Dopo l’azione terroristica del 7 ottobre, Steven Spielberg, sulla indicibile strage perpetrata da Hamas, ha detto: «Non avrei mai immaginato di vedere una tale indicibile barbarie contro gli ebrei durante la mia vita». Una triste dichiarazione anche a seguito di video e interviste che arricchivano la raccolta della “Usc Shoah Foundation” da lui fondata. Documenti importanti che dovrebbero lasciare una futura testimonianza di ciò che non dovrebbe mai più ripetersi. Parole forti che si sommano al clima di tensione che sta coinvolgendo tutto il mondo per la paventata visione catastrofica di un’invasione islamica. Sono idee che vengono diffuse attraverso libri, articoli di stampa, trasmissioni televisive, convegni e manifestazioni varie, che se abbinate a campagne mediatiche in atto ci mostrano la propagazione della religione islamica come il male del secolo.

Ma tutto ciò è vero?

È questa l’analisi che ci si propone di fare e commentare col presente articolo, pertanto, verranno di seguito evidenziate: la tendenza di crescita della popolazione musulmana in Europa; le principali criticità che limitano la sua integrazione; alcune usanze musulmane che sono in difformità alle nostre leggi; le profezie fatte negli anni scorsi da importanti personaggi sulla potenziale invasione islamica dell’Europa; considerazioni sulla mancata integrazione e un’importante esortazione apostolica sull’accoglienza. Sono aspetti che coordinati ci dovrebbero fornire un quadro generale per potere dare una risposta all’interrogativo in epigrafe.

Campanelli di allarme in tutta Europa per la costante crescita musulmana

Il Pew Research Center di Washington1 D.C. (USA), uno dei più importanti istituti di ricerca demoscopica del mondo, ha effettuato nel 2016 una ricerca sulla crescita della popolazione musulmana in Europa da cui si evince la previsione che i musulmani continueranno ad aumentare anche senza ulteriori future migrazioni.

Dalla ricerca risulta che la popolazione musulmana in Europa (definita come quella dei 28 Paesi che a tale data formavano l’Unione Europea, compreso Regno Unito, più Norvegia e Svizzera) era stimata a 25,8 milioni (4,9% della popolazione complessiva), in aumento rispetto a quella del 2010 quando era stimata in 19,5 milioni (3,8% della popolazione complessiva).

Con una “migrazione zero” si prevede che la popolazione musulmana d’Europa aumenterà comunque dall’attuale livello del 4,9% al 7,4% entro il 2050. Con la sola “migrazione regolare”, così definita quella formata da coloro che arrivano per ragioni diverse dalla richiesta di asilo, si raggiungerebbe nel 2050 l’11,2% della popolazione europea.

Con la previsione di una “migrazione elevata”, prevista con lo stesso flusso di rifugiati in Europa registrato tra il 2014 e il 2016 si raggiungerebbe il 14% della popolazione europea entro il 2050, quasi il triplo di quella attuale. Da considerare inoltre che la percentuale giovanile è di gran lunga maggiore di quella europea.

È uno scenario che impone delle profonde riflessioni per le mutazioni che potrebbero derivarne nella società dell’Unione Europea. L’attuale diminuzione della popolazione dell’UE è ben noto che verrà sempre più compensata dall’effetto migratorio, con un saldo effettivo nei prossimi anni di una notevole crescita. Occorre adesso valutare gli effetti principali che ne possono derivare e se ciò può fare entrare in crisi i nostri consolidati usi e costumi e turbare le nostre tradizioni cattoliche e cristiane in genere.

Atti di prevaricazione su usi e costumi occidentali

La cosa manifestamente più grave, che sta sempre più destando stupore, è quando ci sono immigrati che tentano di imporre il rispetto dei loro usi e costumi alla popolazione che li ospita, talvolta mettendo anche in pericolo la vita dei residenti originari; quando immigrati in grandi città, vivendo in quartieri quasi separati dal resto della città, si sentono talmente sicuri e forti da imporre il loro controllo sul quartiere. Ove ciò accade è legittimo che sorga il dubbio se ciò si verifica per una mancata integrazione o anche per l’accondiscendenza politica e/o per il mancato controllo delle forze dell’ordine. Ci sono città europee importanti con interi quartieri che si popolano sempre più di musulmani i quali, nella maggior parte dei casi, non dimostrano alcun desiderio di integrarsi e di rispettare le nostre leggi e i nostri costumi, ma si ostentano difensori gelosi della loro identità e non di rado sono pronti ad offendere e insidiare la stessa popolazione che li sta ospitando.

