La prima fu ‘Betta’. Poi ci sono state Anna, Alessia, Emma, Gianna, Delia. E come dimenticarsi di Eugenia Praticò e della sua Olio su Mela, sceneggiatura mai scritturata e rimasta nei sogni. E di Uvetta, l’aristocratichetta del centro di Roma, che si accompagna a Michela Trezza, la più competente – come dice lei – nel campo della calzatura e a Tazia de Tiberis, la bulletta dei Parioli. In appena 8 anni di carriera i caratteri umani che ha portato sullo schermo sono stati così tanti che si fa già fatica a ricordarli tutti. E ora è arrivato anche Romeo. Sì, proprio Romeo, quello del mai troppo riverito Shakespeare, appena giunto nelle sale cinematografiche italiane con il film di Giovanni Veronesi Romeo è Giulietta in cui Pilar Fogliati si trasforma non solo in Vittoria, giovane attrice in cerca di una parte, ma anche nel protagonista del famoso e popolare dramma teatrale. «È stato bello mettersi i panni maschili», osserva Pilar, «perché il maschio può essere neutro e quindi più facilmente interpretabile. Il corpo femminile, invece, lancia messaggi incancellabili, non solo sessuali, e non puoi metterlo in folle».
Versatile, polivalente, trasformista, Pilar Fogliati è entrata nelle nostre case attraverso il piccolo schermo, interpretando i personaggi di molte fiction degli ultimi anni, da Cuori e Odio il Natale a Un passo dal cielo e Non dirlo al mio capo. Ma lei è anche e soprattutto la nuova promessa della commedia all’italiana sulla scia dei mitici Alberto Sordi, Monica Vitti, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi e tutti gli altri del grande filone cinematografico del secondo Novecento. Come erede di questa tradizione ha infatti firmato lo scorso anno la regia di Romantiche, in cui interpreta anche le quattro protagoniste. E si è subito portata a casa il Nastro d’Argento come miglior attrice di un film commedia e il Globo d’oro come migliore attrice e migliore commedia. Il regista Giovanni Veronesi, che l’ha scoperta ascoltando per un anno le sue ‘mille voci’ in radio e l’ha voluta come protagonista principale della sua ultima pellicola insieme a Sergio Castellitto e Geppi Cucciari, dice che è «una macchina da guerra», una ‘Rolls-Royce’ che non solo sa recitare e improvvisare, ma anche scrivere. Un sacco brava, potrebbe dire Carlo Verdone, che per Pilar è un faro. Ma anche un sacco simpatica. Esilarante nella sua comicità e disarmante nella sua naturalezza. E anche bella. Un sacco bella.
Pilar, quanto tempo ci hai messo a diventare Romeo?
Mi sono chiesta: se io fossi un ragazzo come sarei? E mi sono immaginata un Romeo impacciato, come se non si sentisse degno dell’amore. A dire la verità mi sono ispirata al mio fratello più piccolo, perché è timido, è come se dicesse sempre: ‘scusate se mi sono preso il permesso di esistere’. Questo mi ha aiutato. È chiaro che non avrei potuto fare un Romeo virile perché dalla voce sarebbero uscite le note femminili…
E per il trucco?
Diventare Romeo aveva bisogno di 4 ore di ‘trasformazione’. Di finto, però, avevo solo il naso e ovviamente la parrucca. Tutto il resto era opera del trucco.
Quale delle molte donne a cui hai prestato il volto ti assomiglia di più?
Forse Gianna, la protagonista di Odio il Natale, una donna di 30 anni che si comporta un po’ come mi comporto io nella vita. Ma certamente le quattro ragazze di Romantiche sono quelle che sento di più perché le ho ‘fatte’ io e vengono da dentro di me. In loro ci sono sentimenti che mi concedo poco. Come essere più spavalda, più faccia da schiaffi, più maleducata o più coraggiosa.
Un modo per superare i propri limiti e riparare alle proprie inibizioni?
Diciamo che è il sogno che vorrei trasformare in realtà. Perché io non sono così coraggiosa e spavalda. Anzi, sono spaventata quando devo prendere decisioni. Invece Eugenia, Michela, Tazia e Uvetta fanno follie.
Allora il cinema racconta bugie?
No, racconta molte più verità che bugie. Ho riflettuto a lungo sul significato di maschera. Ma la maschera, nella sua finzione, in realtà contiene qualcosa di onesto. Anche solo il tipo di maschera che si sceglie indica il nostro esercizio nella ricerca della verità.
