Chitarra classica e loop, un viaggio musicale nell'animo umano per il chitarrista siciliano Luca Di Martino, amante di Ralph Towner e Pat Metheny, giunto al quarto album, intitolato Il richiamo e l’abbandono, dopo l'omaggio a Fausto Mesolella.
Il richiamo e l’abbandono è il tuo nuovo album. Che differenze ci sono rispetto ai precedenti?
Credo che musicalmente sia un lavoro abbastanza simile ai precedenti. La principale novità consiste nella scelta consapevole di ambientazioni ed effetti differenti che mi hanno allontanato dal suono "naturale" della chitarra classica proposto negli altri album. Un’ulteriore differenza sta nell’utilizzo della loop station che mi ha consentito di dare spazio a momenti di libera espressività e improvvisazione, rendendo questo disco in qualche modo più accattivante, più d’impatto e di facile ascolto rispetto ai precedenti.
In che modo interpreti l’opportunità elettronica del loop?
In qualche brano ho sentito l’esigenza di usarlo per dare maggiore sfogo alla mia creatività. Ho sperimentato il loro utilizzo durante i live: mi hanno aiutato a rendere i brani più interessanti e coinvolgenti. Grazie ai loop, alla riproduzione di alcune sequenze ritmiche/melodiche e percussive, tutto diventa più forte, più vario e allo stesso tempo più “ruffiano”.
Con i Vorianova oltre alle musiche hai scritto anche i testi, l’anno scorso ti sei specializzato in questa materia con Mogol al CET. Il nuovo album però è strumentale: che effetto fa suonare senza parole?
Ho da sempre composto sia canzoni che brani strumentali. Non decido a tavolino cosa scrivere. Mi faccio guidare dall’ispirazione, se ritengo che quella musica sia adatta a diventare canzone la realizzo, altrimenti la sviluppo come brano strumentale. Ho sempre viaggiato su questi due mondi parallelamente, una strada non è mai stata di intralcio all’altra.
A proposito di Vorianova, sei stato il motore del gruppo per un ventennio. Quali sono i vantaggi e quali gli svantaggi di una carriera solista, senza band?
Lavorare in un gruppo rappresenta un arricchimento umano che dà sicuramente più forza ed esaltazione allo sviluppo di un progetto che comunque deve sottostare ad un continuo confronto tra i componenti. Da solista si è più liberi nelle scelte musicali, promozionali e organizzative. Ovviamente si tratta di un percorso diverso che comporta un maggiore carico di lavoro e di responsabilità.
Quali sono i tuoi modelli chitarristici?
Non ho un modello preciso di riferimento, da ogni chitarrista che ho ascoltato ho sempre cercato di apprendere qualcosa. Se dovessi scegliere qualche nome direi Fausto Mesolella, Pat Metheny, Ralph Towner.
Che chitarra hai usato per incidere l’album?
Ho usato una chitarra classica costruita nel 2011 dal liutaio lombardo Gianni Angelo Pedrini.
È necessaria molta attenzione per gustare un disco di sola chitarra: non temi che i tempi attuali, convulsi e disordinati, possano nuocere alla corretta percezione della tua musica?
Io penso che il mondo della musica si sia in gran parte adeguato ai tempi moderni. Tutto scorre frettolosamente, gli ascolti sono quasi sempre superficiali, se un brano non ti prende in 30 secondi è difficile che seguirai l’intera produzione di quell’artista. Sono consapevole di fare musica lontana da quella attualmente richiesta dal mercato, ma penso che anche all’interno di una società distratta ed euforica qualcuno potrebbe sentire il bisogno di fermarsi ad ascoltare qualcosa “fuori moda”. Ad esempio, a me capita spesso di restare affascinato da diversi artisti sconosciuti e lontani dall’omologazione musicale.
Dopo tanti anni di attività, hai l’identikit del tuo ascoltatore?
Non so se sono in grado di riconoscere l’identikit del mio ascoltatore. Mi piace pensare che ogni uomo possa ritrovarsi in un determinata musica a prescindere dall’età o da qualsiasi altro fattore e credo che ogni artista possa conquistare la sua nicchia di pubblico.