La Moschea Blu di Eravan, capitale dell’Armenia, e Sara Mechitarian possono essere definiti una cosa sola: Sara è l’addetta culturale e custode della moschea ad honorem. Vita intensa e travagliata, trascorsa tra Italia, Germania, Iran e Armenia, dove riveste un incarico di fiducia presso l’Ambasciata iraniana di quel paese. Sulla Mashtoz Avenue, Sara, di fede cattolico-romana, gestisce l’agenzia turistica situata accanto all’ingresso del giardino islamico e passa le giornate a fare da cicerone ai turisti, di ogni fede e nazione, che desiderano visitare questa straordinaria moschea.
Osservandone la collocazione urbana, si percepisce subito la sua movimentata storia. Fu costruita nel 1765 per ordine del governatore Hassan Ali Khan, in un periodo in cui il protettorato iraniano di Eravan contava otto moschee e una popolazione musulmana del 40%. Nel 1828 l’Iran dovette cedere tutti i suoi protettorati alla Russia. La moschea continuò però ad essere frequentata quale luogo sacro dalla popolazione azera (dell’Azerbaijan). Con l’arrivo del comunismo un decreto di Stalin ordinò la distruzione di tutti i luoghi sacri senza riguardo a quale religione appartenessero. I cittadini di Eravan riuscirono a salvare il complesso della Moschea Blu tenendolo nascosto tra i palazzi circostanti e trasformandolo poi in museo, che fu diviso in tre parti: i locali adibiti a museo di storia, le madrasse (scuole religiose) adibite a museo botanico e l’hoseneeyyeh (tipico locale usato nell’Islam sciita per riunioni religiose, qui dedicato all’Imam Hossein) in planetarium. Con l’indipendenza dalla Russia, la repubblica armena e l’Iran firmarono un accordo per restaurare l’intero complesso grazie al capitale devoluto dal Fondo dei Religiosi Iraniani.
Sono giunto qui dall’Italia in camper, assieme a Rosy e alla nostra ancor giovane prole (Clelia 9 anni, Fabio 7 e Giorgio appena 5 mesi), passando per la costa nord del Mar Nero e i paesi caucasici. Nei sei giorni trascorsi ad Eravan siamo stati sovente ospiti di Sara nell’oasi di pace della moschea, l’unica risparmiata dal regime sovietico e l’unica al mondo ad avere tre mehrab: le finestre cieche rivolte verso la Mecca. Solitamente sono due, mentre tre riportano al mistero della Trinità. Qui è notevole la fusione sincretica di dogmi cristiani e musulmani. Personalmente non ho fatto altro che osservare e trascrivere sul taccuino di viaggio il fiume di fatti e nozioni espressi con cristallina passione e in perfetto italiano da Sara, nata nel pittoresco borgo medievale di Subiaco in provincia di Roma. Considero questo incontro una fortunata opportunità per meglio comprendere l’Armenia, terra di fede e di dolore, attraverso la storia e il significato di questo singolare complesso musulmano, gestito da cristiani e aperto ad ogni credo.
Benvenuti alla Moschea Blu di Eravan!
L’intero complesso di 7000 mq non è visibile dalla strada. E’ situato in un cortile completamente circondato, quasi sommerso, da edifici popolari più alti, che nascondono la moschea alle spalle di Mashtoz Avenue, la strada più animata e chiassosa di Eravan. Dalla tasca del gilè nero Sara estrae la chiave del gate privato e ci invita ad entrare nel Giardino Incantato della sua amata moschea. Un gruppo di giovani turiste russe sosta anch’esso davanti alla facciata ricca di scritte persiane e totalmente decorata a mosaico: pietrine marroni, blu, gialle e turchesi che brillano all’ingresso di servizio della moschea. Sara invita anche loro ad entrare. Questa sinfonia di colori è in evidente contrasto con gli austeri edifici dell’architettura armena, dominata da palazzi di tufo rosa antico. Si avverte subito che oltre il portone si entra in un'altra dimensione, dominata da altri parametri.
Dal piccolo atrio coperto da un arco orientale si scende in un vasto cortile, una moltitudine di colombe si alza in volo. E’ meraviglia (come nella poesia di Pascoli). Al centro del cortile si estende un giardino da “mille e una notte”, un tipico eden persiano affiancato ai lati, est e ovest, da una madressa con 28 celle. A sud si trova il Hoseyneeyyeh . Una recinzione composta da 60 antichi cippi in ferro battuto delimita il perimetro del giardino. A cippi alterni è incisa la data, risalente al XIX secolo, e il nome del donatore. Grandi alberi ombreggiano il curatissimo prato. Al centro, su una piattaforma in mattoni, si apre una fontana a forma rettangolare che rinfresca l’aria calda dell’estate armena. Da ogni lato della piattaforma si apre un viale ricamato da aiuole di rose rosse; i viali conducono nelle quattro direzioni formando una croce. Il tronco di un albero secco attira la nostra attenzione: nel legno sono stati incastonati dei mosaici a forma di croce, segno della cristianità armena, unitamente alla stella a otto punte dell’Islam sciita e al nome dell’Imam Alì scritto in arabo. Questo albero è importante in quanto acquista il valore simbolico di due nazioni di cultura e religione diversa, Armenia e Iran, ma di radice comune. Ambedue appartenenti alla grande famiglia dei popoli indogermanici, profondamente uniti dalle vicende della storia come pochi altri. Principi parthei (persiani) divennero grandi re armeni. Esempio fulgente sono il re Tiridate III e il predicatore Gregorio l’Illuminatore, vescovo e santo cristiano, fondatore della chiesa apostolica armena. Entrambi di origine parthea, nell’anno 301 colonizzarono l’Armenia e ne fecero il primo paese cristiano della storia universale, dando così una svolta totale alla cultura di questo popolo.
