La storia a volte omette grandi risate, soprattutto le risate di corte. Come se nei confronti di un popolo fosse sbagliato farsi vedere felici; diventa sbagliato nel momento in cui fuori ci sono guerre e persone che vivono una vita nell’incapacità totale di salire un solo gradino della scala sociale, tutto compreso nel pacchetto di un regno al limite di una prosperità confinata in quattro mura protette, volte alla difesa di un re grasso e opulento che per ogni banchetto indetto chiama il giullare di corte per farlo esibire in uno squallido balletto.
Il giullare vive confinato in uno stanzino del castello, un quadrato mortale fatto di tentativi vani di provare battute e salti stupidi, movimenti scattanti e inciampi che per sempre faranno ridere il ricco e potente che dalla sua seduta comoda non può essere deriso da nessuno fuorché dal giullare stesso, che per questo può permettersi un cuscino sotto la maglia rossa e verde che emula la pancia del re. Un cappello di sonagli che per lui è una corona mentre rischia la morte in una cena. Potrebbe ma non lo fa, versare del veleno e bere dal bicchiere del re portandolo all’inferno con sé. Lui è sicuro di non andarci, dopo una vita di umiliazioni, mangiando come i cani dalla ciotola per far ridere tutti, come non avesse capacità, spera nella vita eterna, quella promessa fatta da un dio per il quale le volte in cui crede è solo per il desiderio di sputargli in faccia.
«Facci ridere pagliaccio!». Urla il re. E il giullare si muove al suono, con una danza scoordinata. «Scimmia! Salta! Salta per noi» incita ancora il re. E il giullare esegue questo macabro comando.
Tutti ridono. Tutti tranne una donna.
Per una cena a settimana, la domenica il più delle volte, il re permette alla sua bellissima moglie di scendere e assistere allo spettacolo del giullare. Una moglie o un gioiello prezioso tenuto in cassaforte chiuso a fare la muffa? Cos’è quella donna?… la seconda. Tutti la bramano per la sua bellezza, capelli neri che stregano, occhi grandi con il taglio affilato come una spada che ti fende in due se osi guardarla, un’iride verde e una azzurra, una gemma rara. Il re la tiene chiusa per non far toccare dalla luce la sua pelle di porcellana, bianca a tal punto da sembrare lucidata. Talmente avido di possesso che non la possiede neanche la notte, non sfoga i suoi bisogni per paura di crepare la sua forma, preferisce cortigiane da quattro soldi pagate con gli stessi che al popolo ruba. Nessuno apre bocca, nessuno ha il coraggio di far niente e non c’è vendetta che tenga perché alla morte di un re ce n’è sempre un altro che subentra… e la storia si ripete.
La domenica è il giorno in cui quella donna, ormai oggetto di valore, vede quella poca luce delle sale imbandite e assiste allo spettacolo del giullare senza ridere. È una donna che al di là del suo involucro prezioso, è dotata di ragionamento, forgiata da grandi letture di cui nessuno è a conoscenza. Ha una convinzione e si alimenta quando guarda il giullare negli occhi; è convinta che anche lui, dietro quel costume danzante e rumoroso, sporcato dal cibo tirato in una cena e dagli sputi che riceve solo per il piacere di essere considerato feccia, si nasconda una mente poetica dotata di forte ragionamento.
Lei l’ha capito da uno sguardo, che di certo non è d’amore perché a nessuno dei due è mai stato insegnato. Così è, come un’indovina prende in pieno il centro, il giullare in fondo è un grande artista, poeta, scrittore di grandi storie. Di giorno, quando la sua presenza sarebbe sgradita, quando a nessuno serve una risata o un bersaglio sul quale sfogare odio immotivato, il giullare scrive, in quattro mura inventa storie guardando il regno dalla sua finestrella. Ha fatto più lui con la piuma e l’inchiostro di tutto il re e il suo seguito, ha costruito, ideato, fatto amare e amato. Mentre balla una danza istupida e scoordinata, tra il frastuono di bevute e mangiate alla sua faccia, fissa negli occhi la donna. Il loro sguardo è sangue che scorre, è colore della pelle che si scurisce di passione. C’è il rischio di generare attrito e trame irrisolte.
