Certi incontri nascono spesso grazie a trame invisibili, in questo caso il gancio è stato un documentario su Salvatore Paladino realizzato dal regista marsalese, fiorentino d’adozione, Damiano Impiccichè, classe 1977. In questo corto il regista, che ha conosciuto personalmente Paladino e che per le sue capacità di guaritore è chiamato ‘l’ultimo degli Esseni’, ne rivela il lato più intimo e umano. Conobbi Paladino molti anni fa e reputo questo documentario come una carezza, un omaggio a un uomo dalla personalità complessa e dalla sapienza antica.
Damiano Impiccichè è innanzitutto un musicista, ha frequentato il Conservatorio di musica di Trapani in chitarra e percussioni, e la conoscenza dell’arte suprema si riflette nella sua visione del mondo come regista, ogni tema centrale della sua produzione cinematografica è come una sinfonia, dai documentari ai video di sensibilizzazione sociale. Nel 2011 nasce la ‘Taliari Produzioni Video’ (taliari in siciliano significa guardare) e in qualità di film editor, film maker e colorist, collabora con vari registi realizzando cortometraggi e documentari. Così nel 2019 realizza un documentario sportivo per una squadra femminile di serie A di Pallamano Flavioni Handball, una storia da raccontare. Sempre dello stesso anno è il documentario sulla commedia teatrale della scrittrice napoletana Vincenza Campopiano dal titolo Dal Cimitero delle Fontanelle: Per grazia ricevuta…, una commedia che naviga tra sogno e realtà.
Nel 2020 è regista di un videoclip dedicato ai magistrati Falcone e Borsellino per il gruppo “Le Anime Note”, aggiudicandosi il premio come miglior videoclip sociale dell’anno 2021 a Roma Videoclip, tenutosi in occasione del Festival del cinema di Roma. Al videoclip partecipano gli attori, Lucia Sardo, Sebastiano Somma, Ivan Franek, Alberto Testone e Sara Ricci.
L’anno successivo, in qualità di direttore della fotografia, film editor e colorist, realizza il cortometraggio Il mio Amico per la regia di Paolo La Rosa, dedicato al cantautore Alessandro Dimito, scomparso prematuramente, e distribuito dalla West 46TH Films nel circuito dei festival nazionali ed internazionali.
Nel 2023 realizza il cortometraggio dal titolo Marrobbio, ambientato a Marsala e finanziato e patrocinato dall’amministrazione comunale locale. Il cortometraggio affronta il dramma dell’immigrazione attraverso gli occhi di un bambino di 11 anni, traendo spunto dal fenomeno ambientale del Marrobbio, ovvero il repentino cambiamento delle correnti marine che si verifica nella parte occidentale della Sicilia e che provoca anche una mutazione del colore dell'acqua, nel cortometraggio simboleggia le numerose vittime in mare. Il progetto, che vede la partecipazione dell'attrice Lucia Sardo e le cui musiche originali sono del marsalese Gino De Vita, è attualmente in distribuzione nei festival cinematografici nazionali ed internazionali con Galè Distribution – Le Chat Noir Production.
Marrobbio ha già riscosso molto successo e vinto numerosi premi: dal Festival Med-Limes. Ai confini del mediterraneo al Festival Cinema Secondo Noi premio Un mondo multietnico, in ultimo ha vinto la IX edizione del Santa Marinella Film Festival come miglior cortometraggio 2023.
Altre selezioni ufficiali ricevute: Siloe Film Festival Poggi del Sasso, Mediterraneo Festival Corto Diamante, South Italy Internatinal Film Festival Barletta, Social World Film Festival Vico Equense, Mostra Internazionale del Cinema di Taranto Taranto, Mottola Short Film Festival Mottola, Festival Corto in Corte Clusone, infine è Opera finalista nell’International Tour Film Festival (ITFF).
Damiano, cosa rappresenta per te il cinema?
Per me il cinema è un’espressione umana unica nel suo genere, poiché riesce a stabilire un contatto diretto con lo spettatore e, allo stesso tempo, a trasportarlo in un mondo diverso. Ho iniziato ad amare il cinema attraverso i film di Massimo Troisi, trovo la sua comicità geniale, spontanea, drammatica ed esilarante, mi piacciono i linguaggi semplici e diretti senza troppi virtuosismi. Amo anche i film di Giuseppe Tornatore, Alberto Sordi, Paolo Virzì, Paolo Sorrentino e Quentin Tarantino.
