Se visitare in lungo e in largo un paese come l’Etiopia, grande quasi quattro volte l’Italia, è impresa difficilmente fattibile nei tempi concessi dalle ferie di un comune lavoratore, non altrettanto impossibile è organizzare una scoperta del più antico stato africano “dal basso all’alto”.
L’Etiopia, una nazione dall’identità così forte da possedere un calendario ed un orario propri, fra le sue peculiarità ne annovera un paio di tipo geografico davvero straordinarie. Possiede infatti (benché in “comproprietà con l’Eritrea e la repubblica di Gibuti) la torrida depressione della Dancalia, ossia una delle regioni più basse del globo e vanta non la più alta ma certamente la più spettacolare catena montuosa dell’intero continente africano: i monti Simien. Viaggiare dai 116 metri sotto il livello del mare della distesa di sale del lago Assale, ai 4549 metri di altitudine del Ras Dashan, la quarta cima più alta dell’Africa, è cosa più che fattibile a patto di avere un fisico in grado di sopportare forti escursioni termiche tra il giorno e la notte e fra zona e zona. Non solo. Nei trasferimenti fra un luogo e l’altro, in un itinerario ad anello che da Addis Abeba porta prima in Dancalia e poi sul Simien per poi ritornare ad Addis, è quasi impossibile lasciarsi sfuggire alcune delle meraviglie storiche del paese, come le chiese rupestri della regione agricola del Tigrai e le chiese ed i monasteri di Lalibela e del lago Tana.
Dicevamo che l’itinerario proposto è un anello che parte ed arriva nella capitale. Benché esso possa essere svolto in entrambi i sensi di marcia, ci sono ragioni di ordine climatico che consigliano di procedere in senso antiorario. Dovendo per forza viaggiare in inverno, il solo periodo in cui la Dancalia è percorribile, è consigliabile sciogliersi nel calore della depressione dancala quando ancora si è freschi di partenza, per poi ritemprarsi e prepararsi al rientro nel gelo europeo andando a camminare sulle montagne del Simien, dove di notte la temperatura può scendere anche sotto allo zero.
Dopo due giorni di trasferimento da Addis Abeba, discendendo per la panoramica strada che attraversa l’Awash National Park e lo Yangudi Rassa National Park, si fa l’ingresso ufficiale nella regione Dancala dalla cittadina di Logya. Amministrativamente parlando siamo nella regione Afar, che prende il nome dal popolo Afar, tutt’ora piuttosto ostile ma che agli occhi degli esploratori europei dei primi del ‘900 si era guadagnato una fama davvero terribile grazie alla propria ferocia, alle numerose uccisioni condite da amputazioni genitali ed agli inquietanti proverbi tradizionali: “Meglio morire, che vivere senza aver ucciso”. Da questo momento in poi e per tutta la permanenza nella regione, bisognerà fare i conti con la lunaticità degli Afar che imporranno guide e scorte armate formate da improbabili miliziani in ciabatte con lo scopo ufficiale di garantire la sicurezza del turista, vista la vicinanza della nemica Eritrea, ma in realtà impegnati a spremere i visitatori, kalashnikov in mano, in modo tutt’altro che lungimirante.
Ad onor del vero le ostilità tra Etiopia ed Eritrea non sono cessate da molto tempo. Dopo l’accordo di pace del 2001 le due nazioni hanno trovato il modo di combattere l’una contro l’altra in modo non ufficiale dal 2006 al 2009, quando l’Etiopia ha invaso la Somalia con lo scopo di debellare l’Unione delle Corti Islamiche, accusata di fiancheggiare Al Queda e probabilmente rifornita di armi dall’Eritrea. Questa consapevolezza non allontana tuttavia l’impressione che nella torrida Dancalia nessuno, né Etiopia né Eritrea, abbia più l’intenzione di andare a belligerare e che le scorte e le guide affibbiate ai gruppi di turisti siano solo un modo per garantire un lavoro a tante persone.
Da Logya, per giungere alle zone più interessanti della Dancalia, occorrono ancora due giorni di viaggio. Un buon posto dove fare tappa è il paese di Afdera. Affacciato alle rive dell’omonimo lago, presso cui è possibile campeggiare, Afdera vive grazie alla produzione di sale e parrebbe offrire ben poco oltre ad un clima torrido ed umidissimo. Avendo però l’ardire di addentrarsi nelle saline al tramonto, è possibile assistere, come fosse un grande spettacolo, al duro lavoro degli “scarriolatori” di sale e immortalare le loro sagome stagliarsi nel cielo rosso fuoco.
