Riprendo il titolo dell’articolo Eureka. L’algoritmo che insegna ai robot l’umanità, scritto da Raffaele D’Ettorre e apparso il 16 Novembre 2023 tra le pagine di “Molto futuro”, un inserto del quotidiano “Il Messaggero”. L’articolo parla di macchine robot che insegnano ad altri robot, grazie alla tecnologia chatGPT (chat Generative Pre-trained Transformer – Trasformatore generativo pre-addestrato) e questo va bene, ma va molto meno bene quando D’Ettorre dice che questo può servire per fare diventare queste macchine “più umane”.
Evidentemente D’Ettorre ha un concetto dell’umanità tutto suo e molto particolare perché se è vero che alle macchine di cui parla si possono insegnare molte cose, questo aspetto della nostra vita, cioè l’umanità, non può essere insegnato a nessuno e tantomeno a un robot. Non esistono software e mai potranno essere costruiti degli strumenti artificiali in grado di compiere operazioni di questo genere. L’umanità non è solo aprire scatole, utilizzare forbici, fabbricare capannoni industriali o automobili, raccogliere pomodori nei campi, fare scattare dei selfie ai droni, come si dice nell’articolo, perché l’umanità è qualcosa di molto più complesso.
Non è affatto vero che i robot ci assomigliano. Possiamo pensarlo, ma è sbagliato. I robot non provano emozioni, non hanno sentimenti, non hanno creatività e di fronte a un’opera d’arte, per esempio a un quadro del Caravaggio, non provano nessuna emozione. Se vogliamo attribuire loro queste capacità è un’altra questione. Che poi i robot possano progettarsi da soli può essere anche vero, ma chi li ha progettati ha implementato nel loro “cervello” dei programmi che possono consentire loro di farlo, sorprendendo persino coloro che li hanno costruiti.
Non c’è niente in un robot che possa sostituire la creatività dell’uomo, un robot non potrà mai interpretare un atto linguistico locutorio o illocutorio che sia e ciò che un uomo intende dire veramente nell’atto di dire qualcosa. Un robot non potrà mai istigare, intimorire o consolare qualcuno. Un computer non potrà mai avere una coscienza corporea del proprio sé, non potrà mai avere delle credenze e, cosa molto importante, non potrà mai illudersi di niente. Non potrà mai capire come il linguaggio umano possa dipendere dall’intenzionalità biologica della nostra mente e come le parole, le proposizioni, possano rappresentare qualcosa al di fuori di se stessi o riferirsi a qualcos’altro. La creatività è uno stato della nostra coscienza. I fenomeni coscienti intenzionali sono autonomi.
È l’uomo che con la sua intelligenza e i suoi saperi ha consentito ai robot di fare tutto quello che fanno. Per un robot il concetto di sapere è diverso dal sapere umano. In sostanza nella loro “mente” non si inverte niente, cioè non potranno mai sostituirsi alla mente dell’uomo. Sempre nello stesso inserto de “Il Messaggero” appena citato, c’è un altro articolo dal titolo: Quando i piccioni fanno AI (Artificial Intelligence) di Mauro Anelli, il cui contenuto è ancor più singolare di quello che troviamo nell’articolo di D’Ettorre. Anelli scrive che i piccioni risolvono problemi così come fa l’Intelligenza Artificiale.
In verità è proprio il contrario: è l’Intelligenza Artificiale che fa come questi volatili estremamente intelligenti e capaci di cose straordinarie come, per esempio, orientarsi durante il volo. Molti altri volatili sono capaci, senza mai perdersi, di migrare da un continente all’altro e possono ritornare su un piccolo luogo della Terra, lontano migliaia di chilometri dal punto di partenza. I compiti di categorizzazione dei piccioni di cui parla Anelli sono elaborazioni cognitive della loro mente, non quelle di una macchina.