Basterebbe citare i casi delle reazioni contro l’esposizione del crocifisso in luoghi pubblici e in particolare nelle scuole. Se, ad esempio, il Paese ospitante è prevalentemente cristiano, si ha il pieno diritto di esporre i propri simboli religiosi, così come viene fatto in Paesi con altra religione dominante. Ma la cosa grave è anche la reazione di talune persone europee, non musulmane, né ovviamente cattoliche o cristiane, spesso ufficialmente aderenti a ben precisi partiti politici, che giustificano e sostengono tali reazioni.

Costoro hanno mai pensato cosa direbbero i musulmani se nei loro Paesi di origine un cristiano osasse fare altrettanto o se osasse far togliere il velo per riconoscere il volto di una donna? Se un europeo è in visita in una città musulmana e vede un riferimento a Maometto, non si sognerà mai di chiederne l’eliminazione perchè disturba i suoi sentimenti religiosi. Se in una scuola vede esposto il corano o un simbolo islamico non si sognerebbe mai di criticarlo e magari richiederne la rimozione. Se non vede donne alla guida di un’auto si può meravigliare e provare un senso di tristezza, ma non certo entrerà nel merito di azioni che in quel Paese sono proibite dalla legge soprattutto se lo Stato islamico è regolato con l’applicazione in maniera rigida della sharia.

Sulle usanze in opposizione alle nostre leggi e sul contrasto al relativismo culturale

Per fortuna alcuni Paesi europei stanno già provvedendo, per contrastare tale ingerenza, con l’emanazione di leggi e disposizioni:

  • che mirano a regolamentare alcune usanze degli immigrati quando esse sono in contrasto con le loro norme di legge;
  • che hanno già vietato alle donne di indossare veli che coprono il loro volto rendendole irriconoscibili, come il burka e il niqab;
  • che controllano la qualità degli immigrati e limitano l’ingresso agli immigrati cosiddetti “economici” se superano il numero concordato tra il loro Paese e i Paesi di provenienza;
  • per tentare di contrastare il relativismo culturale secondo cui, poiché non esistono degli standard di moralità universale, nessuno ha il diritto di giudicare usi e costumi di un’altra società, pertanto i Paesi europei dovrebbero accettare anche quelle culture la cui morale è in aperto conflitto con quella europea.

Dovremmo, ad esempio, accettare che il marito bastoni la moglie disubbidiente, che una donna che ha tradito il marito venga lapidata, ecc., insomma si dovrebbe accettare tutto ciò che il Corano ancor oggi giustifica anacronisticamente e che è in contrasto con le nostre leggi. Di contro, nessuna reciprocità è mai esistita e mai ci sarà per gli europei, non musulmani, che si trovano in Paesi governati dall’islam. Con questo modo di ragionare aumentano solo le reazioni sociali interne al Paese ospitante rendendo instabile la loro permanenza.

Le profezie di Oriana Fallaci, di Muhammar Gheddafi e di Bernard Lewis

Sembra opportuno adesso fare un preliminare riferimento ad alcune profezie sull’invasione islamica dell’Europa che negli anni scorsi sono state fatte, qualcuna a seguito di grandi stragi terroristiche, e tentare di capire se possono considerarsi ancora attuali e, nel caso positivo, se è possibile porre dei rimedi.

