Il fatto che i migranti possano diventare una risorsa per l’Unione Europea sembra un vero dilemma e sta facendo sempre più emergere domande che vanno oltre quella dell’obbligatorietà o meno dell’accoglienza umanitaria di quanti ne hanno realmente diritto, toccando la sfera degli interessi economici dei Paesi ospitanti. Una domanda sorge spontanea: ma la presenza di migranti nell’Unione Europea, spesso oggetto di critiche prevalentemente negative, potrebbe realmente diventare un’opportunità da non trascurare, anzi, da attenzionare positivamente?
La risposta da dare è complessa, pertanto, prima che il lettore possa formulare un suo pensiero su tale importante argomento, si ritiene indispensabile fare alcune riflessioni di carattere generale sugli effetti che i flussi migratori potrebbero avere nei Paesi ospitanti. Nelle nostre considerazioni preliminari non possiamo tralasciare la consapevolezza che il clima mondiale è profondamente cambiato e ha modificato il modo di vivere in molte regioni del mondo con la crescente desertificazione di vaste aree. Ci sono Paesi con vaste aree desertiche dove la sopravvivenza umana è stata da sempre difficile e oggi è diventata assolutamente impossibile per la quasi totale mancanza di risorse idriche e conseguentemente di risorse agricole. In altri Paesi, invece, la vita di intere popolazioni è costantemente minacciata da guerre, da persecuzioni spesso strumentalmente legate alla razza e/o alla religione. Ciò premesso, con piena coscienza e senso umanitario dovrebbe essere naturale chiederci: le popolazioni che vivono tali disagi cosa dovrebbero fare? Restare e morire o tentare la sorte spostandosi verso altri lidi, pur nella consapevolezza dei rischi per la propria vita durante il tragitto?
Alla categoria dei migranti sopramenzionati, a cui si deve porre la massima attenzione con priorità assoluta, si aggiunge quella dei cosiddetti “migranti economici”, formata in parte da giovani, che, pur se con titoli di studi superiori o con buone qualifiche artigianali e lavorative nel loro Paese, cercano di emigrare in luoghi dove ritengono che sia più sicuro il loro avvenire e quello dei loro figli. Un’esperienza già messa in atto nel secolo scorso da flussi di migranti che dal sud dell’Europa e in particolare dal sud dell’Italia si spostavano verso altri Paesi europei o d’oltre oceano (Svizzera, Germania, Stati Uniti d’America, Argentina, Australia, ecc.).
Il problema dei migranti, come ormai è ben noto, è di grande complessità, e le opinioni su tali argomenti possono variare da un Paese all’altro del mondo e della stessa Unione Europea. Esse dipendono principalmente dalla situazione demografica, dalle condizioni economiche e in parte dalle tradizioni locali e stanno stimolando dibattiti e scontri sugli aspetti politico-sociali ed economici legati a tale problema. Gli aspetti politico-sociali riguardano principalmente la crescente multietnicità a cui andiamo incontro e le difficoltà riscontrate nell’integrazione, dovute soprattutto alle differenti religioni, ai diversi usi e costumi, alle diverse tradizioni, alla differenza di lingua, ecc. Gli aspetti economici riguardano invece problemi che talvolta sono in parte contrastanti. Essi sono valutati negativamente per l’aumento potenziale della disoccupazione locale, dovuta ad una concorrenza talvolta sleale e dunque poco competitiva e alla maggiore necessità di servizi sanitari, scolastici e di assistenza sociale che si rendono necessari, poiché quelli esistenti spesso non sono sufficienti neanche per la popolazione locale senza la presenza dei migranti. Mentre un’attenzione positiva viene posta agli effetti derivanti dalla maggiore forza lavoro che un Paese potrebbe avere attraverso i migranti se regolarizzati e opportunamente formati.
Gli aspetti demografici
Nell’UE si registra ormai da anni un andamento demografico che in diversi Paesi è con valori negativi, talvolta eccessivi e preoccupanti. Ciò è dovuto a minori nascite e all’aumento dell’aspettativa di vita che porta ad una popolazione sempre più anziana. Tale situazione è prevalentemente generata dalle difficoltà economiche che spingono le famiglie ad avere meno figli, da cambiamenti culturali e di usi e costumi della nostra moderna società, dal lavoro che nelle famiglie tende sempre più ad impegnare marito e moglie, con servizi di assistenza all’infanzia spesso carenti.
