tucker Carlson del 2024, così criticata dai media del mainstream da suggerire al cittadino curioso e dubbioso di farsi un’idea diretta sul personaggio attraverso la visione e l’ascolto. Putin appare disinvolto, sottile, sagace, profondo conoscitore dei periodi storici e dell’animo del popolo russo, informato sui fatti ed abile nelle risposte.
Ma veniamo al libro di Nicolai Lilin, autore di romanzi di avventura e formazione, che decide di cimentarsi nella scrittura di una Biografia del Presidente Putin e lo fa non per cantare le lodi dello Statista e nemmeno per farne «un appiccicoso e nauseante groviglio di dicerie e pettegolezzi», bensì per «scoprire e narrare la natura dell’animo umano, la sua capacità di modulare la realtà circostante e di conseguenza automodificarsi, durante il suo straordinario e allo stesso tempo tragicomico percorso esistenziale».
Si tratta di una storia «appassionante e controversa, con colpi di scena che superano di gran lunga qualsiasi bestseller…».
È una vicenda inoltre connessa al «paese più vasto del mondo, dove l’intera dinastia regnante è stata affogata nel sangue e che per settant’anni è stato poi dominato dalla rigida dottrina comunista bolscevica…».
Putin è figlio di questa suggestiva ed intricata avventura, «piena di intriganti contraddizioni, pagine buie e luminose».
Vladimir è nato a Leningrado il 7 ottobre 1952 nel vicolo Baskov da una famiglia di “lavoratori”: il padre era un fabbro impiegato alla catena di montaggio di una fabbrica di vagoni ferroviari, mentre la madre era la custode del condominio dove abitavano. I suoi bisnonni erano addirittura servi della gleba, di famiglia quindi molto umile.
Il nonno paterno di Vladimir si chiamava Spiridon e aveva fatto fortuna recandosi in città per fare il cuoco, apprezzato addirittura da Rasputin. Durante la Grande Guerra, impressionato dalle condizioni disumane della vita in trincea, si avvicinò all’ideologia comunista e diffuse clandestinamente manifesti di propaganda tra le truppe rischiando la fucilazione. Dopo la guerra divenne il cuoco di Lenin e successivamente di Stalin e infine della casa di riposo del comitato cittadino del Partito Comunista di Mosca, immersa nei boschi. Spesso il piccolo Vladimir lo andava a trovare e lì imparava a giocare a scacchi, una passione che gli resterà per tutta la vita e che gli consentirà di affinare le sue doti di attacco e di difesa. Un altro personaggio importante nella vita del piccolo fu la zia Anna che raccontava spesso la sua esperienza di deportata in un campo di concentramento in Lettonia facendo conoscere al futuro Presidente l’orrore dei campi di sterminio nazisti.
Vladimir era il terzo figlio, ma gli altri due morirono presto e lui non li conobbe, anzi quando lui nacque il padre era rimasto invalido dalla guerra e la madre era debole e stanca, inoltre abitavano in quelle case dette “pozzi” perché dal cortile interno sembrava di trovarsi proprio in fondo a un pozzo: le case erano infatti così vicine che gli inquilini potevano stringersi la mano, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza, di gruppo, di comunità. Questo però era anche l’ambiente ideale per la criminalità organizzata: insomma Putin era nato e vissuto tra i ragazzi di strada, tanto che spesso spiega la logica di quel mondo criminale dove «Bisogna picchiare per primi» perché non è prudente aspettare l’avversario. Insomma egli si è fatto strada «con i denti, i pugni e i gomiti, passando sulle teste e calpestando senza pietà gli avversari sconfitti, rispettando negli altri la forza e la lealtà, disprezzando la debolezza e il tradimento, come può fare solo chi ha imparato egregiamente gli insegnamenti che offre la strada». Non che fosse un bullo, ma pensava e agiva con la cultura improntata alla necessità di sopravvivere in un ambiente violento e spesso ingiusto. Vladimir imparò presto a «sopravvivere in un mondo dove per ogni cosa, anche per il semplice diritto di parola, era necessario sapersi trasformare nella bestia».
Putin crebbe nella strada, ma capì presto che questo non era sufficiente per essere leader, allora si impegnò a scuola allo scopo di imparare il più possibile e poi intraprese la strada dello sport, prima col pugilato, poi con il “sambo” che in russo significa “difesa senz’armi”, infine con il judo. E fu il suo allenatore ad allontanarlo definitivamente dalle cattive compagnie. Mi piace quello che scrive lo stesso Putin su questa disciplina: «Il judo non è solo sport: è filosofia. Nel judo non esistono i deboli, tutti vengono rispettati, soprattutto gli avversari e le persone più anziane. E tutto, dai rituali fino alle più piccole circostanze, contiene un momento educativo. Sul tatami dovete salutare l’avversario con un inchino, non c’è spazio per i bassi sentimenti. Ancora oggi sono amico delle persone con cui mi allenavo».
