I tristi recenti eventi bellici che stanno interessando prevalentemente l’Europa e il Mediterraneo e le gravi tensioni provocate dagli incontrollati flussi migratori hanno probabilmente partecipato a distrarci da eventi umanitari dovuti all’ancora esistente e praticata schiavitù. E non si fa riferimento alla cosiddetta “moderna schiavitù” che comprende azioni di violenza che quotidianamente vengono perpetrate, in maniera più o meno intensa, in quasi tutti i Paesi del mondo e che comprende la costrizione di lavoro attraverso uno sfruttatore, il trattamento disumano di persone che vengono limitate nei loro movimenti e in genere nella loro libertà, il traffico di esseri umani con i migranti, lo sfruttamento del lavoro per debiti, lo sfruttamento dei bambini, lo sfruttamento sessuale, ecc. Tutte forme di schiavitù che oggi sono già particolarmente attenzionate.
In questo articolo si fa, invece, riferimento a quella schiavitù, che chiameremo “classica”, discendente diretta di quella nata nel 1619 in America, in Virginia, dove dalla fregata White Lion sbarcarono i primi venti uomini di origine africana, detti “negroes”, per essere venduti come schiavi lavoratori.
Purtroppo, questo tipo di schiavitù di antiche origini, che sembrava scomparsa, é ancora tristemente presente in alcuni Paesi, con essa l’uomo-schiavo perde la propria personalità e dignità diventando di fatto proprietà di un altro uomo, dal quale sarà strettamente dipendente. E la cosa ancora più grave è che tali condizioni di schiavitù non sono limitate nel tempo, perché diventano ereditarie, con figli di schiavi che diventano automaticamente anche loro schiavi dello stesso padrone e possono essere ceduti a terzi da soli o assieme ai loro genitori.
Sembrano situazioni sociali di un passato ormai remoto che conosciamo attraverso romanzi e film, mentre sono ancora tristemente presenti in alcuni Paesi, soprattutto africani, dove lo schiavo è considerato come un appartenente ad una sottospecie umana.
Perché ci riferiamo alla “schiavitù classica” in Mauritania
Si è preferito fare riferimento alla Mauritania perché fa parte del Maghreb Arabo ed è il territorio di collegamento tra l’Africa subsahariana, l’Atlantico e i territori del Mediterraneo occidentale. Altro motivo è che la Mauritania è stato l’ultimo Paese africano che nel 1981 ha abolito la schiavitù per legge, anche se di fatto è lo stesso pienamente applicata. È dunque il primo Paese a Sud dell’Europa dove tale fenomeno persiste vistosamente.
Prima di affrontare l’argomento della “schiavitù classica” o della “schiavitù da negrieri” si ritiene interessante e opportuno evidenziare brevemente alcuni aspetti sociali relativamente alle principali etnie presenti, economici per evidenziare lo stato di povertà, politici per capire i repentini cambiamenti di governo anche attraverso colpi di stato e infine religiosi, poiché sembra che proprio la religione giustifichi tale vigente schiavitù.
Le etnie
La Mauritania, con 4.736.139 abitanti nel 2022, è composta da diverse etnie con un potere locale secondo uno schema piramidale.
I Mauri, costituiscono circa il 70% della popolazione e sono divisi in due etnie: i Mauri bianchi o “Beydens”, sono di origini arabe-berbere e costituiscono circa il 30% della popolazione totale della Mauritania; discendono da antichi nobili, costituiscono la “classe dominante” e sono al vertice della piramide sociale. Discendono dai nomadi del deserto e sono di pelle chiara e alti di statura; gli uomini e le donne vestono abiti finemente ricamati e più il ricamo e la qualità sono ricchi, più è indicativo del grado di nobiltà da cui discende la persona; hanno praticato e praticano ancora la schiavitù verso l’etnia Haratin.
I Mauri neri o “Haratines”, sono un gruppo etnico più numeroso della popolazione mauritana, circa il 40%, di essi circa il 30% sono di pelle nera e provengono dalle oasi del Sahara. Oggi sono sfruttati ed emarginati e difficilmente occupano posti importanti nella società; sono coloro che anticamente erano gli schiavi di pelle nera e il cui destino di inferiorità era e sembra ancora molto evidente all’interno della società maura.
