Ho già scritto altre volte dell’importanza della comunicazione e dell’attendibilità della stessa, in un epoca in cui la semplicità di accesso all’informazione non ha rispondenza con la veridicità della stessa né con la neutralità della fonte che la riporta. Mi pare di poter dire che oggi assistiamo a una crescente interferenza della politica nei media, ma soprattutto delle gigantesche aziende che gestiscono i più importanti canali d’informazione a livello mondiale e che determinano le economie globali e, di conseguenza, drogano a loro beneficio le notizie manipolando, così, il pensiero degli individui al tal punto che, gli stessi, non riconoscono nemmeno più questa alterazione.
Negli anni ’70, i cosiddetti anni di piombo, sui muri della mia città comparve una scritta che recitava “quando lo stato si prepara a colpire si fa chiamare patria”; oggi parafrasando quella sentenza potremmo dire che quando lo stato vuole depistare inventa un’emergenza.
Quali siano le emergenze è talmente evidente che mi sembra superfluo elencarle, ma per i più distratti ricorderò solo le più recenti ed evidenti a cominciare dal Covid, passando per la guerra in Ucraina, per arrivare al conflitto israelopalestinese, senza dimenticarmi di tutti i fatti di cronaca nera a cui i media ci obbligano ad assistere e discutere con interminabili non stop televisive.
Ovviamente non sto negando l’esistenza o l’importanza dei fatti menzionati, ma parlo di come ci vengono proposti dai nostri cari giornalisti sia della carta stampata che radiotelevisivi.
È da anni che i più attenti lamentano l’assenza di una vera pluralità dell’informazione e puntano il dito sull’omologazione della stessa. D’altronde i media non fanno altro che riflettere la finta pluralità di ideologie del nostro decadente panorama politico.
Immagino che alcuni di voi non saranno d’accordo con il sottoscritto e questo fa parte della pluralità delle idee e delle visioni della realtà, che non solo capisco, ma rispetto profondamente e, anzi, ritengo fondamentali. Soprattutto perché sono convinto che la percezione di quanto stia accadendo intorno a noi sia più completa quanti più punti di vista diversi dal nostro siamo disposti a prendere seriamente in considerazione.
A tal proposito mi fa piacere condividere con voi un articolo molto interessante non solo per il suo contenuto che, personalmente, condivido pienamente, ma soprattutto perché contiene ed esprime la visione distorta dell’Occidente secondo una persona originaria dell’India, ma che in Occidente ci vive e lavora da tempo. Parlo di Nissim Mannathukkaren, Professore associato del Dipartimento di studi sullo sviluppo internazionale della Dalhousie University ad Halifax, Nuova Scozia, Canada e collaboratore di uno dei quotidiani più diffusi in india, “The Hindu”.
E proprio su questo quotidiano, qualche giorno fa, ho trovato questo articolo sulla percezione che ha l’Occidente riguardo quanto sta avvenendo a Gaza, grazie alla manipolazione dell’informazione. L’articolo s’intitola:
L’ipocrisia della democrazia occidentale
Con l’incredibile cifra di 17.000 abitanti di Gaza già uccisi dal 7 ottobre, la Palestina sta vivendo una delle sue più grandi tragedie. L’Occidente lo ha incredibilmente reso possibile in vari modi: ha sostenuto il “diritto di difesa” di Israele riducendo la Palestina ad Hamas; ha confuso le critiche al sionismo e allo stato israeliano con l’antisemitismo; ha armato l’Olocausto e ha tentato di cancellare la storia (la Casa Bianca ha descritto l'attacco di Hamas come “non provocato”).
Le società occidentali che professano la democrazia hanno anche soffocato la libertà di espressione del proprio popolo, non con diktat ufficiali, ma demonizzando e prendendo di mira i cittadini che parlano a sostegno della Palestina. Soprattutto nelle università occidentali. Nelle istituzioni della Ivy League, come Harvard e Columbia, i dettagli privati degli studenti che hanno firmato lettere pro-Palestina sono stati resi pubblici. Importanti donatori ebrei (e sostenitori dello Stato israeliano) hanno ritirato i finanziamenti alle università, tra cui Harvard e Pennsylvania, sostenendo l’inazione contro l’antisemitismo e i discorsi antisraeliani nei campus (notare che il 45% delle entrate di Harvard, pari a 5,8 miliardi di dollari nel 2022, proveniva dalla filantropia). Le amministrazioni universitarie del Nord America hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali che condannavano solo Hamas. E gli studiosi che lavorano sulla libertà palestinese hanno dovuto affrontare vari tipi di molestie.