Nell’articolo del 30 marzo 2023, pubblicato sul sito Eurostat dell’Unione Europea sulle recenti proiezioni demografiche, è riportata la previsione di un forte calo della popolazione dell’UE entro il 2100, con una riduzione del 6% pari a 27,3 milioni di persone, anche se nei prossimi anni l’immigrazione potrebbe contribuire ad un leggero aumento della popolazione. Continuerà il calo del numero di bambini, passando dal 20% nel 2022 al 18% della popolazione totale nel 2100. Inoltre, diminuirà fortemente il numero di persone in età lavorativa, passando dal 59% nel 2022 al 50% nel 2100, col contestuale aumento delle fasce di età più anziane che si prevede che passeranno dal 15% nel 2022 al 17% nel 2100, con le persone di età superiore agli 80 anni di numero maggiore dei ventenni. È ormai noto che in molti paesi dell'Unione Europea il tasso di natalità è inferiore al tasso di sostituzione, che è stimato in circa 2,1 figli per donna; pertanto, è evidente il naturale maggiore invecchiamento della società. L'Italia, ad esempio, è uno dei Paesi meno fecondi in Europa, insieme a Spagna e Malta, con meno di 1,3 figli per donna. Alle motivazioni sopra evidenziate si deve aggiungere la riduzione della mortalità infantile, il miglioramento dello stile di vita e dell'istruzione e i progressi ottenuti in campo sanitario e medico in particolare.
L’UE, con l'aumento dell'età media della popolazione, sta vivendo quello che è stato definito drasticamente “inverno demografico”, un periodo con un drammatico calo demografico che in alcuni Paesi potrebbe creare le condizioni per non potere garantire la produttività manifatturiera e i servizi minimi essenziali, con sistemi sociali, previdenziali e sanitari che diventeranno insostenibili per la fascia di popolazione con maggiori difficoltà economiche.
Alcuni Paesi stanno cercando di affrontare il calo demografico attraverso politiche che promuovono la famiglia, offrendo incentivi finanziari per avere figli e migliorando i servizi per l'infanzia. Tuttavia, è un problema complesso e non sembra che allo stato attuale ci sia ancora una soluzione unica per tutti i Paesi dell'Unione Europea. Il calo demografico che si registra in alcuni Paesi maggiormente industrializzati è in parte compensato dall’arrivo di migranti provenienti da paesi poveri e con una costante crescita demografica. Come è riportato da Euronews il 12.7.2023, «Secondo Eurostat, l'ufficio statistiche dell'Ue, la crescita della popolazione nel 2022 può essere attribuita all'aumento della migrazione in seguito alla pandemia e all'afflusso di sfollati dall'Ucraina, che hanno richiesto lo status di protezione temporanea nell'Unione europea dopo l'invasione della Russia nel febbraio 2022. A marzo 2023, circa 4 milioni di persone provenienti dall'Ucraina avevano cercato rifugio temporaneo nei Paesi UE».
L’esigenza di nuove forze lavorative
Come sopra evidenziato la prevista riduzione di 27,3 milioni di persone, di cui circa il 50% rappresenteranno forze lavorative, comporterà un calo di circa 13 milioni e 650 mila persone nel “settore lavoro”. Un numero esorbitante che, se mantenuto secondo le citate previsioni, potrebbe causare una fortissima crisi economica e sociale già a partire del prossimo decennio. Di contro, la crescita demografica in alcuni Paesi spinge giovani e adulti ad emigrare in cerca di opportunità di lavoro, creando così una riduzione della popolazione locale e contribuendo in alcuni Paesi di loro destinazione alla compensazione del calo demografico, ma tale divario potrà essere colmato, in tempi accettabili, solo con una corretta presenza di migranti opportunamente formati e integrati. Occorre, dunque, una politica che punti soprattutto ad aiutare economicamente i Paesi originari dei migranti per formarli preventivamente in loco e potere così richiedere e ottenere l’autorizzazione di accesso ai Paesi dell’UE che, in tal caso, farebbero sicuramente richiesta di numerose persone.
Occorre una nuova cultura dell’accoglienza, prendendo anche atto che tra i migranti è stata riscontrata la presenza di persone con competenze e conoscenze specializzate in settori utili per la crescita dell'economia europea. I migranti giovani potranno inoltre contribuire all’inversione del forte calo demografico, garantendo un equilibrio demografico più sostenibile, soprattutto nel lungo termine. Una tendenza già in atto, che dovrà essere gestita con oculatezza, poiché si tratta di una vera sfida che può avere, soprattutto all’inizio, un forte impatto sull’economia e sul sistema sanitario e sociale della società ospitante.
