Nell’editoriale precedente (settembre) vi ho raccontato quanto pericoloso sia il viaggio cosmico per raggiungere Marte, e quanto difficile sia realizzarvi un insediamento, che per capienza ed estensione sarà molto simile a quelli che abbiamo costruito per studiare i Poli del nostro pianeta. Se questi aspetti sono in via di risoluzione, altri non meno importanti sono allo studio, e riguardano non solo lo sfruttamento delle risorse marziane per produrre acqua e ossigeno, quanto per ottenere un adeguato sostentamento della colonia. Infatti, anche nelle fasi iniziali, con gli attuali mezzi di propulsione chimica il ritorno sulla Terra non potrà avvenire prima di 26 mesi dallo sbarco, e in questo periodo l’avamposto dovrà essere in grado di fornire cibo ai suoi occupanti.
Sappiamo che un viaggio per una meta così lontana, seppur di un equipaggio ridotto di sei persone, non potrà portare con sé viveri, ma anche ossigeno, acqua e carburante, per tutto il periodo di permanenza. Una questione, quella del peso proporzionale all’energia necessaria al viaggio, ben conosciuta e che costringerà gli organizzatori a economizzare su ogni grammo disponibile. Su Marte quindi passati i primi mesi, gli esploratori dovranno insediare un sistema di biogeneratori capaci di autoprodurre le proteine necessarie, poiché sarà impossibile insediare allevamenti animali, forse si potrà coltivare qualche legume o verdura, ma non ci conterei molto, almeno agli inizi.
Uno degli aspetti più importanti dei voli spaziali, quindi, riguarderà l'alimentazione, un problema che coinvolge ogni situazione al di fuori della Terra. Mangiare a bordo di un'astronave, sulla stazione spaziale o sulla superficie di Marte, oltre a fornire il giusto apporto di calorie, deve garantire anche il benessere psicologico degli astronauti. Numerosi studi scientifici hanno dimostrato la stretta interconnessione tra cibo e mente, laddove il primo può influenzare l'altra e viceversa. Il cibo, quindi, è un aiuto fondamentale per gli astronauti, e mettere "in tavola" piatti gustosi e colorati, è il modo migliore per tenere alto il morale ed evitare di cadere in meccanismi psichici che fanno sì, che in situazioni di stress emotivo, il cervello cerchi istintivamente cibo per colmare un vuoto apparente o trovare conforto. Una attività scomposta, che nel lungo periodo provoca effetti negativi per la salute fisica e l'equilibrio psicologico.
Il tema dell'alimentazione è al centro degli interessi medici fin dalle prime missioni spaziali. Yuri Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio, mangiava carne macinata e cioccolata contenuta in tubi da spremere simili a quelli del dentifricio. Oltre a questi, c’erano anche dei cubetti di cibo liofilizzato (privato dell’acqua all’origine) che riprendevano consistenza in bocca grazie alla saliva. Certo, il sapore lasciava molto a desiderare, ma si era agli albori, quando alcuni pensavano che la mancanza di gravità avrebbe impedito persino la deglutizione. Quando i tempi di permanenza nello spazio si fecero più lunghi, l'alimentazione migliorò di conseguenza. Con il programma Apollo, gli astronauti poterono mangiare cibi più invitanti e in modo più simile a quanto facevano sulla Terra.
Il menu di bordo si arricchì ulteriormente nelle missioni successive, fino ad arrivare a quello standard oggi disponibile sulla Stazione Spaziale Internazionale, costituito da due menu fissi (uno russo e uno americano) con la possibile aggiunta di cibi personalizzati (bonus food), mentre frutta e verdura fresca sono disponibili all'arrivo di ogni cargo, o cambio equipaggio, insieme a qualche tanica (400 litri) di acqua fresca, che va ad integrare quella disponibile a bordo. Il sistema di riciclaggio della ISS, infatti, è in grado di recuperare (circa) il 90% dell'acqua utilizzata e il 40% dell'ossigeno.
Una ventata di novità in "cucina" arrivò con la missione italiana "Volare" di Luca Parmitano (Expedition 36/37 – 2013), quando l'equipaggio della ISS ebbe modo di assaggiare alcuni piatti tipici italiani, come lasagne, melanzane alla parmigiana, risotto al pesto, risotto ai funghi e tiramisù. Un bel cambiamento rispetto ai menu standard, ma sebbene sia stato chiamato il "cibo delle grandi occasioni", non fu certamente come essere al ristorante, perché dovendo assolvere a precise necessità tecniche e di sicurezza prima che culinarie, lo space food è ancora lontano dall'essere una prelibatezza.