Tra queste due classi sociali estreme c’è il restante 30% della popolazione suddivisa in gruppi di diverse etnie: Wolof, Fulani, Soninkes, Imraguen, Toukouleur, Peulh, Tuareg.
Aspetti economici
Si ritiene indispensabile fornire alcune minime indicazioni sull’attuale situazione economica e sulla storia politica del Paese poiché alla classe povera del Paese è certamente legata la “schiavitù negriera” ancora esistente, ancorché ufficialmente condannata dallo Stato.
La Mauritania, con il PIL pro capite di 2.160,00 USD (2022) (dato fornito dalla Banca Mondiale) è uno dei Paesi tra i più poveri dell’Africa, pur avendo, paradossalmente, grandi risorse naturali, come ferro, rame ed alcune riserve di petrolio e di gas alla cui ricerca ed estrazione ha partecipato anche l’Unione Europea con importanti investimenti. Inoltre, la Mauritania ha un grande potenziale per l’utilizzo dell’energia solare ed eolica ed ha una buona quantità di oro e di diamanti che potrebbero assicurare un discreto sviluppo economico a tutto il Paese. Purtroppo, come avviene in altri Paesi con condizioni similari, i benefici economici derivanti dal parziale utilizzo di dette risorse sono un diritto esclusivo di pochi, mentre la popolazione povera è e continuerà a restare povera.
Infine, la pesca, con il mare tra i più pescosi al mondo, rappresenta una delle grandi attività economiche del Paese attraverso il commercio dei prodotti ittici, sia freschi, che essiccati che vengono esportati in tutta l’Europa.
Un Paese, dunque, tra i più poveri dell’Africa, ma potenzialmente ricco, con cui mirano di instaurare rapporti politici e commerciali molti Paesi anche per la sua posizione strategica nell’Atlantico. Purtroppo un Paese con fortissimi contrasti sociali.
Mauritania: cenni sulla recente storia politica
Anche la sua travagliata storia politica ha avuto ed ha ancora una forte responsabilità sulla mancata estirpazione della “schiavitù negriera”. Pertanto, si ritiene opportuno dare alcune sintetiche informazioni almeno sugli ultimi periodi storici, da cui si evidenzia lo stato attuale sul rispetto dei diritti umani e in particolare sulla mancata abolizione di quella forma di schiavitù che si pensava fosse ormai estinta.
Dopo la vittoria elettorale, a seguito di ballottaggio il 25 marzo 2007, venne eletto Presidente Sidi Mohamed Ould Cheikh Abdallahi già più volte Ministro. Il 3 settembre 2007 fu emanata la legge 2007-048 che prevedeva la detenzione fino a 10 anni per la schiavitù. Il presidente venne però arrestato, l’anno successivo alla sua elezione, a seguito del colpo di Stato del 6 agosto 2008 da parte delle Forze armate che portarono al comando del Paese il generale Mohamed Ould Abdel Aziz, che con le sue prime disposizioni emanate annullò le ultime nomine militari decise dal suo predecessore e fece velocemente arrestare i suoi maggiori oppositori. Questo colpo di Stato venne immediatamente condannato dall’Unione Africana (UA), dall’Unione Europea e dalla Casa Bianca.
Alcuni giorni dopo ci fu però un attentato rivendicato dalla branca di al-Qaida nel Maghreb islamico, abbreviata col termine AQMI o AQIM, un gruppo terrorista jihadista attivo nell'area sahariana e saheliana e per tale attentato la Mauritania ebbe il sostegno internazionale. Negli anni successivi ci furono diverse azioni terroristiche compreso il sequestro di due persone che effettuavano un viaggio nel Sahara. Il Presidente Aziz, contrastando fortemente queste azioni si guadagnò nuovamente il sostegno dell’UA oltre quello popolare.
Nel marzo del 2013 Aziz, ha costituito un’agenzia nazionale per combattere la schiavitù, la povertà e per favorire l’integrazione dei rifugiati, tuttavia non si sono ottenuti i risultati sperati perché di fatto nulla è cambiato in merito alla schiavitù.