E proprio lo sport lo ha temprato sopra ogni altra cosa, gli ha dato disciplina, forza, consapevolezza. Putin combatteva come una tigre, senza lasciare scampo all’avversario, impegnandosi fino all’ultimo secondo. Poi quando finiva la lotta, ridiventava educato e gentile: insomma era maestro nel trasformarsi in guerriero per poi tornare serenamente ad essere un filosofo.
Chi di noi ce l’avrebbe fatta? Pochi, pochissimi, tra quelli dotati di coraggio e di buona volontà.
E il giovane Vladimir era coraggioso e aveva una volontà di ferro.
Si iscrisse in una scuola specializzata in chimica e studiò il tedesco, ma voleva fare qualcosa di eroico nell’Aviazione o nella Marina. Il caso volle che si imbattesse, invece, in un libro che cambiò la sua direzione: Lo scudo e la spada di Vadim Kojevnikov che racconta la storia di una spia sovietica infiltrata nella Germania nazista. Era una cosa difficilissima, ma il giovane si presentò al KGB dove gli dissero che bisognava compiere studi universitari per poter essere una spia. E lui terminò la scuola di chimica e poi superò brillantemente gli esami di ammissione in Giurisprudenza. Era al quarto anno quando una persona lo contattò e lo scelse perché era già formato, serio e sapeva quel che voleva. Non si sforzava di piacere, era sincero, energico, agile e coraggioso. E sapeva trovare il punto di incontro con ogni persona, dote indispensabile per un agente del KGB.
Ci volle un anno, ma ce la fece ad essere ammesso tra gli Agenti, insomma, quando il giovane Vladimir voleva una cosa, ci si impegnava con tutto se stesso, questa è sempre stata la sua forza.
In realtà, in quel contesto storico in cui aveva trascorso la sua formazione, Vladimir era un giovane come tanti, cresciuto nel mondo sovietico condividendo le stesse idee degli altri, in quanto tutti sottoposti «ad un programma sociale, economico e politico imposto al paese…». La retorica della propaganda e i leader del Partito infatti «cercavano con ogni mezzo di dimostrare al resto del mondo e alle masse proletarie internazionali, che il sistema sovietico era il migliore di tutti gli altri». Il paese necessitava di cittadini temprati fin dall’infanzia e capaci di grandi sacrifici per la patria, per questo «Una ferrea disciplina era applicata a tutti gli aspetti della vita dei cittadini, a cominciare dagli asili per finire con le case di riposo». Sebbene Putin non fosse altro che il risultato di questo sistema educativo, quindi non straordinario in sé, ma per il sistema sociale in cui era stato educato, era comunque l’emblema della sua generazione: era popolare tra gli anziani nostalgici che avevano contribuito alla creazione di quella società, ma anche tra i coetanei che potevano immedesimarsi in lui perché ne condividevano gli stessi linguaggi e valori, mentre i più giovani lo hanno conosciuto tramite i cantautori più conosciuti tra gli adolescenti che gli hanno dedicato canzoni, hanno fatto selfie con lui che sono diventati virali indossato spesso magliette con il suo volto.
Non voglio raccontare tutta la sua storia, perché leggerla dal libro di Lilin, così ricco di dettagli, pieno di riferimenti storici, culturali, sociali, scritto bene e raccontato come fosse un romanzo, è davvero molto più intrigante. Quindi suggerisco a ogni uomo o donna curiosi, di leggere questo racconto di un uomo nato nel nulla, in mezzo a ragazzi destinati a diventare criminali, colmo della volontà di diventare qualcuno, di essere un eroe, un militare, un individuo speciale, perché si impara sempre dalla caparbietà degli altri. Se si segue il modello, l’esempio, l’eroe può fare scuola, ci può insegnare qualcosa, a non arrendersi, a perseguire l’obbiettivo, a impegnarsi per la trasformazione della propria anima Cenerentola, nella Principessa bella e potentissima che ogni bel principe vuole sposare.
E quest’uomo, comunque, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue luci e le sue ombre, è diventato un emblema per la sua patria, ma anche per il mondo intero, anche se la propaganda contraria quasi sempre lo dipinge come un mostro…