Tutto il cibo utilizzato nello spazio, infatti, deve rispondere a precisi requisiti, come essere poco ingombrante ed evitare che si frantumi, per scongiurare che i pezzetti, galleggiando, possano andare a contatto con i delicati apparati di bordo, intasare i filtri della ventilazione o, peggio ancora, finire in gola a uno degli astronauti. Per lo stesso motivo sono banditi pane, biscotti, zucchero, sale e pepe. Gli alimenti sono preventivamente disidratati, liofilizzati, precotti e sterilizzati in autoclave (trattamento riservato per esempio alla carne), e poi conservati in buste di plastica, alluminio o lattine. Una lavorazione che ne limita il deterioramento, garantendo una conservazione di 18-24 mesi dalla loro confezione.
Tutti questi processi di riduzione e mantenimento tendono, purtroppo, a cambiare il sapore e l’aspetto originale del cibo, e nonostante quanto riportato dagli astronauti, la verità è che siamo ancora lontani dall'aver raggiunto il traguardo di cibi "gustosi e colorati". Ovviamente, nello spazio non si può cucinare, ma solo reidratare, riscaldare e poi comporre i piatti. La stessa cosa vale per le bevande, che vengono fornite in polvere in apposite buste con cannuccia a cui aggiungere acqua calda o fredda sul momento. Tutti i liquidi sono dispensati in buste chiuse, zucchero, sale e pepe sono forniti in forma liquida, e al posto del pane si preferiscono le "più gestibili" tortillas.
Se per i voli lunari e la permanenza nella stazione spaziale, esiste già un'esperienza consolidata e regole precise, per sostenere una spedizione umana su Marte, tenendo conto dei tempi di viaggio e di permanenza, sarà necessario adottare strategie diverse, perché sarebbe troppo costoso trasportare tutti gli alimenti che occorrerebbero. Una soluzione è rappresentata dall'utilizzo di serre gonfiabili per coltivare piante e ortaggi, capaci di garantire una parziale autonomia alimentare.
Sebbene gli astronauti abbiano già sperimentato con successo alcune colture a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, le missioni marziane richiederanno un sistema più avanzato, che oltre a fornire cibo fresco sia allo stesso tempo sostenibile e affidabile, perché se si dovesse rompere non potrebbero certamente farsene arrivare uno di ricambio dalla Terra. Per raggiungere questo obiettivo, la NASA lavora da anni a colture idroponiche (tecnica di coltivazione fuori suolo che utilizza soluzioni acquose con sali nutritivi o materiali imbevuti da queste) adatte a vivere nello spazio.
Questi vivai spaziali sono dei veri e propri sistemi di riciclaggio naturale, perché oltre a produrre cibo fresco, consentono la rivitalizzazione dell'aria, generando ossigeno attraverso la fotosintesi, assorbendo l'anidride carbonica espirata dagli astronauti, e provvedendo al riutilizzo dell'acqua e dei rifiuti diventando parte integrante dei futuri Sistemi BLSS (Bioregenerative Life Support Systems). Ecosistemi artificiali, basati sulle interazioni tra uomo, microorganismi e piante, in cui ciascuno utilizza come risorsa i prodotti di scarto del metabolismo dell’altro, che saranno indispensabili per l'esplorazione e la colonizzazione di Marte, ma anche per le prossime e più probabili basi lunari.
Per i primi esploratori vivere e lavorare su Marte sarà un po’ come cavarsela in Antartide ai tempi delle grandi esplorazioni polari, svoltesi agli inizi del Novecento. Allestire il primo avamposto richiederà sicuramente tempo e fatica, sempre che robotica e intelligenza artificiale, alle quali si sta lavorando alacremente, non raggiungano la capacità autonoma di costruire e assemblare in loco i vari componenti prima dell'arrivo degli astronauti. Al Polo Sud, oggi, esistono un gran numero di stazioni di ricerca di grandi dimensioni, che garantiscono una buona qualità della vita.
Probabilmente, lo stesso accadrà su Marte dopo la realizzazione dei primi avamposti, quando le spedizioni che giungeranno dalla Terra diventeranno sempre più frequenti. Tuttavia, la realizzazione d'insediamenti umani permanenti sarà possibile solo dopo il completo raggiungimento dell'autonomia industriale, e per farlo si dovranno risolvere molte complicazioni, soprattutto alimentari.
Anche se vi sono alcuni elementi comuni che rendono possibile il processo di crescita delle piante, che necessitano essenzialmente di acqua, sostanze nutritive, aria (ossigeno e anidride carbonica) e luce, coltivare sul Pianeta Rosso è più complicato di quanto si possa immaginare. L'esigua gravità, il terreno troppo acido, l'esposizione alle radiazioni e l'atmosfera molto sottile, sono tutte difficoltà che dovranno essere superate. Fra queste, la scarsa luminosità, perché la luce solare che raggiunge Marte è meno della metà di quella che arriva sulla Terra. Un'illuminazione quasi crepuscolare, molto simile a quella che troviamo ai circoli polari, e c'è un motivo se non coltiviamo mais e grano in Alaska.