Nell’aprile del 2004 ho partecipato, nella qualità di presidente dell’Aisi-Sicilia,2 ad una tavola rotonda, presso la Sala Gialla del Palazzo dei Normanni a Palermo,3 in occasione del convegno organizzato dal Lions Clubs International sul tema: “Sicilia-Eurabia: un’arma per la pace”.4

Nella tavola rotonda, alla quale oltre al Console Generale della Repubblica di Tunisia Mr. Fredj Souissi hanno partecipato anche eminenti storici e teologi, ho espresso alcune personali perplessità sulla diffusa e paventata invasione dell’Europa da parte del mondo islamico. Ho manifestato perplessità su alcuni concetti che venivano espressi da Oriana Fallaci, una grande scrittrice atea, attraverso interviste e alcuni suoi libri, che avrebbero potuto indottrinare il lettore verso la visione catastrofica di tale potenziale invasione. Una particolare attenzione è stata posta al contenuto dei due libri La forza della ragione e La rabbia e l’orgoglio.

Il messaggio della Fallaci è stato diffuso anche attraverso analisi del passato e critiche alle antiche atrocità perpetrate sotto diverse insegne religiose a partire dall’ebraismo per arrivare al cristianesimo e infine all’Islam. Analisi e critiche che, ancorché vere e non contestualizzate, avrebbero potuto portare il lettore, quasi inconsciamente, ad uno stato di tensione e di avversione contro tutte le religioni, facendogli scaturire con gradualità un senso di odio verso l’islam, verso gli islamici e verso il mondo arabo in genere. Un odio che ancor oggi si sviluppa, in molti europei, probabilmente in parte attraverso un senso di difesa del cristianesimo e in parte attraverso una forma di orgoglio che potrebbe farci assurgere a detentori e custodi di “norme etiche e sociali di livello superiore”, soprattutto per il fatto che l’islam non ha subito alcuna contestualizzazione, diversamente da quanto è avvenuto alle altre religioni abramitiche.

L’analisi che è stata fatta subito dopo l’abbattimento delle Twin Towers (Torri Gemelle) a New York (11 settembre del 2001), in un periodo, dunque, difficile per la sicurezza mondiale, porta la rabbia dell’autrice, rabbia che a tale epoca era comunque fortemente condivisa da buona parte del mondo. Veniva lanciato il seguente monito per una paventata guerra lanciata dal mondo musulmano contro l’occidente: «Una guerra che essi chiamano Jihad: Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci…».5

Veniva dunque messo in evidenza che la sicurezza era costantemente minata da terroristi, quasi esclusivamente islamici, che di certo nulla hanno realmente in comune con i principi dell’Islam, né con la civiltà del mondo arabo le cui tracce sono ancora oggi presenti in molte regioni europee. Oriana Fallaci non è stata comunque la sola a emettere tale profezia, anche se sicuramente una delle più accorate.

Analoga profezia, anche se in modo diverso, venne emessa da Muammar Gheddafi nell’ultima intervista italiana, rilasciata poco prima della sua morte, al quotidiano italiano il Giornale il 15 marzo 2011 e così richiamata su “giornale.it” del 17 febbraio 2015: «Se al posto di un governo stabile, che garantisce sicurezza, prendono il controllo queste bande legate a Bin Laden, gli africani si muoveranno in massa verso l'Europa. E il Mediterraneo diventerà un mare di caos». È evidente l’allusione all’emigrazione sfrenata che sarebbe arriva dall’Africa, oggi sotto gli occhi di tutti, che potrebbe essere interpretata come la volontà di fare una vera invasione se non opportunamente regolamentata e controllata.

Le ultime forti indicazioni sull’invasione islamica dell’Europa, che desidero inserire tra le profezie, sono racchiuse nelle dichiarazioni più volte fatte su tale argomento da Bernard Lewis,6 alcune delle quali sono richiamate nell’articolo de “ilfoglio.it” del 22.05.2018 dal titolo L’Europa diventerà islamica. Di seguito si riportano alcuni riferimenti a suoi discorsi pronunciati nel 1990, nel 2006 e nel 2010.

Nel 1990, nell’occasione dell’invito a tenere una lezione all’Università di Oxford, disse che la terza invasione islamica dell’Europa, avrebbe avuto maggior successo della prima e della seconda7 e in particolare precisò che «il capitale e il lavoro hanno avuto successo dove le armate dei Mori e dei Turchi hanno fallito. Adesso ci sono due milioni di turchi e altri musulmani in Germania, numeri persino maggiori di nordafricani in Francia, pachistani e bengalesi nel Regno Unito». Così siamo in procinto di vedere «per la prima volta dal ritiro oltre lo Stretto di Gibilterra nel 1492 una massiccia e permanente presenza islamica in Europa».