Tu fai l’attrice per te stessa o per gli altri?
Quanto più mi allontano da me, tanto più sono contenta. In realtà sono più interessata agli altri che a me. Amo osservare ed è come se avessi sviluppato delle antenne ricettive. Per questo mi piace quando posso mascherarmi.
Dunque per te è più facile interpretare gli altri, piuttosto che te stessa…
Al cento per cento. Fare me stessa è difficile perché per descrivermi dovrei essermi compresa, ma questo non mi è ancora riuscito. O non mi è riuscito abbastanza.
Ma attori si nasce o si diventa?
Si nasce con una propensione di curiosità verso gli altri. Ognuno è una scoperta. È chiaro che in questo qualcosa di innato ci deve essere… A me adesso piacciono molto i film dove ci sono risvolti psicologici. Fino a qualche anno fa parole come inconscio o introspezione erano quasi sconosciute. Oggi invece i film prendono molto in considerazione questo aspetto. Quando io penso a un personaggio, mi piace che sia calato nella sua storia e inserito nella società. Diciamo che questa parte della sceneggiatura che cerca di circoscrivere un carattere per me è la più bella.
Quale è la maggiore difficoltà incontrata fino ad oggi?
Il senso di precarietà. Ce l’ho sempre avuto e voglio continuare ad averlo. Mi va di essere consapevole che questa è una professione precaria e va affrontata con i piedi di piombo.
A cosa rinunceresti per fare l’attrice?
Oddio... mi spaventa dire che farei di tutto per continuare a farla. Certo non rinuncerei alla vita, alla famiglia. Ma non voglio credere che si debba per forza rinunciare a qualcosa.
È vero che se non avessi fatto l’attrice ti saresti iscritta ad Economia?
A 18 anni ho fatto il provino per entrare all’Accademia Silvio D’Amico. Quello che so con certezza è che, se non mi avessero ammesso non avrei più riprovato. Pensavo ad Economia perché non mi va che quando il commercialista mi spiega alcune cose io non ci capisco niente. Anche se non ero bravissima a scuola, sono sempre stata una ragazzina piuttosto pratica e quindi mi guardavo intorno cercando qualcosa che potesse aprirmi tutte le porte. In realtà è finita che le porte io le ho ristrette… e anche parecchio. Però ho avuto fortuna. Se così non fosse stato sicuramente avrei fatto altro.
Cosa è il successo per te?
Non è certamente il divismo. Saprò di avere avuto successo quando avrò il controllo delle scelte. Nel senso di avere la possibilità di decidere liberamente e poter anche dire di no.
Ti piacerebbero parti drammatiche?
Io ho sempre la tendenza ad alleggerire le situazioni, tanto che il regista di Cuori, una serie drammatica per la TV, mi diceva sempre che non voleva vedere i miei denti quando recitavo. E per la verità io mi sono sentita a mio agio nel personaggio di Delia Brunello, brillante cardiologa con grandi difficoltà ad emergere in un ambiente di lavoro degli anni Sessanta dominato dagli uomini.
31 anni: ti senti adulta o ancora ragazzina?
Mi sento ancora una teenager. Potrebbe anche andare bene, purché riuscissi ad essere infantile nelle cose minime e adulta in quelle importanti. Non sempre però è così. Per esempio a volte mi succede di cambiare idea repentinamente: questa è una parte del mio carattere che vorrei migliorare. Certo, è giusto e mi piace riconoscere di avere sbagliato perché questo vuol dire usare la propria testa e pensare, ma forse dovrei riflettere di più e non agire d’impulso.
Qual è il film che preferisci (a parte quelli di Carlo Verdone)?
Forrest Gump, interpretato da Tom Hanks.
E il libro?
La vita intima, di Niccolò Ammaniti. Stupendo.
C’è un eroe nella tua vita?
Sì, Giovanni Veronesi. Per me rappresenta un eroe perché è una persona che non si siede mai e lotta sempre. Con tutta la carriera che ha alle spalle ha avuto ancora voglia di spingersi in un’area che non era proprio la sua e incoraggiarmi a fare Romantiche, di cui ha firmato con me la sceneggiatura. È la persona più generosa che abbia conosciuto. Io voglio essere come lui.
Ci hai fatto divertire imitando i dialetti di alcune zone di Roma. Ma tu che romana sei?
Sono cresciuta in un ambiente borghese, fuori Roma, ma a 18 anni ho conosciuto altre zone della città e gli abitanti di quelle zone, compreso i fighetti del centro. Diciamo che sono una romana contaminata.