Alcune delle pitture rupestri delle colline Tsodilo del Bostwana potrebbero avere 20.000 anni, o forse più, e sono opera degli antenati dei Boscimani contemporanei, che possono quindi affermare a pieno titolo di essere uno dei popoli più “indigeni” del mondo. Nonostante questo, il governo del Botswana non desiste dall’obiettivo di mettere fine all’esistenza degli ultimi cacciatori-raccoglitori del Kalahari. Alla minaccia posta dai diamanti, recentemente si è aggiunta anche quella del fracking. Il governo ha infatti deciso di aprire la Central Kalahari Game Reserve (CKGR) allo sfruttamento del gas attraverso questa tecnica controversa, che comporta enormi consumi di acqua e genera sottoprodotti chimici tossici. In quanto membro di Conservation International, il presidente Khama dovrebbe sapere bene che gli ambientalisti criticano aspramente il fracking. Eppure, ha scelto di ignorarlo, così come continua a ignorare la Corte suprema del suo paese, che nel 2006 ha chiuso il lungo processo giudiziario intentato dai Boscimani con una sentenza storica che riconosce loro il diritto di vivere e cacciare liberamente nella terra ancestrale.
Da quando sono stati rinvenuti giacimenti di diamanti nella riserva, molti anni fa, i Boscimani hanno cominciato a essere perseguitati dalle autorità in modo sistematico e senza sosta. Sono stati sfrattati dalle loro case e costretti a vivere in squallidi campi di reinsediamento; sono stati privati dell’acqua, intimiditi, arrestati e persino torturati con l’accusa di cacciare. Con un provvedimento che ricorda le Pass Laws dell’Apartheid sudafricano, oggi le autorità costringono i Boscimani anche a chiedere un permesso temporaneo per visitare le loro famiglie. Fermarsi nella CKGR oltre il limite comporta l’arresto. E l’avvocato britannico che li ha sempre difesi con successo, nel luglio scorso è stato bandito dal paese. Personaggi autorevoli parlano di “pulizia etnica” e di trattamento “sub-umano”, tra cui Michael Dingake, l’attivista dell’African National Congress sudafricano (ANC) imprigionato a Robben Island insieme a Nelson Mandela. Condanne sono venute, tra gli altri, anche dal Relatore Speciale ONU e dalla Commissione Africana dei Diritti Umani e dei Popoli.
Ma se da un lato il governo fa tutto quello che può per portare questo popolo sull’orlo dell’estinzione, dall’altro non esita a sfruttarlo come attrazione turistica. Sui depliant appaiono immagini patinate e costruite di Boscimani nell’atto di praticare la caccia e altre attività tradizionali che, di fatto, gli sono proibite. Impedire ai Boscimani di cacciare, così come hanno sempre fatto per millenni in perfetto equilibrio con la fauna e la flora del Botswana, significa togliergli letteralmente la possibilità di sopravvivere.
"I Boscimani meritano di essere trattati con dignità e rispetto" ha dichiarato Francesca Casella, direttrice di Survival Italia, rivolgendosi ai sostenitori. "Dopo anni di sofferenze e vessazioni, è tempo di giustizia. Non possiamo permettere che la crudele politica di Khama cancelli un’umanità che è parte irrinunciabile del nostro futuro. E poiché l’informazione e la pressione dell’opinione pubblica sono gli unici strumenti che abbiamo per fermarlo, allora, per favore, aiutateci a far giungere la protesta lontano, fino a lui e in tutto il mondo". Survival ha quindi invitato tutti a scendere in campo perché – continua Francesca Casella – "se i Boscimani saranno costretti a lasciare per sempre la loro terra, di loro non resterà più traccia".
Un reportage della BBC racconta le condizioni disperate in cui vivono oggi i Boscimani del Botswana, a più di dieci anni da quando furono sfrattati dalla loro terra ancestrale nella Central Kalahari Game Reserve (CKGR). La giornalista della BBC Pumza Fihlani si è recata nel campo di reinsediamento di New Xade, nel Botswana centrale. Qui continuano a vivere molti Boscimani, nonostante una sentenza del 2006 della Corte Suprema abbia sancito il loro diritto a tornare a casa. La Fihlani racconta che i Boscimani che ha incontrato si sentono “persi” e “trattati come cani” dalle forze governative, che non gli permettono di lasciare i campi di reinsediamento. I membri della tribù erano cacciatori-raccoglitori ma sono stati costretti a una vita sedentaria, prima sconosciuta. La conseguenza è che oggi nei campi di reinsediamento sono molto diffusi l’alcolismo e l’AIDS.
I Boscimani della CKGR furono deportati dalla loro terra nel corso di tre ondate successive di sfratti governativi nel 1997, 2002 e 2005. Nel 2006 i Boscimani hanno vinto una storica battaglia giudiziaria, che ha riconosciuto il loro diritto a far ritorno alla riserva. Oggi, però, la maggior parte dei Boscimani deve richiedere un permesso della durata di un mese per entrare nella riserva. I bambini che vanno a far visita ai loro genitori nella CKGR rischiano di essere perseguitati e detenuti se si trattengono oltre lo scadere del loro permesso.
“Mi manca la mia casa e il modo in cui vivevamo. La vita era facile, c’erano moltissimi frutti, animali e non c’erano bar o birre. Ora siamo persi” ha detto alla BBC Goiotseone Lobelo, una donna Boscimane. “Abbiamo l’AIDS e altre malattie che prima non conoscevamo; i giovani bevono alcolici; le ragazzine rimangono incinte. Qui è tutto sbagliato”, ha detto sua sorella Boitumelo. Roy Sesana, leader boscimane in prima linea nella campagna per i diritti del suo popolo, ha detto a Filhani di temere “che in futuro non ci sarà nessuno capace di vivere la cultura boscimane se non ostentandola davanti ai turisti, per le agenzie che li sfruttano per profitto.”
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