Il 19 aprile 2006, in un’intervista fatta da Wolfgang G. Schwanitz a Princeton e pubblicata su Die Welt,8 citata sempre nel menzionato articolo del “foglio.it”, Bernard Lewis affermò: «Le minoranze diventeranno maggioranze in un certo numero di paesi europei. Un siriano ha chiesto: l’Europa islamizzata o l’islam europeizzato? Questa è la domanda chiave. Non lo sappiamo. È chiaro che le comunità islamiche in Europa sono terrorizzate dalla loro stessa gente. Molti non osano parlare in pubblico. Certo, ci sono molti più musulmani in Europa che preferiscono un approccio europeo di quanto non stia diventando evidente. Ma sono facilmente raffigurati come traditori e persino uccisi».

Ma le affermazioni più forti sono state esplicitate in un’intervista pubblica con Robert Wistrich all’Università Ebraica di Gerusalemme nel 2010: «Questo è il terzo tentativo di islamizzare l’Europa. I primi due hanno fallito. Il terzo ha buone possibilità di avere successo. È una migrazione pacifica. Lo vediamo da come i governi europei accolgono la sharia. E ci sono molte concessioni». Tra le concessioni citate come esempio dell’islamizzazione ha menzionato l’immunità di cui gode l’islam in Europa. Conclude poi con la considerazione che l’islamizzazione: «questa volta non sarà tramite l’invasione e la conquista, ma l’immigrazione e la demografia».

Queste tre profezie, emesse da una scrittrice atea, da un leader musulmano e da un famosissimo studioso dell’islam e del mondo arabo, ci impongono delle importanti riflessioni, anche perché sembra che queste profezie si stiano realmente avverando in Europa. Alla luce dei recenti avvenimenti è dunque opportuno valutare:

  • se l’aumento della presenza islamica può considerarsi realmente una vera invasione e pertanto diventare fonte di seria preoccupazione;
  • se l’attuale situazione è invece frutto della mancata integrazione della popolazione islamica con la popolazione europea e in tal caso quale potrebbero essere le cause e quali i rimedi da porre.

Sulla mancata integrazione

Delle due ipotesi sopra menzionate negli ultimi anni, nella maggior parte dell’opinione pubblica, sembra prevalere la prima, ossia che trattasi di una vera invasione islamica programmata e organizzata con una forte ingerenza religiosa e con la sete di conquista di nuovi territori da parte dell’Islam. Appare però opportuno valutare se questa sensazione diffusa non è invece causata dalle tensioni sociali continue per la mancata integrazione degli immigrati e dal senso di insicurezza che hanno gli abitanti di quartieri cittadini a prevalente presenza musulmana. La mancata integrazione, che in genere si manifesta col mancato adattamento dell’immigrato ai nuovi costumi e alle norme della società ospitante, può infatti far sentire “diverso” il migrante che viene accolto in Europa, spingendolo involontariamente verso l’isolamento e creando in lui un senso di frustrazione che lo potrebbe spingere verso reazioni abnormi, mettendo a serio rischio la stessa comunità che l’ha accolto.

In tal caso è interessante cercare di capire se c’è un’eventuale criticità che condiziona la mancata integrazione e in caso positivo a chi addossare la relativa colpa. Se una colpa esiste è probabile che non possa essere addebitata solo agli immigrati, ma in parte anche ad una errata o carente politica migratoria attuata dai diversi Paesi dell’Unione Europea. Da parte degli immigrati la difficoltà di integrazione è quasi certamente legata soprattutto alla loro difficoltà di abbandonare gli originari usi e costumi, quando essi sono in contrasto con le norme di legge dei Paesi ospitanti. Cito come esempio il diverso concetto del rispetto dei diritti umani, soprattutto delle donne, già in parte differente anche tra gli stessi Paesi islamici, ma certamente in buona parte fortemente contrastanti con le leggi dei Paesi europei. Ed è proprio quando dette leggi vengono disattese che si creano una serie di tensioni sociali che spesso si trasformano in atti di violenza all’interno e all’esterno delle comunità musulmane.