È la macchina a riprodurre i loro comportamenti, ma questa non è una novità. Molti scienziati infatti hanno preso spunto dagli animali, persino da alcuni vegetali, riproducendo artificialmente i loro sistemi biologici a nostro beneficio: ci sono riusciti molto bene e tutti ne abbiamo tratto dei grandi vantaggi. Facciamo un esempio banale ma molto significativo, cioè quello delle chiusure a velcro che furono inventate da un ingegnere svizzero, Georges de Mestral, il quale, essendosi accorto, dopo una passeggiata in montagna, che dei fiori secchi di cardo si erano attaccati ai suoi pantaloni e al pelo del suo cane, ebbe un lampo di genio. Perché non utilizzare questo meccanismo per chiudere pantaloni, scarpe, borse, eccetera, non più con le stringhe ma con il velcro molto più pratico e comodo?
L’articolo di Anelli inoltre parla dell’esistenza di algoritmi biologici. L’algoritmo è una istruzione che diamo a una macchina a partire da alcuni dati iniziali e quindi si basa su informazioni che vengono elaborate con strumenti diversi, da un lato il cervello di un piccione, appunto con un algoritmo biologico, dall’altro lato con il “cervello” di una macchina che di biologico non ha niente. In ultimo, nell’articolo di Anelli si tira in ballo Cartesio e qui casca l’asino! Noi esseri umani ereditiamo il suo dualismo che ci fa ancora credere che esistano due realtà separate (res extensa e res cogitans), quella materiale del nostro corpo e quella “spirituale” della nostra mente. Nel nostro mondo queste due realtà non esistono, nel senso che ne esiste una sola. Che cosa sarebbe un corpo senza una mente? Niente. Che cosa sarebbe una mente senza un corpo? Non potrebbe fare niente, non potrebbe nemmeno esistere. Io credo che, sia D’Ettore sia Anelli abbiano scritto tutto in buona fede.
Il mio timore è che queste questioni vengano gestite e valutate da altri, quindi non dai diretti interessati, cioè gli scienziati, ma da poteri finanziari ed economici molto forti che controllano i media, i social, e che vogliono inculcare l’idea che l’uomo possa risolvere tutti i suoi problemi grazie all’aiuto dei robot, anche se il vero intento forse è quello di obliterare il nostro senso critico, la nostra intelligenza, la nostra creatività e la nostra libertà di pensiero. La verità è che ci stanno riuscendo, purtroppo. Basta circolare in una strada molto frequentata per vedere uomini, donne e bambini con un cellulare all’orecchio, cellulare che usano per ore intere, non solo per parlare con gli amici o per darsi degli appuntamenti, ma spesso per altro che è meglio non menzionare.
Il Governo italiano nell’ultima Finanziaria ha deciso di istituire un fondo di 150 milioni di euro per gli studi sull’Intelligenza Artificiale; il governo spagnolo ne ha stanziati molti di più, cioè 500 milioni, ma il fatto straordinario è che gli USA, allo stesso scopo, hanno stanziato 47 miliardi di dollari. L’investimento italiano rispetto a quello USA è quindi dello 0,0032%! In ambito militare l’Intelligenza Artificiale rappresenta una delle principali aree di investimento in tutto il mondo.
In un solo anno negli USA, solo in questo settore, gli investimenti sono stati pari a 1,5 miliardi di dollari soprattutto con l’intento di raccogliere informazioni tramite droni, in pratica per spiare, di sviluppare il cyberspazio e velocizzare decisioni, per esempio, quelle finalizzate a eliminare obiettivi strategici militari di un nemico vero o ritenuto tale, in sostanza allo scopo di fare le guerre, quando tutti questi soldi potrebbero essere utilizzati per altre cose, come gli ospedali e il personale medico, le scuole e gli insegnanti, i trasporti (treni, aerei, metropolitane eccetera) e il relativo personale, i musei, la formazione, la cultura, i teatri, anche con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale, ovviamente, quella a fin di bene. I politici di tutto il mondo di fronte a queste esigenze fondamentali fanno però orecchi da mercante, perché sanno bene che queste iniziative non portano un grande consenso e soprattutto voti alle elezioni. Eppure, dovrebbe essere il contrario!