Un sistema di serre sulla superficie di Marte, quindi, potrebbe non avere molto senso se non adeguatamente illuminate, e questa condizione porrà ai primi colonizzatori l'interrogativo di "come o dove" realizzare il primo villaggio marziano.
Si potrà lasciare in superficie, protetto da polvere e radiazioni con una adeguata copertura dove le serre saranno illuminate da led, oppure allestirlo nel sottosuolo, all'interno dei già citati tubi di lava, che offrono una protezione naturale dalle radiazioni cosmiche e solari e dalla caduta di meteoriti. Agli inizi, grazie ai sistemi biogenerativi, l'insediamento sarà quasi autosufficiente per le esigenze primarie come aria, acqua, energia e cibo, ma una colonia popolosa, così come preconizza Elon Musk, dovrà essere in grado di autosostenersi a lungo termine, replicando tutte le attività industriali presenti sulla Terra, e sviluppando un'adeguata catena alimentare.
Anche se non possiamo sapere con certezza, di cosa si nutriranno fra cent'anni i futuri coloni marziani, possiamo immaginare che nei primi tempi si realizzeranno dei piccoli vivai dove coltivare vegetali come lattuga, pomodori, peperoni e così via, che saranno preziosi, oltre che per l'apporto di vitamine, anche al beneficio psicologico di dedicarsi al proprio orto. Ma questo genere di coltivazione non sarà certamente sufficiente a sostenere una popolazione numerosa, perché si tratta di verdure a bassissimo contenuto calorico. Sarà quindi necessario ottenere coltivazioni a più alto contenuto energetico, come mais, grano e soia. Per raggiungere questo obiettivo però, molte specie vegetali dovranno adattarsi al nuovo ambiente, e non potendo aspettare una lunga selezione naturale, si procederà a modificare i loro genomi, così da produrre nuovi ceppi di colture adatte a vivere su Marte.
Oltre al cibo vegano, la dieta dei coloni comprenderà anche proteine che saranno prodotte industrialmente in bioreattori (apparecchiature in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici) partendo da cellule animali (estratte da polli, mucche e così via) che cresceranno immerse in una soluzione nutritiva. Questa soluzione, oltre a soddisfare le esigenze alimentari di una colonia popolosa, sarà molto utile anche sulla Terra, dove la sempre più crescente esigenza alimentare, non potrà più essere sostenuta solo dall’allevamento intensivo animale e agricolo, su cui attualmente si basa la dieta delle popolazioni dei paesi sviluppati.
La "coltivazione di carne", quindi, oltre a rappresentare una soluzione a questa necessità ormai incombente, potrà fare affidamento su proteine alternative a quelle animali. Proteine che pur non facendo parte della cultura e della dieta dei paesi occidentali, fanno già parte del menu giornaliero di oltre due miliardi di persone, e sono una fonte ancor più sostenibile rispetto agli allevamenti di carne tradizionali. Stiamo parlando degli insetti, un mercato in grande espansione in Africa, Asia e Sud America.
In Occidente le infrastrutture per l’allevamento d'insetti, e i canali di distribuzione sul mercato alimentare, sono praticamente inesistenti. Questo dato è comprensibile, perché il consumatore medio vede in modo negativo questo tipo di alimentazione, anche se i pochi che hanno assaggiato prodotti alimentari derivati da insetti ne hanno apprezzato il sapore. E dire che gli insetti sono della stessa famiglia (artropodi) degli astici, aragoste e gamberetti, che in fondo sono degli insetti marini. La realizzazione di impianti biogenerativi però, elimineranno la "vista dell'insetto" pur utilizzandone le proteine, e potrà rappresentare una valida alternativa per soddisfare il fabbisogno alimentare di una colonia marziana e della crescente popolazione terrestre.
In conclusione, lo studio per trovare soluzioni alimentari sostenibili, unito all'efficientamento energetico, oltre a migliorare la vita su Marte, consentirà di realizzare produzioni di proteine in modo più etico, eliminando gli allevamenti intensivi, dove molte volte gli animali sono tenuti in condizioni molto discutibili, e di rendere maggiormente produttivi gli impianti a biomasse utilizzati oggi sulla Terra. Sistemi che rappresentano la migliore soluzione "pulita" per unire l’esigenza di uno smaltimento sostenibile dei rifiuti e quella della trasformazione degli scarti del settore cibo in energia.
L’esplorazione dello Spazio, quindi, conferma quello che gli esploratori di ogni tempo hanno sempre saputo. Si può vivere bene con molto meno, e liberandosi del superfluo e degli sprechi si possono raggiungere grandi obiettivi come la colonizzazione di Marte e oltre ancora. Naturalmente, è sperabile che questi traguardi si raggiungano prima sulla Terra, senza dover aspettare di percorrere le decine di milioni di chilometri che ci separano da Marte.