A talune usanze anacronistiche che limitano i diritti delle donne viene data poi una giustificazione religiosa, poiché nel Corano, interpretato senza alcuna sua contestualizzazione, la donna è vista ancora come un essere inferiore all’uomo, dove l’uomo, ad esempio, può bastonare la donna disubbidiente e non accondiscendente ai suoi desideri, né esiste alcuna disposizione religiosa islamica che prevede il contrario. Si arriva così alla conclusione che l’integrazione diventa sempre difficile perché innanzitutto dovrebbe far perdere all’uomo quei privilegi di comando sulla donna di cui gode da tempi immemorabili. Per fortuna alcuni importanti Paesi musulmani hanno già applicato la contestualizzazione delle norme coraniche sotto lo stimolo di competenti e illustri studiosi musulmani dell’Islam.

Un interessante aneddoto a proposito di integrazione

Sulla ricerca delle cause della mancata integrazione desidero raccontare un fatto, a mio avviso degno di riflessione, accaduto nei giorni scorsi in Francia ad un mio carissimo amico italiano nato in Marocco, che vive in Italia da circa 50 anni assieme alla sua famiglia.

Avendo egli preso un taxi dall’hotel per andare in aeroporto ha instaurato un piacevole colloquio col tassista, un emigrato algerino dai capelli bianchi che da diversi anni, subito dopo l’indipendenza algerina del 3 luglio 1962, vive in Francia con la moglie e i figli. Diceva il tassista che in Francia si trovava bene e si sentiva a suo agio, ma che i figli, pur essendo nati in Francia e con cittadinanza francese, odiavano la Francia. Un’affermazione che evidenziava una coesistenza, certamente non entusiasmante, tra i suoi figli e i loro amici e conoscenti francesi. Dopo quel discorso era lecito pensare che anche il padre non vivesse in maniera soddisfacente in Francia e magari, parlando con una persona di origine maghrebina, avesse celato l’odio per la sua mancata integrazione, non esternando invece i veri propri sentimenti verso la Francia. Insomma quell’atteggiamento tipico di chi emigrando desidera sempre fare apparire che la sua vita nel nuovo Paese è sempre serena anche quando non lo è, non manifestando il risentimento covato a causa della diffidenza generale che verso gli immigrati sembra invece spesso albergare negli animi degli europei.

Giunto in aeroporto, quando il mio amico si presentò al controllo per l’imbarco si accorse che l’addetto al controllo stava posando nel cassetto un telefono cellulare simile al suo. Avendo chiesto informazioni seppe che l’aveva riportato un tassista che si era accorto che un italiano, ultimo suo passeggero, lo aveva dimenticato in auto. Accertato che era il suo telefono superò felicemente il controllo e si avvio verso l’imbarco.

A prescindere dalla casualità del ritrovamento legata al fatto che il mio amico ha visto l’addetto mentre poneva il cellulare nel cassetto, evento che non si sarebbe presentato se solo avesse varcato la soglia dell’imbarco un attimo prima, resta da fare una breve considerazione sulla morale del racconto. Si trattava di certo di un uomo anziano, signorile e professionale nel suo lavoro, con cui si era instaurata una corrente di simpatia attraverso la breve chiacchierata. Si potrebbe pertanto pensare a un gesto collegato ad un senso di riconoscenza per la cordialità instaurata durante il tragitto. Ma nello stesso tempo è lecito chiedersi quanti tassisti avrebbero fatto quel gesto.

Se poi si considera che si trattava di un musulmano, bisogna altresì chiedersi: quanti in Europa avrebbero potuto immaginare un simile gesto da parte di un immigrato musulmano? Resta comunque da capire, credendo alle affermazioni del tassista, come mai in una famiglia musulmana da diversi decenni in Francia, con figli nati e cresciuti in Francia, sia possibile avere i genitori felici di essere ormai perfetti francesi e i figli che odiano la Francia. L’uomo, dal suo modo di parlare, era certamente integrato nella comunità francese dove ha trovato un soddisfacente lavoro per sostenere la sua famiglia, dove sicuramente ha amici che lo stimano e con i quali condivide momenti della sua vita. Un uomo che, all’apparenza, difficilmente potrebbe essere un portatore di odio o un potenziale terrorista.