Nelle elezioni del 21 giugno 2014, nonostante fosse ancora viva la condanna della comunità internazionale per il suo colpo di Stato, Aziz venne di nuovo eletto Presidente, riuscendo a battere nettamente, tra gli altri, anche Biram Dah Abeid, attivista dei diritti umani fortemente schierato nella lotta contro la schiavitù che verrà citato di seguito.
Sotto la Presidenza di Aziz viene emanata la legge del 12 agosto 2015 che considera la schiavitù come un reato contro l’umanità e aumenta la detenzione a 20 anni, ma c’è stata una poco attenta applicazione della legge e sembra che in carcere siano finiti più antischiavisti che schiavisti. Neanche in questo suo secondo mandato, sembra che il Presidente abbia ottenuto grandi successi per i provvedimenti adottati per il rispetto dei diritti umani, per la tutela dei partiti politici e del movimento anti-schiavista.
Nella successiva elezione del 22 giugno 2019 il presidente uscente non si candidò e non fece alcuna mossa preventiva per potere estendere ulteriormente il suo mandato e venne così eletto al primo turno Mohamed Ould Ghazouani.1 Biram Dah Abeid è eletto deputato dal 2014 e sarà un forte candidato alla Presidenza nelle elezioni del 2024.
L’importanza che la popolazione dà al fenomeno della “schiavitù” lo dimostra l’elezione a Presidente di Mohamed Ould Ghazouani, ben sapendo che era stato un delfino di Aziz e che tra le critiche fatte al Presidente uscente ci fu anche quella di non avere ostacolato la schiavitù.
La “moderna schiavitù”
Pur non essendo oggetto del presente articolo si ritiene opportuno esporre sinteticamente il concetto di “moderna schiavitù”, servirà per meglio comprendere la portata di quella che indicheremo “schiavitù classica” o “schiavitù negriera”, originariamente gestita dai negrieri di cui tratteremo di seguito.
Quando si parla di moderna schiavitù, come riportato da un rapporto della Walk Free Foundation australiana, ci si riferisce essenzialmente a situazioni di sfruttamento che una persona non può rifiutare o lasciare a causa di minacce, violenza, coercizione o inganno.
La schiavitù moderna include il lavoro forzato, il matrimonio forzato o servile, la schiavitù per debiti, lo sfruttamento sessuale commerciale forzato, la tratta di esseri umani, le pratiche simili alla schiavitù e la vendita e lo sfruttamento dei bambini a scopo lavorativo o sessuale o per il trapianto di organi. In tutte le sue forme la “schiavitù moderna” rappresenta la rimozione della libertà di una persona, la sua libertà di accettare o rifiutare un lavoro, la sua libertà di lasciare un datore di lavoro per un altro, la sua libertà di decidere se, quando e chi sposare, ecc.
Il Global Slavery Index (GSI), che è un rapporto pubblicato dalla Walk Free Foundation, fornisce un indice annuale del livello di schiavitù globale nelle nazioni del mondo attraverso indagini con migliaia di interviste. La Mauritania nella classifica della schiavitù moderna occupa il terzo posto dopo North Korea ed Eritrea. Purtroppo, sembra che il mondo si stia ormai abituando a questa forma di schiavitù moderna e che a poco siano servite le emanazioni di leggi in quasi tutti i Paesi per il rispetto dei diritti umani e infine, cosa ancor più grave, sembra che questa forma di schiavitù non tendi a diminuire, sebbene gli immensi sforzi compiuti dalle associazioni e organizzazioni umanitarie.
Come ho già scritto nell’articolo Sul riconoscimento dei diritti umani - L’Organizzazione delle Nazioni (dis)Unite, non è facile comprendere «a cosa è servita la sottoscrizione dell’atto costitutivo dell’ONU e la successiva adesione all’ONU da parte degli altri Stati, se poi uno dei punti fondanti di tale accordo “il riconoscimento dei diritti umani” viene spesso disconosciuto?».
La “schiavitù classica”
Intenderemo come “schiavitù classica” quella secondo cui un essere umano, che è lo schiavo, diventa di proprietà di un altro essere umano, che diventa il padrone e ha diritto di vita e di morte sullo schiavo; può sfruttarne il lavoro a suo piacimento e lo nutre per mantenerlo in vita come oggetto di sua proprietà. Della proprietà fanno parte anche i figli, i figli dei figli e i futuri figli, così i figli di schiavi diventano schiavi per eredità.