La tua produzione cinematografica spazia su varie tematiche, cosa ti spinge a diversificare la tua narrazione?
La mia narrazione nasce dalla formazione lavorativa, nel 2010 approdai al mondo del video come operatore camera e montatore video all’interno di un’emittente televisiva, occupandomi di cronaca, sport, politica e format televisivi. Con il passare degli anni ho sentito la necessità di iniziare a raccontare la mia prospettiva realizzando documentari e videoclip musicali come direttore della fotografia, regista, operatore e montatore. Mi sono avvicinato al cinema grazie alla collaborazione con alcuni registi indipendenti che mi hanno trasmesso la bellezza di questo settore.
L’immigrazione è il tema centrale del tuo recente cortometraggio dal titolo Marrobbio, ambientato a Marsala. Penso che la semplicità sia la sintesi della complessità e in questo corto sei riuscito in questa operazione, è stato impegnativo?
Si, è stato molto impegnativo in quanto Marrobbio è stato la mia prima scrittura e la prima direzione, sono una persona semplice e diretta e ho voluto affrontare questo argomento attraverso la prospettiva di un bambino perché nella sua semplicità riesce ad affrontare e a esprimere concetti di inclusione ed accoglienza al di là di colori politici. La vita va difesa a prescindere e non esistono ragioni per venire meno a questa.
Nel cast ci sono Lucia Sardo (nonna Isabella), Chiara Sarcona (mamma Caterina), Matteo Rallo (Mario), Giuseppe Caltagirone (lo zio Pino), Giorgio Ferguson (il ‘bimbo naufrago’) e Willy, un cane marsalese. Guardando il cortometraggio, oltre alle immagini del territorio marsalese dalla bellezza mozzafiato, ho riflettuto sui numerosi simbolismi presenti che comunicano allo spettatore un insegnamento altamente spirituale e ‘umano’. Innanzitutto il protagonista Mario ha 11 anni, nella numerologia 11 è un numero maestro che si riferisce al genio, alla visione superiore della coscienza, all’illuminazione e in effetti Mario possiede proprio la sensibilità di percepire l’altro bambino invisibile, Giorgio. Perché hai scelto proprio questa età?
Il protagonista di Marrobbio mi ricorda il piccolo Damiano curioso di tanti anni fa, un bambino sensibile e fuori dagli schemi. L’età di Mario corrisponde alla via di mezzo tra l’essere bambini e adolescenti, ovvero il momento in cui il mondo della scoperta e della purezza permettono di osservare la dimensione degli emarginati con maggiore empatia.
La triade mamma-nonna-bambino, è una triade di base, come una matrice che rappresenta il fuoco del calore familiare; la nonna che prepara il pane, gli abbracci, le carezze, è stato come mettere in scena il tuo vissuto familiare?
Sono cresciuto in un contesto in cui la figura della nonna era uno dei pilastri portanti della famiglia. Nella cultura del sud la figura del matriarcato ha sempre avuto una certa rilevanza sia per quanto riguarda la guida della famiglia che per la saggezza, quest’ultima necessaria alla crescita emotiva di un bambino.
In Marrobbio hai inserito alcuni proverbi siciliani che esprimono la semplicità della saggezza popolare, come ‘a madre piatusa fa la figghia tignusa’ (la madre debole fa la figlia testarda) o ‘cu è picciuteddu unnè puvireddu’ (chi è giovane non è povero), o ancora ‘i morti vogliono rinfrescata l’anima’, che significato hanno per te questi proverbi?
Sin da bambino ho sempre sentito questi proverbi e solo con la maturità del mio vissuto ho metabolizzato il vero valore di queste frasi che, per quanto semplici, restano ricche di contenuto ed immediatezza comunicativa.
Mario, figlio di una ragazza madre, è un bambino intelligente, solare, amante del mare e delle passeggiate in bici. Durante un bagno nelle acque marsalesi, vive un'esperienza extrasensoriale: vede un bambino di colore, muto, accanto a lui e poi trova sulla riva alcuni pezzetti di legno che successivamente scopre appartenere ad una barca di migranti affondata. Questa esperienza, grazie al confronto con la nonna, con il quale ha un legame molto profondo, lo induce ad elaborare una sua personale soluzione per "rinfrescare" le anime delle vittime in mare. Decide così di realizzare una barca, di creare un rito pacificatore e di restituzione all’anima di quel bambino morto in mare. Cosa ti ha spinto ad inserire la sacralità del rito?