Ma allora quale potrebbe essere la causa che spinge i suoi figli a odiare così tanto il loro nuovo Paese? È probabile che si sentano emarginati dalla società in cui vivono, che si sentano diversi, che si sentano isolati, magari perché contestati per i loro usi e costumi. Forse antiche e anacronistiche usanze del Paese dei loro genitori sono state mantenute rigide, senza alcun minimo adeguamento a quelli della società in cui sono cresciuti, creando un allontanamento con i loro amici e facendo di contro covare odio e avversione nei loro animi. E non è da escludere che una tale situazione di disagio sociale abbia fatto emergere il desiderio del ritorno nel Paese dei loro genitori, per potersi liberamente riappropriare delle loro tradizioni così come erano stati educati in famiglia. Se ciò fosse vero non escluderei che si tratti delle analoghe condizioni che potrebbero avere emarginato la popolazione di interi quartieri di immigrati in alcune importanti città europee. Un’emarginazione portatrice di tensioni che possono facilmente degenerare, alimentando nuclei di dissidenti che, opportunamente guidati, possono poi diventare veri covi terroristici.

“Ecclesia in Europa” del Papa Giovanni Paolo II e la cultura dell’accoglienza

Sul problema dell’integrazione e della preliminare accoglienza ritengo opportuno richiamare l’Esortazione Apostolica Post-Sinodale “Ecclesia in Europa” del 28 giugno 2003 del Papa proclamato Santo Padre Giovanni Paolo II il 27 aprile 2014. Alla cultura dell’accoglienza sono dedicati i tre punti 101, 102 e 103 del capitolo II dell’”Esortazione”. Tali punti sono scritti dopo avere evidenziato al precedente punto 57 «il sentimento di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare il loro culto, e che si vedono interdire l'esercizio del culto cristiano nei Paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione l'unica ammessa e promossa».

Nei successivi punti rispetto a quelli sopra menzionati, il Papa individua tra le cause che spingono molti a lasciare la propria terra, la miseria, il sottosviluppo e l’insufficiente libertà, che purtroppo caratterizzano ancora diversi Paesi ed evidenzia la necessità della realizzazione di un ordine economico internazionale più giusto, in grado di promuovere l'autentico sviluppo di tutti i popoli e di tutti i Paesi. Successivamente mette in evidenza che «Ciascuno si deve adoperare per la crescita di una matura cultura dell'accoglienza, che tenendo conto della pari dignità di ogni persona e della doverosa solidarietà verso i più deboli, richiede che ad ogni migrante siano riconosciuti i diritti fondamentali. […] Occorre pure impegnarsi per individuare forme possibili di genuina integrazione degli immigrati legittimamente accolti nel tessuto sociale e culturale delle diverse nazioni europee».

Considerazioni finali

Una prima considerazione si evince dall’aneddoto del tassista, tipico esempio di mancata integrazione, da cui emergono due aspetti che potrebbero avere influito sull’odio covato dai figli:

  • la mancata loro integrazione sociale, probabilmente dovuta anche e forse soprattutto alla inadeguata educazione familiare;
  • una probabile carente politica migratoria e un controllo poco attento sui migranti, così come purtroppo avviene in diversi Paesi, portando alla creazione di veri ghetti in diverse grandi città, che sono oggi luoghi pericolosi per la pubblica incolumità di persone non musulmane.

