Un particolare nomadismo è iniziato nel buio:
sono alberi che vagano nelle correnti di acque impazzite,
sono fiumi che corrono a ritroso
e nella terra nera riconquistano antiche dimore
Pioggia e vento hanno preso la montagna
che con terra e alberi ha preso la valle con i suoi fiumi e i suoi canali.
E il mare ha rimandato tutto al mittente.
L’acqua dei fiumi ha preso subito, ha preso presto.
Ha preso l’ultimo ponte ed è entrata nelle città, nei paesi, nelle campagne.
È entrata subito e presto nelle case,
e ha trascinato via le cose e 17 vite.
Ha conquistato i grandi spazi costruiti dagli uomini
e ha lasciato noi più che vivi, superstiti.
È scomparsa la scacchiera dei campi, palafitte e tetti emergono da una palude infetta; è un liquido verde, marrone, nero, che da queste parti non s’era mai visto. Vapori sotterranei assopiti ritornano alla luce, avvolgono vaste zone e le invadono con miasmi che odorano di pesci e animali morti, di benzina, di concimi chimici, di alghe e di escrementi.
Abito a Ravenna, ma sono nata a Cesena, lì ho vissuto i miei primi 18 anni e lì vi abitano mia sorella Antonietta, mio fratello Flavio e un bel numero di nipoti. I nipoti più “grandi” in questo momento stanno spalando il fango. Sono in tanti, ragazze e ragazzi con stivali e badili; mettono ordine, tolgono il fango dalle case, e dalle strade; confortano le persone e in catene umane mettono sacchi di sabbia negli argini dei fiumi e riempiono e trasportano secchi di fango. È lavoro duro, hanno fatto presto a spegnere l’iPhone e prendere un badile. Toccano con mano una piaga che tutto divora e il loro sguardo vede e prevede l’assenza di futuro.
“…Sono la prima generazione che ha davanti agli occhi la prospettiva concreta della fine del mondo. La fine del paesaggio in cui sono nati, della possibilità di viverci ancora…”
(Concita De Gregorio)
Come in un antico proverbio cinese alzano il dito verso la luna e solo gli stupidi si fermano a guardare il dito. Abbiamo costruito la nostra e la loro catastrofe trasformando la Terra in una immensa cloaca. Non possiamo neanche spingerci nel futuro. Ora non più. Anzi, il solo pensiero ci terrorizza. Il futuro ci appare "incerto, terribile, gravido di incubi". Siamo nell'epoca della retrotopia e dell'orizzonte retroattivo. Dopo quasi un secolo, l'Angelus Novus ha girato lo sguardo e si rivolge al passato cercando, al di fuori della Storia, lo spazio della contingenza, dell'intenzione, del senso.
È lutto stretto; è dolore, disperazione, perdita, paura di qualche goccia di pioggia in più e non lo dimentico perché vorrebbe dire dimenticare me stessa. Nella scrittura m’interrogo sulle ragioni che ci hanno condotto fin qui. Lo so, è il momento dell’aiuto e dell’empatia, ma la mia scrittura vuole essere un richiamo. La mia mente continua a vedere un cerchio che tutto comprende, non riesce a separare la crisi climatica dal potere patriarcale cha da secoli detta le sue leggi nella politica, nella società e perché no, anche nella cultura. E se quelle poche donne che arrivano al potere usano le stesse regole del patriarca, il danno è ancora peggiore.
Antefatti tra la prima e la seconda inondazione Sabato 6 maggio, a Ravenna, si è svolta la Manifestazione Nazionale promossa dalla rete contro i rigassificatori e GNL, Rete Emergenza Climatica e Ambientale e Campagna Per il Clima Fuori dal fossile. Doveva terminare in Piazza del Popolo, è stata dirottata invece in Piazza Kennedy. Nell’ordine simbolico gli interventi erano diretti al Sindaco e al Prefetto che in Piazza del Popolo hanno la loro sede. Gli unici ravennati, che ci hanno affiancato, numerosi e ben organizzati, erano agenti della digos, della polizia e dei carabinieri. Erano forse più utili a Napoli per i festeggiamenti della vittoria della loro squadra, nel campionato nazionale di calcio. I rigassificatori sono trattati in modo ideologico: sono necessari e quindi vanno accettati. Quanti? Almeno due. Dove? In mare o in porti industriali. Quando? Subito. Ma, come sempre, la situazione è più complessa di quanto si dipinga. Ci sono rischi di incidenti di vario tipo, si tratta di impianti emittenti inquinanti che rilasciano in mare quantità enormi di acqua marina raffreddata arricchita di ipoclorito di sodio, disinfettante dagli effetti ambientali molto dannosi. Per non parlare poi del gasdotto, che circonderà la città, con i suoi otto monumenti, patrimonio dell’Umanità. E, se al profitto converrà attuare il progetto, Ravenna diverrà l’hub italiano del gas per i prossimi 25 anni. Se non saltiamo in aria prima: noi e gli otto monumenti.