A tutto ciò si può assistere in film di navi negriere che deportavano in America gli uomini che avevano prelevato in Africa. Gli schiavi poi, presso il loro nuovo padrone, lavoravano con turni massacranti spesso sotto frustate quando per stanchezza rallentavano il ritmo. Le donne oltre che sfruttate nei lavori domestici e dei campi venivano spesso violentate anche per produrre gravidanze e dunque nuovi schiavi.
Il lettore penserà che questa è solo una classica descrizione di azioni violente di tempi passati e invece no, perché questo tipo di schiavitù esiste ancora. Esiste mentre l’umanità cerca di scoprire altri pianeti dove programmare la futura espansione umana e mentre assistiamo ad una forte evoluzione dell’intelligenza artificiale che mira sempre più a superare quella umana, esiste questo tipo di schiavitù in barba all’avvenuta sottoscrizione di impegni importanti per il rispetto dei diritti umani da quasi tutti i Paesi del mondo.
La “schiavitù classica” mauritana ha poi un’altra peculiarità: le persone che vengono comprate come schiavi sono musulmani che vengono comprati da padroni anch’essi musulmani, ma le modalità di schiavitù sono identiche a quelle antiche sopra menzionate.
Casi di “schiavitù classica” avvengono in molti Paesi del Sahel. In Benin, con la vendita di bambine ad una famiglia affidataria, in Ciad, dove bambini di famiglie povere vengono acquistati, tenuti come schiavi e venduti in Sudan, in Mali e in Niger, dove la schiavitù abolita per legge è ancora diffusa tra i gruppi etnici nomadi e in particolare tra i Tuaregh; in Sudan, dove ancora è ben presente questo tipo di schiavitù, ma il caso più eclatante del Sahel è sicuramente quello della Mauritania dove si registra la più alta percentuale rispetto al numero di abitanti.
La schiavitù in Mauritania si tramanda di generazione in generazione. Un paese dunque dove i bambini figli di schiavi sono schiavi ancor prima di nascere, sono schiavi per discendenza. La schiavitù purtroppo continua e nessun presidente della repubblica è stato nelle condizioni di non farla applicare.
Le azioni dei citati Governi dopo il 2008, con il forte aumento della pena detentiva hanno ridotto i casi di schiavitù classica, che sembrano oggi a circa l’1% della popolazione, ma la schiavitù resta pur sempre una caratteristica endemica della società mauritana, sembra che il destino di certe etnie abbia innato un marchio d’inferiorità.
Il vero numero di schiavi con padrone è comunque difficile da accertare, poiché il Governo non sembra che partecipi al riconoscimento del numero reale. Un haratin (nero) non potrà mai essere alla pari di un beydens (bianco), ad esempio, non potrà indossare un abito ricco, anche se dovesse paradossalmente possedere i mezzi per comprarlo, né potrà aspirare ad occupare un posto importante nella società.
Attività antischiavista
Questa situazione sociale paradossale e anacronistica ha fatto nascere movimenti contro la schiavitù, con persone coraggiose, noncuranti della facile carcerazione cui sarebbero andate incontro, che si sono cimentate anche nell’attività politica e con ottimo consenso popolare.
L’esempio più eclatante è dato da Biram Dah Abeid, un ex schiavo, figlio di schiavi, abolizionista, avvocato, che nel 2008, a seguito dell’immobilismo del governo nei confronti della schiavitù fondò l'IRA-Mauritania (Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste), della quale è Presidente, con cui lotta da anni per il rispetto dei diritti umani e soprattutto per l’abolizione della schiavitù esercitata dalle élite arabo-berbere a discapito delle comunità nere e soprattutto degli haratin. Lotta attraverso la nonviolenza e la disubbidienza civile, secondo il modello di Martin Luther King.
Più volte è stato arrestato e incarcerato, per l’ennesima volta è stato incarcerato la mattina del 24 maggio 2023 nella capitale Nouakchott, ma liberato due giorni dopo. Dah Abeid è un musulmano che lotta anche contro antiche tradizioni e leggende che si fanno risalire al Corano. Una leggenda, ad esempio, giustifica la convinzione diffusa nel Paese che i neri haratin non siano dei buoni musulmani e che solo servendo gli arabo-berberi bidan (bianchi) essi possano raggiungere il Paradiso.