Per fortuna, la maggior parte degli studiosi ritiene comunque che la diversità culturale e religiosa possano coesistere pacificamente e che l'idea di una "Eurabia" è spesso criticata come un'esagerazione basata su pregiudizi. Se ciò è vero e se si desidera che spariscano gli eventuali pregiudizi sugli immigrati, ad avviso dello scrivente, occorrerebbe far interiorizzare a tutti i musulmani presenti in un Paese ospitante:

  • che nel caso di acquisita cittadinanza del Paese ospitante il migrante sottoscrive il giuramento di osservare la Costituzione e le leggi di quel Paese;
  • che le leggi del Paese ospitante vanno comunque rispettate anche se non è stata ancora riconosciuta la nuova cittadinanza;
  • che se un immigrato commette un delitto va perseguito nel Paese ospitante secondo le leggi nello stesso vigenti, non certamente secondo quelli del Paese di provenienza;
  • che, ancorché popolazioni musulmane sono ospitate in un Paese democratico con piena libertà di professare la propria religione e quindi potere avere anche i propri luoghi di culto, è anche vero che non è possibile ammettere, ad esempio, che alcune Moschee possano diventare talvolta luoghi di propaganda e sedi di reclutamento per terroristi;
  • che se non ci sono le condizioni per l’arresto di quelli che commettono crimini è necessario espellerli e se è stata concessa loro la nuova nazionalità occorre toglierla, perché a nulla vale dopo un atto terroristico affermare che su quel tale terrorista c’erano già dei forti sospetti, non bisogna intervenire a delitto compiuto se lo stesso era possibile prevenirlo;
  • che gli immigrati possono mantenere le proprie tradizioni e i propri costumi, ma ciò fin quando non sono in contrasto con le leggi vigenti nel Paese ospitante;
  • che non è possibile consentire che alcune comunità musulmane facciano prevalere precetti coranici con intransigenza, quando questi sono contro il rispetto dei diritti umani e delle norme del paese ospitante;
  • che non è possibile chiedere il riconoscimento della diversità solo per valorizzare e consolidare la loro influenza religiosa e culturale quando essa è in contrasto con quella del Paese ospitante;
  • che va assolutamente contrastato il relativismo culturale, così come sopra espresso, senza però far diventare le azioni di contrasto motivo di discriminazione razziale;

Noi europei siamo spesso dei buonisti, pertanto sorvoliamo su situazioni che ci dovrebbero fare riflettere, ostentiamo dei buoni sentimenti di tolleranza e benevolenza su tutto e su tutti non ponendo alcun limite e pochi controlli alle azioni degli immigrati e così consentendo loro di trasformarsi, anche se involontariamente, in una vera invasione. Se non ci saranno adeguate chiare norme di legge e un efficiente controllo sulla loro applicazione, allora dovremmo realmente ripensare al monito della Fallaci, a quello di Gheddafi e a quello di Lewis, e i governi dei nostri Paesi europei potrebbero diventare corresponsabili della potenziale trasformazione del nostro continente in una vera provincia dell’Islam.

L’islam non possiamo combatterlo con le guerre, ma con mezzi democratici, emettendo e applicando precise disposizioni di legge. Solo così sarà possibile contribuire alla riduzione della criminalità e del terrorismo e soprattutto contribuire al pieno ripristino delle nostre tradizionali libertà occidentali, soprattutto la libertà di espressione, fortemente osteggiata nei regimi dittatoriali, come quelli rappresentati dai quasi tutti i governi islamici.

È già noto che sarà impossibile fermare totalmente l’immigrazione, poiché è ormai certo che gli immigrati rappresentano anche delle risorse per il Paese europeo ospitante. È altresì noto che non sarà possibile fermare il loro aumento perché basterà soltanto l’effetto del loro maggiore tasso di natività, a fronte di quello sempre più basso dei Paesi dell’Occidente, per avere nei prossimi decenni in Europa, sopra menzionato, un forte incremento della popolazione musulmana. Si renderà pertanto necessaria una preliminare regolazione del loro ingresso e un piano europeo di corretta distribuzione nel territorio, con la creazione delle condizioni necessarie per avviare un reale processo d’integrazione, diversamente molti immigrati finirebbero sotto il controllo della malavita.