Si riprende la strada e con un trasferimento massacrante su piste di lava tagliente, da Afdera si raggiunge la base per l’escursione al primo luogo veramente affascinante previsto da questo viaggio. Parliamo dell’Erta Ale, uno dei vulcani terrestri più attivi. Che un vulcano come questo, ossia uno dei tre o quattro solamente in cui il magma in ebollizione è visibile semplicemente affacciandosi al cono del cratere, si trovi da queste parti, non è certamente un caso. La depressione di Afar è infatti una giunzione di ben tre placche tettoniche in continua espansione che fanno sì che la pianura sotto ai nostri piedi si allarghi di un paio di centimetri l’anno. La salita alla sommità dal cratere si organizza nel villaggio di Dodom, concordando con il capo villaggio la solita scorta e l’eventuale supporto di cammelli per il trasporto di attrezzature, viveri e acqua. Il momento migliore per iniziare la salita è il tardo pomeriggio, verso le 17, quando il sole inizia a tramontare. Questo permette di salire con un calore sopportabile e di arrivare, dopo circa tre ore, ad ammirare lo spettacolo della lava approfittando del buio.
Dal vulcano si scende normalmente il mattino successivo, dopo aver passato la notte sdraiati per terra ma non prima di aver fatto una passeggiata sul plateau illuminato dall’alba. E’ comunque molto importante iniziare a scendere piuttosto presto per evitare il caldo torrido che già alle dieci inizia a farsi sentire. Un rientro di buon’ora a Dodom consente inoltre di affrontare nella stessa giornata un’altra trasferta davvero eterna quanto affascinante verso il villaggio di Ahmed Ale.
Ahmed Ale è una sorta di avamposto nel deserto. Non troppo distante dalla civiltà, è comunque un villaggio di polvere e baracche che funge da punto di partenza e di soggiorno per i lavoratori della piana del sale e per i cammellieri delle carovane che quel sale vanno a prendere e poi portare nei mercati. Stando sdraiati sulle brande di fibre naturali che, all’aperto, rappresentano le camere d’albergo, è possibile vedere le carovane partire prima dell’alba e ritornare dopo il tramonto. I profili dei cammelli, legati l’uno all’altro per centinaia di metri, procedono sullo sfondo piatto del deserto con una lentezza che non fa che accrescere il fascino ostile di questi luoghi.
Mentre di buon mattino, dopo l’arrivo della scorta militare, ci si dirige verso Assale, l’enorme piana in cui il sale è uno strato spesso molte centinaia di metri, le carovane si incontrano ancora e le si guarda in silenzio specchiarsi a terra nelle pozzanghere esagonali. Sì, perché il terreno, in questo luogo in cui la temperatura in inverno raggiunge anche i 50 gradi centigradi, è spesso fradicio d’acqua. Non si tratta ovviamente di acqua piovana, qui pressoché sconosciuta, ma di acqua marina proveniente per infiltrazione dal Mar Rosso grazie alla quale è possibile il formarsi e il riformarsi di questa profonda crosta di sale. In questo ambiente in cui il sole brucia dall’alto e acceca dal basso riflettendosi sul bianco del sale, gruppi di uomini si spaccano quotidianamente la schiena per staccare dal terreno grosse lastre di sale e lavorarle poi in mattonelle quadrate, pronte per il carico sui cammelli. Il lavoro viene svolto con l’ausilio di bastoni e altri strumenti rudimentali, eppure con una fierezza che si può spiegare solo con il fatto che queste persone sono lavoratori autonomi che paiono incredibilmente orgogliosi di dimostrare la loro tenacia e resistenza sovraumane.
A poche decine di minuti di strada da Ahmed Ale si trova quell’altro meraviglioso scherzo della natura chiamato Dallol. Circondato da formazioni per certe versi simili ai camini delle fate della Cappadocia, a visitarlo tutto si direbbe tranne trattarsi di un vulcano. La salita delle sue pendici, infatti, è talmente dolce da ricordare una passeggiata verso quel lago infernale che invece ne è il cratere. La caldera è un insieme di sorgenti sulfuree e geyser che emettono soluzioni di sali, in particolare cloruri di potassio, sodio e magnesio e che formano stagni acidi, terrazzamenti, concrezioni a forma di fontana e cristallizzazioni colorate uniche al mondo per intensità cromatica e vastità. Sfruttata dall’industria chimica, anche italiana, nel periodo coloniale, la zona è lasciata a se stessa ormai da molti anni e aperta alle visite turistiche solo dalla fine della guerra. Il passaggio dell’uomo è comunque pericoloso. Priva di camminamenti recintati e di regolamentazioni tipiche di un parco naturale (per ora solo in odore di creazione), l’area è infatti soggetta al calpestio incontrollato e se non fosse che a causa del caldo le visite si concentrano nella stagione invernale, ci si domanda fino a quando nel periodo estivo la natura sarà in grado di riparare i danni del turismo occidentale.