Tale leggenda è descritta sul giornale “L’Opinione delle Libertà” del 10 maggio 2017, nell’articolo Con Biram contro la schiavitù in Mauritania, a firma di Alessandro Gioia.2 «Un giorno due uomini, che stavano attraversando il deserto portando con sé ciascuno la propria copia del Corano, furono sorpresi dalla pioggia. Uno dei due repentinamente mise in salvo dall’acqua per prima cosa il Libro Sacro, mentre l’altro impudentemente se ne servì per ripararsi la testa. Costui divenne nero per l’inchiostro sciolto che colava dal libro».
Evidentemente il primo uomo rappresenta il buon islamico, che sarebbe l’arabo-berbero, il secondo rappresenta il peccatore, identificato quasi esclusivamente con l’haratin. La leggenda mette in chiara evidenza la supremazia dell’uomo bianco sul nero che persiste ancora in Mauritania. Ma di tutto ciò non sembra che si trovi traccia nel Corano, né negli adith.3 Questa leggenda e altri probabili racconti interpretativi di particolari disposizioni religiose alimentano tra la povera gente haratin un senso di rassegnazione anche per il convincimento che il loro stato è volontà di Allah. Un popolo che, dai dati della Camera Italo Araba per il 2022 risulta con un tasso di analfabetismo di adulti (15 anni e oltre) del 53,5% e un reddito pro capite di $ USA 1.730,0 (2021).
Ma un quadro chiaro sullo stato della “schiavitù negriera” in Mauritania è descritto nell’intervista rilasciata da Biram Dah Abeid, ormai chiamato il Mandela della Mauritania, a Rainews.it il 14 febbraio 2019: «Mi sono impegnato in una situazione che in Mauritania è simile a quella del Sudafrica al tempo della lotta di Nelson Mandela. Nel mio Paese ci sono grandi sacche di umiliazione e una diaspora nera che parte dalla Mauritania passando dall’Africa del Nord, dal Medio Oriente, dall’Iran e arriva fino all’India. Viviamo una diaspora nera che costringe a condizioni subumane e di invisibilità.
In Mauritania c’è un codice negriero che alimenta una tratta simile a quella atlantica degli africani tra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo e abolito solo nel diciannovesimo negli Stati Uniti questo codice è in vigore nel mio Paese e rende legale la schiavitù e chi denuncia è passibile di 5 anni di prigione per questo ho subito diversi arresti, sono stato più volte in prigione».
La schiavitù e l’islam
Una cosa che non passa certamente inosservata è che attualmente la forma della cosiddetta “schiavitù classica”, riscontrabile nel continente africano, è in uso principalmente tra popoli musulmani, dove musulmano è il padrone e quasi sempre musulmano è lo schiavo. Pertanto, per comprendere le motivazioni dell’esistenza di questo triste fenomeno e l’eventuale speranza della sua estinzione è lecito chiedersi innanzitutto se la schiavitù è prevista nell’islam e, nel caso positivo, se praticata su un musulmano credente o comunque verso chi può essere praticata.
Tale veloce indagine non si deve interpretare come un processo all’islam per la schiavitù, poiché allo stesso modo si dovrebbero processare azioni di schiavismo perpetrati nei secoli scorsi da cristiani ed ebrei. Il problema è invece di fare brevi richiami al passato solo per capire le radici di quella in esame in riferimento al continente africano e valutare le eventuali azioni possibili per la sua estinzione.
Importanti notizie su tale argomento si possono leggere nell’articolo Lo status dello schiavo per l’islam: cenni storici, questioni terminologiche e legali pubblicato nella rivista “Altre Modernità” dell’Università degli Studi di Milano nel febbraio 2019. Inoltre, dalla lettura delle Sure del Corano, oltre la chiara dimostrazione che la schiavitù era già presente in civiltà anteriori alla nascita dell’islam, si evincono precise indicazioni sul rapporto schiavo-padrone. Solo a titolo di esempio si ritiene opportuno citare di seguito il contenuto e relativo significato di alcune Sure che contribuiscono a dare risposta ai quesiti iniziali sul rapporto schiavo/religione.