Resta adesso da chiederci quali potrebbero essere le condizioni per avviare un processo d’integrazione, oltre l’emanazione e l’applicazione delle disposizioni di legge sopra citate. L’integrazione è ormai ben noto che è influenzata dalle opportunità di lavoro e dalla capacità che esprime il governo del Paese ospitante di offrire un’adeguata protezione sociale e di attutire l’effetto derivante dalle diseguaglianze iniziali, soprattutto contrastando eventuali azioni di razzismo e di mancato rispetto dei diritti umani. Le azioni politiche dovrebbero mirare a dare l’opportunità agli immigrati di potere avere pari accesso alle posizioni lavorative di tutti i livelli dei servizi e delle istituzioni, compresi i livelli dirigenziali, con un trattamento paritario con gli abitanti del Paese ospitante. Ciò faciliterà anche i matrimoni misti che potrebbero rappresentare un mezzo per agevolare l’integrazione e migliorare le aspettative economiche e sociali delle nuove famiglie e quelle dei loro figli equiparandole a quelle degli abitanti dei Paesi ospitanti e perché loro stessi possano avere poi il desiderio di investire nel loro nuovo Paese le loro risorse e sentirsi pienamente integrati.

Se si riuscirà a fondere la multietnicità con i principi sopra evidenziati allora non c’è alcun motivo per temere un’invasione islamica, perché come ha detto Papa Giovanni Paolo II nella citata “Esortazione Apostolica”: «Una convivenza pacifica e uno scambio delle reciproche ricchezze interiori renderà possibile l'edificazione di un'Europa che sappia essere casa comune, nella quale ciascuno possa essere accolto, nessuno venga discriminato, tutti siano trattati e vivano responsabilmente come membri di una sola grande famiglia». Se crediamo realmente che quanto sopra si possa realizzare lavoriamo verso questo meraviglioso obiettivo perché potrebbe essere l’obiettivo per una futura pace duratura.

Note

1 Il Pew Research Center è un istituto apartitico che informa il pubblico sui problemi, gli atteggiamenti e le tendenze che plasmano il mondo con sondaggi di opinione pubblica, ricerche demografiche, analisi dei contenuti e altre ricerche di scienze sociali basate sui dati e con una verifica puntigliosa dei fatti e delle fonti, tesa anche a valutare la fondatezza di notizie.
2 L'AISI-SICILIA, Associazione Italiana per lo Sviluppo Internazionale - Sicilia, era a tale data la Sezione italiana della SID, "Society for Internazionale Development", un’associazione promossa dalle Nazioni Unite, fondata a Washington nel 1957 per studiare e per contribuire a risolvere, al livello internazionale, i problemi relativi allo sviluppo sociale, culturale, agricolo, industriale ed economico.
3 Al secondo piano del palazzo si trovano inoltre la Sala d'Ercole, attuale luogo di riunione dell'Assemblea regionale siciliana, la Sala Gialla e la Sala dei Viceré. Queste due sale sono state intitolate a Piersanti Mattarella, ex presidente della regione Sicilia, e Pio La Torre, ex segretario regionale del Pci, entrambi uccisi dalla mafia, il primo il 6 gennaio 1980, il secondo il 30 aprile 1982.
4 Il termine "Eurabia" è stato coniato principalmente dalla scrittrice e giornalista israeliana Gisèle Littman, conosciuta con lo pseudonimo Bat Ye'or, nel suo libro Eurabia: The Euro-Arab Axis pubblicato nel 2005. Il termine si riferisce ad una presunta islamizzazione dell'Europa, in particolare attraverso l'immigrazione e attraverso l'espansione demografica dei musulmani nel continente.
5 Pubblicato sul “Corriere della Sera” del 29/09/2001.
6 Bernard Lewis (31 maggio 1916 – 19 maggio 2018) è stato uno storico e orientalista britannico. Professore emerito di Studi del Vicino Oriente nell'Università di Princeton, è tra i maggiori storici dell'Islam a livello mondiale.
7 Nella prima invasione, l’islam conquistò la Spagna, l’Italia del sud e venne rimandato indietro. Nella seconda invasione, l’islam conquistò l’Anatolia, la moderna Turchia, che era cristiana, fino all’Europa sudorientale, arrivando fino a Vienna.
8 Die Welt è un importante quotidiano tedesco, fondato ad Amburgo nel 1946 dalle allora forze occupanti britanniche.