Lunedì 15 maggio alla Libreria Feltrinelli ha avuto luogo la presentazione del libro di Andrea Fantini, “Un Autunno Caldo, crisi ecologica, emergenza climatica e altre catastrofi innaturali”. Eravamo in 10, compreso il bravissimo scrittore. E martedì si è scatenata “la tempesta perfetta” ma anche “l’alluvione imprevedibile”, “inevitabile”. Sembra invece sia l’ennesimo richiamo della Terra alla nostra volontà scellerata di toglierle il respiro pensando, da stupidi incoscienti, di dominarla. Lei ci avverte con un’accelerazione sempre più veloce di eventi devastanti, mai visti in così breve tempo. È terminato il periodo dell’Umanesimo, non siamo più il centro dell’Universo, ma facciamo parte di un unicum che ci prevede, insieme a tutte le altre creature, in armonia con essa. Ci ricorda che non togliamo il respiro a lei che può mutare strategie vitali, ma a noi umani, che di respiro -tutti quanti- abbiamo solo questo. E a questo punto, per giorni e giorni, mi sono arenata. Come si può scrivere delle ragioni e delle cause di alluvioni di questa portata quando tutto, da tanto tempo, e oggi ancora più di ieri, è già stato detto? E così, per ripartire, come l’Angelus Novus rivolgo il viso al passato e parto prendendo alcuni brani da miei racconti del secolo breve.
Da “Ildegarda, io, la bicicletta” un racconto degli anni ‘80 “…A Ravenna le piste ciclabili si fanno, però subito dopo vengono -tutte- abbandonate al loro destino. Anzi, appena fatte, arrivano operai a trapanarle per interrare tubi. Poi ricoprono di nuovo e così la pista è tutta una toppa. Ora anche le radici degli alberi tentano di uscire allo scoperto, così l’asfalto si spacca, si avvalla, si alza. Si procede zigzagando tra motori, motorini, auto parcheggiate, mamme con bambini, anziani, gente che passeggia con cani. Forse faremmo meglio a rimanere ben chiusi in casa. “Non respirare, tieni la bocca chiusa” così dice la giovane mamma alla bambina. Ecco come siamo ridotti: è pericoloso respirare. Il polo industriale continua a vomitare veleni che rendono l’aria irrespirabile -non respirare bambina, tieni la bocca chiusa. Esigenze pubbliche e voglie private si incontrano e formano la coppia perfetta. Perché questa accoppiata funzioni è necessario solo che l’uno, il consumo, acquisti l’altro, il prodotto; il più velocemente possibile. Intanto hanno creato il mostro: la bestia furiosa che tutto distrugge. Contamina l’aria. Ma siccome l’aria, così ad occhio nudo, mica si capisce tanto se è pura o inquinata, è meglio non pensarci, è meglio essere ottimisti. …”
Da “Terra promessa” un racconto degli anni ‘90 “…Ravenna, ravenna, una volta erano lagune. Mentre sto scrivendo ti ho tutta ai miei piedi. Sono vent’anni che ti guardo e ti ho vista crescere così disordinata e confusa! … Attanagliano il patrimonio artistico di questa città edifici ignoranti, tutti fuori scala. Costruzioni che ignorano e aggrediscono la sacralità di quel dono -a questo punto immeritato- giunto fino a noi attraverso generazioni e generazioni di antenati. Ravenna risulta così devastata da tante macchie. Dal centro storico protuberanze cancerose hanno conquistato, conquistano senza sosta, la periferia, i fiumi, il mare. Sono condomini, sono ville, villette, palazzi in stile alpino, in stile mediterraneo, in stile impero, in stile assiro-babilonese, in stile bomboniera. Sono finzioni. Sono villette a schiera accatastate come stie nel pollaio, coperte di vergogna da palazzoni nuovi, ma già un po’ fatiscenti; in compenso addobbati con colori fosforescenti e terrazzi lunghi e stretti che si affacciano direttamente sulle sempre presenti strade ad alta velocità. Sono centri commerciali un po’ ovunque, sono multisale cinematografiche con tutto annesso (sala giochi, motel, paninoteca, ecc. …) stile desolata periferia americana. Sono cavalcavia, strade snaturate da negozi usa e getta. … E la cloaca industriale continua a svilupparsi a ridosso della millenaria pineta, del mare, delle abitazioni civili.”
Infine la periferia cresce divorando, con la sua scellerata dannazione, la campagna. E il cemento, senza ritegno, continua ad aggredire suolo e zone verdi. Strada facendo la conoscenza del territorio è andata perduta in funzione di enormi interessi economici.
Questo è quel che vedo e non mi piace per niente. …
Ravenna apparentemente distratta da altro, conquista, in disordine sparso, costa e terraferma, ignara di avere in sé un patrimonio dell’umanità da comprendere e conservare.