Il Corano se da un lato non vieta la schiavitù, dall’altro impone un grande rispetto umano per gli schiavi, come riportato nel versetto 36 della Sura IV - An-Nisâ’ (Le Donne): «Adorate Allah e non associateGli alcunché. Siate buoni con i genitori, i parenti, gli orfani, i poveri, i vicini vostri parenti e coloro che vi sono estranei, il compagno che vi sta accanto, il viandante e chi è schiavo in vostro possesso. In verità Allah non ama l’insolente, il vanaglorioso».
Nel versetto 89 della Sura V - Al-Mâ’ida (La Tavola Imbandita) è evidenziato che lo schiavo era anche considerato un bene prezioso da utilizzare anche per espiare alcuni peccati: «Allah non vi punirà per una avventatezza nei vostri giuramenti, ma vi punirà per i giuramenti che avete ponderato. L'espiazione consisterà nel nutrire dieci poveri con il cibo consueto con cui nutrite la vostra famiglia, o nel vestirli, o nel liberare uno schiavo […]».
Emerge inoltre dal Corano che la donna schiava poteva assurgere al rango di moglie/concubina, infatti, mentre nell’islam sono consentite fino a 4 mogli regolari, nessun limite era posto al numero delle concubine. Dunque, la schiavitù consentiva di bypassare anche alcune disposizioni religiose. Infatti il versetto 82 della Sura XXXIII - Al-Ahzâb (I Coalizzati) così recita: «D'ora in poi non ti è più permesso di prendere altre mogli e neppure di cambiare quelle che hai con altre, anche se ti affascina la loro bellezza, eccetto le schiave che possiedi. Allah osserva ogni cosa».
Interessanti notizie sulla Schiavitù dell’islam sono riportate anche su “Cathopedia” The international Catholic Encyclopedia Projet”.
Vittime della tratta degli schiavi per mano araba furono, nell’antichità, oltre che popoli europei soprattutto abitanti dell'Africa subsahariana. Con l’avvento dell’islam la schiavitù è stata sempre praticata secondo tradizione e religione, poiché non risulta che venga esclusa dal Corano, con la limitazione che per i musulmani possono essere schiavi quelli che non sono musulmani e le cosiddette categorie che i conquistatori musulmani chiamavano dhimmi “protetti”. Indicando con tale termine i monoteisti cristiani ed ebrei, per i quali era assolutamente vietato ridurli in schiavitù, tranne che non avessero pagato la tassa dovuta per essere accettati nel mondo musulmano, in quel caso la protezione cessava.
Per quanto sopra gli arabi solevano comperare schiavi di altri Paesi non musulmani per utilizzarli come mano d’opera e per arricchire i loro eserciti, mentre le schiave venivano utilizzate come servitù domestica o per il concubinaggio. Alle origini uno schiavo, a discrezione del suo padrone, poteva essere reso libero dopo la sua conversione all’islam. E la conversione gli apriva la strada verso la libertà e lo metteva in condizioni di godere di qualche privilegio, con un trattamento più umano.
Queste considerazioni potrebbero già bastare a giustificare che la schiavitù in Mauritania non può essere frutto della volontà di Allah, ma della piena accettazione di antichi costumi sui quali non è posto alcun veto religioso.
Considerazioni finali
In definitiva in Mauritania la “schiavitù classica”, a fronte della sua ufficiale scomparsa dichiarata dal governo, rappresenta ancora circa l’1% della popolazione di etnia quasi esclusivamente Haratines (“Mori neri”), pari a circa 47.000 abitanti, mentre la schiavitù generale, comprendente anche la “moderna schiavitù” raggiunge circa la grande percentuale del 20% della popolazione.
Anche se a seguito delle lotte di Dah Abeid, del suo coraggio e della sua determinazione furono emanate le leggi con pesanti pene detentive, il governo di fatto non riesce a debellare la “schiavitù classica” e le motivazioni derivano principalmente dagli aspetti sociali e religiosi di seguito evidenziati.
Dal lato sociale è ben noto da millenni che possedere uno schiavo assicura al suo padrone uno status sociale di prestigio e lo agevola nella gestione delle attività familiari e della gestione dei campi.