Una settimana ormai è passata, molti litri di sudore sono stati stillati e sulla nostra pelle uno spesso strato di polvere dancala necessita di essere tolta da una doccia che non sia solo un miraggio nel deserto. Un buon posto dove concedersi questo lusso è la zona delle famose chiese rupestri della regione del Tigrai, appena ad Ovest di Wukro, la cittadina che si incontra uscendo dalla Dancalia a Nord Ovest. Nel Tigrai il paesaggio diventa agreste e distensivo e la povertà, assolutamente presente, è come se fosse meno visibile. Il duro lavoro nelle saline è sostituito da quello nei campi. Buoi ed aratro, mietitura manuale e mondatura “a la voleé”, ben raccontano quanta poca strada abbia qui fatto la tecnologia. Ma tutto ciò rischia di rilassare l’occhio più che far riflettere la mente.
Il viaggio prosegue prima a Nord, verso Axum, e poi a Ovest, alla volta di Debark, il paese a 2850 mt in cui hanno sede gli uffici amministrativi del Parco Naturale del Simien. E’ questo il luogo migliore per organizzare un trek di più giorni e nel quale spendere una notte di acclimatamento alla quota.
Il parco si estende per oltre 40 km ed offre numerose possibilità di trekking, diversi per località e durata. La quota è alta ma i dislivelli non troppo impegnativi così come non difficili sono i sentieri. Si passeggia inoltre senza grossi carichi sulle spalle visto che ci si muove accompagnati da muli e dalla solita pletora di guardie, guide, mulattieri e cuoco. Affontare la salita alle vette del Simien non è quindi un problema di fatica quanto di capacità di adattarsi alla quota ed alle sue escursioni termiche. Il sole rende tiepido e piacevole il giorno ma al suo calare la temperatura precipita anche di 20 gradi e la notte la si può passare solo in tenda vista l’assoluta assenza di strutture. Inoltre, a queste altezze, il sole e la brezza sono infidi compagni di viaggio. Mentre si cammina ammirando gli altopiani costellati di lobelie e gli scorci inquietanti creati dalle profonde valli rocciose, qualche bambino vestito di stracci si avvicina e domanda burro cacao, indicando le sue labbra devastate dai raggi ultravioletti e dall’aria sferzante.
Il Ras Dashan, punto più alto dell’Etiopia coi suoi 4549 metri, è piuttosto lontano dalle abituali partenze dei trekking. Per raggiungerlo da Debark occorrono cinque o sei giorni di cammino e serve pianificare un lungo rientro con mezzi a motore o rifare il percorso all’indietro. La salita alla vetta corona ovviamente il viaggio dell’Etiopia “dal basso all’alto”, ma a discapito della sua considerevole altezza, il Ras Dashan non costituisce il punto panoramico più interessante dei monti Simien. Un paio di spettacolari terrazze sui canyon e sull’ondulato altopiano etiopico che circonda la catena montuosa (Imet Gogo a 3926 mt e Inatye a 4070 mt), si trovano non troppo distanti da Debark e li si può raggiungere con un percorso di soli 3 giorni di cammino facendo campo per due notti al Gich Capsite a 3200 mt di quota e terminando l’escursione al Chenek Campsite, dove il rientro a Debark è possibile coi fuoristrada in un paio d’ore. Avendo a disposizione poco tempo si può optare per questa soluzione stando certi che i metri “persi” saranno ampliamente compensati da vedute mozzafiato.
Nel tornare a Debark per una meritata notte di riposo al caldo, non si può fare a meno di constatare che gli obiettivi del viaggio sono stati raggiunti. Il corpo è provato dalle forti escursioni termiche fra il giorno e la notte e dal tanto dislivello superato in pochi giorni provenendo dall’infernale Dallol per raggiungere le altezze incantate del Simien. I sorrisi e talvolta le smorfie dei volti incontrati durante il percorso, bruciati dal sole o intirizziti dal freddo, contribuiranno a rendere indelebile questa esperienza. Per fortuna, nel lasciare alle spalle le montagne e nel gettarsi nuovamente nei meandri dell’altopiano, non si può evitare di pensare che la distanza da Addis Abeba e dal suo aeroporto è qui ancora notevole. Grazie ciò, qualche altro giorno di trasferta forzata costringerà a respirare l’aria di questa meravigliosa terra e consentirà ai ricordi ed al bottino dei sensi di consolidarsi per sempre.
Testo di Marco Lugli