Il fallimento dell’integrazione e l’UE multietnica
Bisogna prendere atto che la tanta declarata “integrazione”, fino ad ora, sembra sia stato un vero fallimento in quasi tutti i paesi dell’UE. E ciò non deve meravigliarci, perché essa è realmente difficile se non è preceduta da una fase di “formazione” che, come riportato nell’articolo Flussi migratori. Eventi inarrestabili o gestibili?, è opportuno che, per tutti coloro che desiderano o hanno la necessità di lasciare il loro Paese in maniera regolare, venga effettuata in massima parte nel loro stesso Paese. Ovviamente tale situazione non sarà applicabile nei Paesi da cui i profughi o i richiedenti asilo scappano perché è a rischio la loro stessa vita. Poiché in tali casi l’unica possibilità di formazione è demandata al Paese che accetta umanitariamente di accoglierli. Non è inoltre umanamente accettabile che alcuni Paesi ospitanti scelgano i migranti in ragione del loro Paese di provenienza, per motivi strettamente opportunistici. Cito l’esempio noto dei migranti siriani preferiti a quelli dell’Africa subequatoriale, in quanto per i primi risulterebbe più facile la formazione e integrazione.
L’Unione Europea è già una società multietnica e lo diventerà sempre di più nei prossimi anni, ma se si mira ad una vera integrazione essa non deve essere intesa come un obbligo, come sopra evidenziato, ad abbandonare la cultura d’origine. È evidente che l’integrazione sarà sempre più semplice con le nuove generazioni che tenderanno automaticamente ad assumere la cultura del popolo ospitante, capendo meglio anche i limiti in cui possono mantenere i loro usi e i loro costumi. Sarà, ad esempio, difficile pensare alla completa integrazione di donne che necessariamente non devono fare vedere pubblicamente il loro volto, cosa non ammissibile in Europa anche e soprattutto ai fini della sicurezza. Oggi l’individuazione facciale è uno dei modi per mantenere in una società un maggiore controllo ai fini della sicurezza, basta pensare a quanti criminali sono stati scoperti grazie alle telecamere pubbliche e/o private. L’integrazione sarà poi tanto più veloce quanto più gli immigrati avranno un livello di istruzione che consentirà loro di parlare in poco tempo la lingua del Paese ospitante. È evidente, infine, che un processo integrativo per essere tale deve assolutamente allontanare la percezione dello straniero come quella di un mero prestatore di lavoro che deve restare avulso dalla società che lo circonda.
Considerazioni finali
Dalle attuali previsioni statistiche sembra che il forte calo demografico nei Paesi europei, che sarà ancora più vistoso nei prossimi anni, stia generando una carenza di mano d’opera in molti settori, come l’agricoltura, l’industria, l’edilizia, ecc., ma, paradossalmente, non si riescono ancora a creare dei meccanismi efficienti che consentano in breve tempo di attuare seri programmi di formazione per il personale di altri paesi che potenzialmente potrebbe migrare verso l’UE e colmare tale carenza. Siamo di fronte a un problema globale di soluzione difficile e non immediata, che non potrà essere risolto a breve termine né dalla sola Europa, né da alcun altro Paese del mondo. Allo stato attuale non esistono suggerimenti concreti per mettere in atto in breve termine azioni che possano fermare questo continuo esodo, senza correre il rischio di calpestare i diritti di esseri umani. Si assiste ad un continuo fiorire di dibattiti e proposte legislative, che sembra producano principalmente parole, parole, parole e ancora fiumi di parole, spesso accompagnate dall’enunciazione di principi umanitari universali, quasi a volere mettere in pace con la propria coscienza chi li esprime.
E se oggi arrivassero di colpo migliaia di migranti formati e correttamente informati su usi e costumi vigenti nell’UE non rappresenterebbero una vera risorsa economica capace di contribuire ad abbassare il livello dell’attuale stato di sofferenza di tante aziende in crisi per mancanza di forze lavorative?
Forse è giunto il momento di prendere realmente coscienza: - della pressante necessità che ha l’UE di ospitare i migranti; - dell’opportunità che l’UE contribuisca a renderli “regolari” ancor prima della partenza dai loro Paesi di origine; - che il mondo sarà sempre più multietnico.
Per quanto sopra, a nulla servirà trincerarsi dietro le proprie tradizioni, percependo l’arrivo del migrante, che nel tempo tenderà ad aumentare, come il pericolo di un’invasione forzata che potrebbe annullare i nostri usi e i nostri costumi. Questo è probabilmente un periodo storico che, se gestito con saggezza, potrebbe trasformare, la grande emergenza immigrazione dell’Unione Europea nella grande opportunità a sostegno delle attività produttive. L’immigrazione inoltre potrebbe assurgere a un ruolo importante ai fini della partecipazione al riequilibrio demografico e all’armonizzazione della società multietnica dell’Unione, fornendo un contributo per un futuro di stabilità, di armonia e di pace.