Se c’è un settore strategico e complicato è quello della scuola; infatti da decenni la nostra politica mette normalmente dei ministri piuttosto anonimi e non di alto profilo! Dal 1947 ad oggi abbiamo avuto quasi quaranta ministri della Repubblica (anche se qualche nome è ripetuto), ed in questi 76 anni ci sono davvero pochi nomi di livello (senza contare che anche i pochi nomi famosi e di peso che ci sono, quasi sempre poi si sono dedicati ad altro, non essendo forse questo il loro campo specifico). Ritenere che si abbia la verità in tasca, soprattutto in questo campo (dove si intersecano vari aspetti e problemi: dalla cultura alla famiglia; dai problemi del lavoro all’etica; dalla società alla motivazione del singolo; dall’educazione agli investimenti pubblici), mi pare davvero presuntuoso. Tuttavia tenterò lo stesso di proporre qualche riflessione partendo da un caso concreto.
Come leggo da un’agenzia del 12 luglio 2023 via internet: “Non è riuscita a superare l’ostacolo della Maturità la studentessa di Trento ammessa all’esame grazie ai giudici del Tar. Nonostante le cinque insufficienze in pagella, l’avevano ammessa a svolgere gli esami. Ma la commissione, dopo sei ore di scrutini, ha finito per concordare con il verdetto dei suoi insegnanti…. Uno dei docenti del liceo, Alessio Marinelli, che, avvalendosi del supporto di ben 110 colleghi, ha inviato al Ministero dell'Istruzione, lo scorso 10 luglio, una lettera dai toni decisamente aspri, afferma ‘Per noi insegnanti un’umiliazione. Vedo sempre più ragazzi rincorrere strade facili, aiutati dalle famiglie e dalla società a cercare escamotage per andare avanti, nella visione superficiale di un mondo nel quale devi dimostrare quanto sei furbo e non quanto vali’ ”.
Non voglio di certo entrare nel caso specifico che, ovviamente, non conosco (né sul piano scolastico e umano né su quello giuridico); tuttavia mi pare offra qualche spunto interessante. Io trovo sbagliato – senza fare generalizzazioni (anche perché chi scrive è un docente di lungo corso, con esperienze molteplici dalla scuola media, alle superiori – sia private che statali - all’università, con collaborazioni e insegnamenti in ben 5 cattedre in 3 distinte facoltà) – l’atteggiamento di certi docenti che si considerano come investiti di un “potere semi-divino” di giudicare. Sembra che il punto centrale della loro attività sia quello di dare voti e, soprattutto, assegnare patenti universali di “intelligenza” o “imbecillità”.
Il vero punto focale della nostra “missione” è insegnare, seminare, educare, incoraggiare ed accendere una scintilla di vera passione per la materia che insegniamo (o almeno farla rispettare e non odiare). Il resto conta poco… soltanto burocrazia e vanità! Io, normalmente, cerco di spiegare bene 100 e poi pretendo 40 (non certo il contrario! Vale a dire che cerco di dare di più e seminare meglio per il domani, rispetto a quello che pretendo oggi…). Quanto da me sostenuto viene confermato in due punti nelle suddette dichiarazioni tratte dal fatto di cronaca in questione. Un ricorso al TAR non è una “umiliazione” per nessuno, è un fatto giuridico riconosciuto dal nostro ordinamento statale, nel quale l’attività di chiunque può essere controllata (e mi pare anche offensivo definire, come principio, la via giudiziaria un escamotage).
Secondo, è vero che conta di più “quanto vali” rispetto a “quanto sei furbo”, soltanto che una scuola basata più sulla prestazione, sul voto, sulla nozione, sul registro e sul timbro - e non sul percorso, sulla lenta maturazione, sull’educazione, sul metodo, sulla competenza, sulla passione - può spingere anche alla via “breve”. In troppi corridoi scolastici ho ascoltato docenti a parlar solo di voti e incombenze procedurali piuttosto che di cultura (per quanto mi riguarda, poi, le mie varie esperienze e le mie moltissime pubblicazioni vedo che il più delle volte, tra le mura scolastiche, contano assolutamente nulla, anche se, invece, suscitano curiosità e interesse da parte dei miei allievi, e certamente rappresentano la “prova” più nobile della mia preparazione).
Inoltre, per basarsi sul “giudizio”, bisognerebbe anche essere in grado di giudicare… e molti docenti non lo sono, prima di tutto per la mancanza della necessaria umiltà e consapevolezza sulla difficoltà in sé del “giudicare”. Come mi confermava, ad esempio, una compagna di mia figlia alcuni giorni fa (per una loro prof.) alcuni docenti una volta assegnato un primo voto, rimangono poi sempre legati a quello! Non colgono nell’allievo il cambiamento e gli aspetti dinamici e importanti della sua personalità. Io, per sbagliare meno, penso di aver sempre davanti non dei compiti o esercizi ma delle persone (a volte in fasi di crescita delicata); per questo ritengo funzioni il paragone ideale tra il medico e il docente: entrambi non devono curare un “malanno”, un “problema”, ma il “malato”, la persona… nella sua integrità e complessità ed essere sempre a servizio del “malato/studente”.
Alcuni docenti rivendicano il “dovere” della fermezza, della serietà, del rigore; io credo maggiormente al rigore verso sé stessi, e all’impegno costante nel proprio perfezionamento didattico, nella ricerca e sperimentazione, nell’aggiornamento vero e nel costante approfondimento della propria disciplina. Anche perché noi insegniamo non tanto quello che sappiamo, ma quello che siamo (frutto di un remoto percorso di studio, di insegnamento e di vita).
Infine, come giurista, resto sempre fedele al principio “in dubio pro reo”: perché è meglio un colpevole(-ignorante) in più in giro, fra tanti, piuttosto che un innocente(-intelligente) ingiustamente condannato… Pur contrario normalmente ai compiti per le vacanze (che, il più delle volte, sono poco utili e non rispettano né il necessario periodo di svago e le esigenze dell’età dei ragazzi, né la auspicabile preziosità di altre esperienze di vita), assegno io ora un compito ai prof.: leggere/rileggere “Una lettera ad una professoressa”. E don Milani diceva, ad esempio, che talvolta la scuola è simile ad un ospedale che cura i sani e respinge i malati.