I residui ritrovati appartenenti ad una imbarcazione affondata, inducono il piccolo protagonista ad elaborare una sua personale soluzione al fenomeno dell’immigrazione. Ricostruire una barchetta da residui di legno, testimonianza di un naufragio, permette di restituire una via di salvezza per rinfrescare quelle anime innocenti. Tutto questo ha valore proprio nella visione di un bambino, che nella sua purezza vorrebbe salvare il mondo, lasciando agli adulti uno spunto di riflessione.
Mario si rivolge all’unico uomo adulto del corto, lo ‘zu Pino’ il falegname. Il richiamo simbolico alla figura del biblico Giuseppe è evidente, lo zio Pino costruisce la barca permettendo così al bambino di ritualizzare, sacralizzare e pacificare l’anima del bambino defunto. Che significato ha per te questa ritualizzazione?
La scelta di mostrare la figura del falegname riporta ad una dimensione antica e di valore creativo in cui l’espediente artigianale dà maggiore valore alla cura del manufatto realizzato, fondamentale agli occhi di un bambino, per il trasporto delle anime perdute.
Il mare avvolge come in una goccia la storia narrata, rappresenta l’ignoto, l’inconscio, il serbatoio delle memorie emozionali degli esseri umani, quali sono gli altri simboli e significati che hai inteso trasmettere con Marrobbio?
Il marrobbio è un repentino cambiamento delle correnti marine che si verifica nella parte occidentale della Sicilia provocando anche una variazione del colore dell’acqua. Questa trasformazione diventa metafora degli eventi avversi della vita, in cui spesso il potente, indifferente e non curante, specula sulle vite umane. Il mare nell’immaginario è fonte di vita, di energia, di calore, ma il mare magnum delle stragi, per colpa di una politica affarista, trasforma quelle acque in imbuto avvolgente di morte.
Infine è presente anche Willy, il cane - lo ‘psicopompo’ -, una figura centrale di molte mitologie e religioni antiche, ha la funzione di accompagnare le anime dei morti nell'oltretomba, traghettarle dal mondo visibile a quello invisibile. Il cane è quindi elemento importantissimo per l’ossatura della tua opera, non credi?
La figura del cane da sempre è stata intesa come simbolo di fedeltà dell’uomo. Attraverso la sua purezza e affidabilità aggiunge all’etica di una famiglia per bene la salvezza di un mondo migliore in cui la spontaneità e la cura verso il prossimo diventano protagoniste del messaggio.
Il tuo ultimo lavoro è un documentario sulla figura di Salvatore Paladino, definito da molti come l’ultimo degli "Esseni", ovvero dei discendenti di un’antichissima stirpe di medici di origine ebraica in grado di curare qualsiasi problema di salute con rimedi naturali, cosa ti ha trasmesso Salvatore Paladino?
Nel 2017, incuriosito dai video in rete di Salvatore Paladino, definito come l’ultimo degli Esseni, gli scrissi un’email per chiedere consigli naturali per velocizzare la mia guarigione. Dopo poche settimane ricevetti una sua risposta in cui mi disse che mi stava aspettando, ricordandomi anche la nostra parentela di secondo grado. Fui invitato ad andarlo a trovare perché aveva delle cose importanti da riferirmi e un compito da affidarmi. Con l’occasione approfittai per girare le immagini del documentario che avrei dovuto pubblicare dopo la sua scomparsa. Ad oggi il documentario in rete ha suscitato un notevole interesse sulla peculiarità della sua vita e della sua dote. L’incontro inaspettato con Salvatore ha arricchito la mia sensibilità e percezione emotiva e allo stesso tempo anche la pratica sulla conduzione corretta di una vita salutare. Rimane il fatto che Paladino è per me una sorta di plot point della mia vita, un colpo di scena che ha aperto ulteriori visioni da percorrere.
Damiano, hai nuovi progetti in elaborazione?
Sì, a breve prenderà vita l’ultimo progetto cinematografico sempre con la mia regia dal titolo Fa freddo Stamattina, si tratta di un cortometraggio che affronterà la tematica della precarietà sul lavoro. Una storia ispirata e dedicata a un ragazzo scomparso qualche mese fa in un incidente sul lavoro all’interno del Porto di Civitavecchia. Il progetto sarà finanziato dalla Compagnia Portuale di Civitavecchia e da alcune aziende dello stesso porto. Posso anticipare che la sceneggiatura è di Roberto Vergati e che il protagonista del cortometraggio sarà uno degli attori della rinomata serie TV Suburra.