A sua volta la millenaria presenza armena in Iran è dimostrata dalle molte chiese, alcune delle quali di grande importanza storico-religiosa e architettonica, come la cattedrale di San Thadeus (V sec.) o quella di Vank (XVI sec.) nella città di Esfhan, costruita nel periodo dello Sha Abbas. Queste affinità storiche e culturali tra armeni e iraniani si sono trasmesse fino al presente in una relazione di profondo rispetto reciproco. E in questa atmosfera di storia, religione, cultura, bellezza e profumo, i mattoni della moschea la trasformano in poesia, nella semplice eleganza della sua architettura. Dal centro del giardino s’intravvede, tra il verde degli alberi che ne coprono la vista, il superbo frontespizio interno della moschea in un singolare accostamento di mattoni e tufo armeno. La facciata esterna è invece ornata da rose e fiori rampicanti stilizzati che s’intrecciano sul fondo di ceramica gialla. La parte superiore è ricoperta da versi coranici affiancati dai nomi dei donatori incisi in bianco su maioliche blu. La grande vetrata ad arco islamico e le due porticine laterali lasciano aperta la comunicazione tra l’interno della moschea e il giardino. L’alta cupola in mosaico turchese, con decorazioni in giallo oro, è affiancata da due cupole minori che ne coronano la facciata. Una visione in cui il sole sembra incontrare il blu del mare per fondersi nel verde di questo giardino fatato.
Interno della Moschea Blu
L’interno della moschea consiste di tre locali uniti da due larghi archi islamici. Ai lati, le decorazioni legano i rettangoli dei locali con i circoli delle cupole. La struttura e le misure della cupola maggiore, alla cui base si contano dodici finestrelle, sono molto simili a quelle delle chiese cristiane. La grazia dell’architettura alleggerisce la pesantezza delle spesse mura. Qui balza subito all’occhio una rarità: la presenza di tre mehrab (nicchie in direzione Mecca), una per ogni sala di preghiera. Le tre mehrab in alabastro, una grande nella sala centrale e una più piccola nelle due sale ai lati, rivelano preziose scritture religiose ricche di decorazioni floreali. Sopra a quelle minori è collegata una finestra, mentre in cima a quella maggiore posta nella sala principale ce ne sono tre: una grande e due di misura inferiore, tutte a vetri colorati. Insieme ai tappeti che coprono il pavimento e ai poshti (cuscini turcomanni), la luce colorata dona anch’essa un tocco vivace all’ambiente, in netto contrasto con il bianco delle pareti. Il visitatore più attento noterà presto che in questa moschea il numero tre è ripetuto in molti particolari: tre entrate, tre cupole, tre mehrab, tre finestre. Questa composizione, unica in una moschea - non esistono paragoni - riporta all’influenza cristiana. E’ forse questo il motivo per cui il visitatore, senza riguardo a religione e nazionalità, si sente avvolto dalla profonda pace che emana questo luogo sacro dove il dialogo delle religioni e delle culture è verità vibrante.
La biblioteca, collegata alla moschea, conserva una grande quantità di libri, film in farsi (lingua iraniana) e registrazioni di musica persiana. Tutto a libera disposizione degli studenti che studiano nella madrassa. Su una parete si intravede il modello della moschea in calce. Anche in questo si notano tre porte. Costruire modelli in pietra e fissarli su una parete delle rispettive chiese è una tipica abitudine storica del popolo armeno. Era così possibile, in caso di distruzione, ricostruirle. Dal secondo atrio si contempla il minareto alto 24 metri. Costruito su una base di tufo dalle sembianze di una severa cappella armena, esso s’innalza in una gioiosa fantasia di mosaici. Un parapetto di legno copre il balconcino che attornia la parte alta del minareto. Il fascino di questo incrocio di diverse architetture religiose lo rende interessante e facile da ricordare. Un lungo corridoio porta poi al portale d’accesso principale, quello storico. L’entrata su viale Mashtoz fu aperta nel periodo del restauro. Da qui la facciata esterna si estende in tutta la sua lunghezza e bellezza.
Questa straordinaria moschea non poteva essere meglio collocata che ad Eravan, autentico crocevia culturale, nonché capitale del primo stato cristiano al mondo e l’ultimo rimasto come tale, nel senso più puro del termine. Qui le montagne hanno un profumo mistico e nelle loro antichissime chiese, aggrappate alle pendici dei monti, scavate nelle rocce con una bruna architettura di ombre e luci, si sente vibrare la presenza dell’Assoluto. E sempre da questo paese torturato dalla storia e dalla natura, dove secondo la bibbia l’arca di Noè si fermò ed il circolo della vita ricominciò, alza la Moschea Blu di Eravan il suo messaggio di fratellanza e di pace.
Nota biografica - Sara Mechitarian è nata nel 1947 a Subiaco (il paese di Gina Lollobrigida) da genitori armeni. Ha trascorso l’adolescenza a Roma con la nonna, sopravissuta al genocidio armeno del 1915 in Turchia. All’età di 13 anni si trasferisce a Berlino Ovest per ricongiungersi ai genitori, che dopo dieci anni di carcere in Unione Sovietica per motivi politici, nel 1960 erano riusciti a passare il confine del muro di Berlino clandestinamente. Con il marito, di nazionalità armeno-iraniana, emigra poi a Teheran e infine ad Eravan, capitale dell’Armenia, dove risiede tuttora.