La notte arriva dopo ogni banchetto e si prende la propria rivincita. Non può scalare la scala sociale nessuno in quel regno, così è e così sarà; ma quel sesso passionale senza la paura di distruggere un gioiello, quel possesso che non è mai possesso ma rivalsa, quando lei ogni notte scappa e corre dal giullare, rappresenta tutto ciò che un regno non può fare. Potrebbero parlare perché insieme avrebbero più argomenti di tutto il reame ma non hanno la voglia di aprire bocca se non per usarla come mezzo di contatto l’un l’altro. Sotto la maschera da burattino della risata c’è un uomo con le sue sofferenze, e sotto la bella pelle lucida e gli occhi bicolore c’è una donna che ha in sé il fuoco della passione. Mentre il re dorme tra le sue cortigiane, il suo gioiello più prezioso si presta volontariamente alla passione. Ogni donna costretta in casa con lo schifo di un marito senza voglie vorrebbe essere al posto di quella regina, e ogni uomo costretto in un costume che non è il suo vorrebbe essere al posto del giullare. Un solo rapporto fisico, il consumarsi di una passione proibita che in sé vendica tutto il regno. Sarebbero oro al centro della piazza; spettacolo di rivalsa per tutto il regno che si spezza la schiena e più che vivere esiste… più che nuotare, sguazza.
Siamo in tempi in cui le voci corrono e vengono traviate dal tramandarsi delle stesse. Non c’è possibilità di divulgare immagini reali di tutto quello che sta accadendo. Eppure, nessuno può comprendere i pensieri di due persone intense che non hanno possibilità d’espressione. Lei vorrebbe parlare, fare discorsi profondi, ma è costretta segregata chiusa e sola nel silenzio dei suoi libri, per via di un corpo che non ha scelto, di una bellezza sconcertante che farebbe piangere di gioia un regno intero. Lui nel suo ruolo di giullare, a far ridere gente meno profonda di lui, quando avrebbe interi papiri da divulgare, storie inventate che farebbero invidia alla storia reale, guerre immaginarie, scontri epici e amori struggenti.
Il giorno di rivalsa arriva per tutti; anche se l’ultimo, anche se racchiuso in un gesto. Quando il giullare e la regina decidono che quella vita non è la loro, o meglio; la vita che vivono di giorno non li rappresenta, e quello che fanno la notte tra le lenzuola è più significativo di ogni altra ora spesa; in quel momento, per mano scelgono di andare in piazza, in quella più grande, lui vestito da giullare e lei vestita da notte. Senza abiti da grandi cerimonie perché l’intento è creare la stessa atmosfera che vivono insieme. Sotto la finestra dalla quale il re si affaccia, piena di gente che ora li guarda, consumano un rapporto così intenso da far invidia a tutte le generazioni e le persone di ogni sesso. Sono due corpi che si fondono, spogliati di ogni vergogna, l’uno dentro l’altra con la folla che li guarda e che accorre sconvolta e contenta.
Il re ode un frastuono che non si spiega, un rumore di risate e urla d’incitazione che non avrebbe mai voluto sentire. Si affaccia e li vede. Li vede fare l’amore sotto i suoi occhi e sotto gli occhi di un regno che riderà e tramanderà questo racconto nei secoli. Sarà per sempre ricordato come il re al quale un semplice giullare ha sottratto il gioiello più prezioso, una donna più bella non nascerà per secoli e forse non è mai nata e fino a quel momento l’ha creduta sua, rinchiusa e segregata. Un giullare gliel’ha sottratta, con la forza dello sguardo, con un mondo interno che supera ogni colore variopinto e ogni cappellino col sonaglio.
In piazza davanti all’intero regno, le urla del re non riescono a coprire i gemiti di passione e le urla d’incitamento di tutte le persone che si accingono al cospetto, lasciando il giusto spazio, un cerchio nel quale non possono e non vogliono entrare, quasi per rispetto. Il rispetto che un giullare si guadagna con tutta la passione che mostra nel trattare con parsimonia una bellezza tanto limpida che neanche un amore consumato in una piazza può rendere sporca.
Il re grida, sbraita, urla e invita le guardie ad attaccare ma anche loro si bloccano davanti alla passione. Sognano di vivere quello che ora vedono, sognano di replicare quella scena in casa con le loro mogli e compagne. Non eseguono gli ordini del re che promette di bruciarli tutti vivi e per la prima volta scende, si mette al livello del popolo sottomesso che in quel momento lo guarda, lo deride in gruppo, come lui ha sempre fatto col giullare. Tirano cibo e pietre verso il re per proteggere quel cerchio nel quale la passione non vuole cessare.
Per la prima volta costretto a sporcarsi le mani, il re sceglie senza pensare, d’imbracciare la sua spada migliore e fendere da parte a parte quell’amore. Li uccide in colpo credendo d’aver fatto l’azione giusta, intimando al popolo che da quel giorno chiunque faccia l’amore assaggerà la frusta… ma a quel popolo interessa poco, perché in ogni taverna e in ogni momento racconterà in eterno l’amore tra la regina e il giullare, costringendo un re a vivere per sempre senza rispetto e nella fame.