Dal lato religioso la Costituzione prevede che "L'islam è la religione del popolo e dello Stato", pertanto la sharia costituisce, di fatto, una delle basi della legislazione e alcuni studiosi di diritto islamico sostengono la legittimità della schiavitù. Infatti, il Corano, come sopra evidenziato, non condanna la schiavitù, anzi la legittima evidenziando la piena compatibilità religiosa richiamandola in diverse Sure.
È pertanto evidente che le norme religiose rappresentano un’opportuna giustificazione per il mantenimento di attività da “negrieri” ed è verosimile ipotizzare che detti “padroni”, che rappresentano la fascia sociale economicamente più alta del Paese, possano determinare le decisioni del governo avendo come opposizione la fascia sociale più povera e sottomettibile.
Sembra però che esistano delle sostanziali differenze tra la “schiavitù classica” secondo tradizione e quella applicata, differenze anche in riferimento alle disposizioni religiose. Subito dopo la nascita dell’islam, potevano essere schiavi dei musulmani i non musulmani e i dhimmi, persone appartenenti a particolari categorie protette, mentre allo stato attuale gli schiavi Mauritani sono musulmani praticanti. Dunque in pieno contrasto con quanto previsto dalle sacre scritture islamiche.
Inoltre il Corano non vieta la schiavitù, ma impone un grande rispetto umano verso gli schiavi e da quel che si legge sembra che le attuali condizioni della schiavitù siano ben diverse da quelle descritte nel Corano.
La donna schiava poteva e può assurgere al rango di moglie/concubina pur non essendo musulmana, bypassando così alcune disposizioni religiose, e quando si convertiva assumeva particolari previlegi nell’ambito della famiglia e della società.
Avendo chiaro questo quadro generale è evidente che la schiavitù in Mauritania esiste e non segue assolutamente le disposizioni coraniche, ma è attuata con la totale privazione dei diritti umani. Ma allora è lecito chiedersi perché la Mauritania dal gennaio 2020 fa parte del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU. Un ingresso fortemente e giustamente contestato da quanti denunciano costantemente arresti e detenzioni per il solo fatto di aderire a manifestazioni contro la schiavitù.
Tra tutti i richiami, forse uno dei più eleganti, ritengo sia enunciato da Biram Dah Abeid a chiusura dell’intervista rilasciata a Rainews.it nel 2019.
«L’unione europea nella sua cooperazione con l’Africa non è leale con i suoi principi fondanti che sono a favore di una trasparenza delle risorse economiche, l’Europa coopera con regimi che svuotano le convenzioni democratiche sui diritti dell’uomo e le convenzioni sui diritti dell’ambiente e per questo i giovani africani sono spinti alla disperazione per l’impoverimento e la spoliazione delle ricchezze da parte dei loro governi e i giovani partono verso l’occidente. L’Europa si sbaglierebbe 1000 volte se pensasse di combattere il terrorismo e regolamentare l’immigrazione senza ritirare il suo appoggio il suo sostegno a Paesi che non rispettano i diritti dell’uomo. Tra questi Paesi che non li rispettano sicuramente c’è la Mauritania».
La forte critica all’Unione Europea mossa da Dah Abeid andrebbe anche indirizzata a tutti i Paesi che nel sostenere Paesi in difficoltà economiche dovrebbero preventivamente accertare se in quel paese vengono rispettati i diritti umani, che non sono negoziabili, e non far prevalere sempre l’interesse economico e politico a quello umanitario, diversamente l’aiuto economico non raggiungerà facilmente l’obiettivo previsto.
A cosa serve criticare uno Stato che mantiene in vita le citate abominevoli situazioni di schiavismo e poi agevolarne ipocritamente il suo ingresso nel Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU? Non potrebbe ciò rappresentare un sostegno al mantenimento di una schiavitù negriera vergogna dell’umanità, con l’utopia di un cambiamento da tutti apparentemente voluto e mai attuato?
Note
1 Nel 2008, Ghazouani è stato Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della Mauritania e nel 2012 è stato nominato Capo di Stato ad interim. Ha lasciato questi incarichi nel 2018. L’anno successivo, nel 2019, Ghazouani è diventato ministro della Difesa della Mauritania. Come ministro della Difesa, si è candidato alla presidenza ed è stato eletto.
2 Tesoriere nazionale e Presidente del comitato romano della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo.
3 Breve narrazione relativa a detti o fatti del Profeta.