I media sono stati fondamentali, negli ultimi 75 anni, per inquadrare il conflitto israelo-palestinese a benefico dei cittadini occidentali. Il problema fondamentale, con poche onorevoli eccezioni, è stato il pregiudizio schiacciante nei confronti di Israele. Come hanno osservato 1.200 accademici ed educatori del Nord America in una loro recente lettera aperta, le radici storiche della violenza e l'illegalità dell'occupazione israeliana, nel diritto internazionale, non vengono discusse.
Parole come apartheid, pulizia etnica, intento genocida, colonialismo di insediamento – usate da studiosi, organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch, l'importante gruppo israeliano per i diritti B'Tselem e le Nazioni Unite, per descrivere le azioni israeliane – scompaiono nei discorsi.
Il volto liberale di istituzioni come Hollywood è ora evidente. L’iniziale mancanza di risposta all’attacco di Hamas da parte di sindacati come la Writers Guild of America ha portato a un contraccolpo. Inoltre, circa 700 persone dell'industria dell'intrattenimento hanno firmato una lettera aperta dichiarando il loro sostegno a Israele. D’altra parte, le voci propalestinesi hanno scelto di rimanere anonime nelle loro lettere per evitare di essere doxxate o inserite nella lista nera come antisemite. Alcuni attori, agenti artistici e direttori di riviste hanno dovuto affrontare conseguenze professionali.
Le azioni più eclatanti hanno avuto luogo in Europa, il presunto bastione della libertà di parola. Paesi come il Regno Unito, la Francia, la Germania e l’Italia hanno dichiarato enfaticamente il loro sostegno a Israele e hanno imposto vari tipi di divieti (alcuni dei quali generali) alle proteste propalestinesi. L’Austria, ad esempio, ha vietato una manifestazione propalestinese citando come giustificazione l'inclusione della frase “dal fiume al mare” negli inviti [slogan che nacque negli anni Sessanta nel contesto dei movimenti per la creazione di uno stato palestinese, n.d.r.]. Ironia della sorte, questa è la stessa Europa “libera” in cui le leggi sulla blasfemia sono abolite (Danimarca, Svezia) e le caricature della religione sono permesse (Francia) e hanno portato a roghi del Corano e vignette sul profeta Maometto.
Non si può negare che ci siano posizioni incendiarie, articoli con notizie false e anche celebrazioni della brutalità da entrambi i lati della divisione, che non favoriscono certo dibattiti ragionati. Se gli episodi di razzismo nei confronti dei palestinesi e degli arabi sono aumentati, è aumentato anche l’antisemitismo.
Ma la causa principale della complicità occidentale nell'oppressione palestinese risiede nel colonialismo e nell'imperialismo, mascherati dalla facciata della democrazia liberale. La democrazia ha apparentemente prosperato in Occidente, che ha perpetuato il colonialismo e l'imperialismo altrove. Ma anche quelle libertà democratiche in patria sembrano ora minacciate.
La via d'uscita dalla complicità nella colonizzazione israeliana della Palestina può esistere solo attraverso una denuncia delle ipocrisie della democrazia occidentale. Questo è stato fatto da coloro che sono ai margini di questa democrazia. Ad esempio, l’Inchiesta Nazionale sulle Donne e le Ragazze Indigene Scomparse e Assassinate, nominata dal governo canadese, è stata costretta a riconoscere che lo Stato canadese ha perpetrato un genocidio contro le popolazioni indigene.
C’è resistenza alla guerra in Palestina, non solo da parte di arabi e palestinesi, ma anche da parte dei dissidenti ebrei. Gli orrori che si stanno verificando a Gaza stanno cambiando anche le opinioni. Questa volta i media mainstream occidentali hanno dato un po' più spazio alle storie palestinesi, anche se non sono sufficienti. Nei recenti sondaggi d'opinione statunitensi, quasi il 70% dei democratici e degli elettori di tendenza democratica sotto i 35 anni ha disapprovato il sostegno del presidente Joe Biden a Israele.
Mentre la carneficina israeliana a Gaza riprende, l’Occidente dovrebbe ascoltare persone come Omer Bartov, nato in Israele, uno dei più importanti studiosi dell’Olocausto al mondo, che, pur esprimendo giustamente empatia per le vittime ebree degli atroci crimini di guerra di Hamas, ha messo in guardia dal genocidio e ha chiesto ai leader e agli studiosi “di mettere pubblicamente in guardia contro la retorica [israeliana] piena di rabbia e vendetta che disumanizza la popolazione di Gaza …”.
Come ha affermato un altro studioso dell’Olocausto, Raz Segal, “Nessuna giustizia è possibile… senza una resa dei conti veritiera di come siamo arrivati a questo punto”. L’Occidente deve riconoscere il proprio ruolo mostruoso nel portare la Palestina verso questo precipizio.