L’Uganda, un tempo Regno del Buganda, che Winston Churchill battezzò la Perla d’Africa, è un Paese meraviglioso di 236.000 km2 e una popolazione di circa trenta milioni di abitanti suddivisa in una ventina di etnie, alcune provenienti dalla vicina Repubblica Democratica del Congo e dal Ruanda, soprattutto a seguito della guerra civile (1990-1993) tra Hutu e Tutsi che ha causato milioni di morti e si è conclusa con gli accordi di Arusha in Tanzania.
A proposito dell’Uganda Churchill aveva proprio ragione, anche se con questo nome in verità intendeva la Perla dell’Impero britannico, non dell’Africa. Il 28% del suo territorio è ricoperto da boschi e foreste e il 15% da laghi, i più grandi dei quali sono il lago Vittoria, il lago Edward e il lago Albert. Il Paese confina con la Repubblica Democratica del Congo con la quale è sostanzialmente in guerra dal 1998, un conflitto che ha causato più di cinque milioni di morti; confina anche con il Ruanda, il Kenya, il Sud Sudan e la Tanzania.
Dal giorno dell’Indipendenza, concessa il 9 ottobre del 1962, fino a oggi, dopo sessantotto anni di colonizzazione britannica, i suoi confini sono stati instabili e hanno sollevato molti problemi, incluse guerre civili sanguinose, come quelle contro il dittatore congolese Mobuto Sese Seko, ai tempi in cui era presidente dello Zaire, e contro il Ruanda, che gli ugandesi hanno ritenuto responsabile di tutti i mali del loro Paese.
Nonostante la dittatura spietata di Idi Amin, che fu al potere dal 1971 al 1979 e causò la morte di circa un milione di persone, e nonostante altre dittature e colpi di Stato violenti prima e dopo di lui, l’Uganda ha saputo sempre risollevarsi da tutte le catastrofi, incluse carestie e malattie come la tubercolosi, l’ebola e l’AIDS. Nel 1986 è stato eletto alla presidenza della repubblica Yoweri Museveni, ancora al potere essendo stato confermato nel 2016 per la quinta volta consecutiva; egli è infatti il più longevo dittatore al mondo e di sempre!
Da un punto di vista naturalistico e della protezione degli animali, l’Uganda è comunque a buoni livelli, pari a quelli della vicina Tanzania e del Kenya, grazie soprattutto agli aiuti internazionali. È il secondo Paese africano per diversità di specie animali che vivono nel suo territorio e ospita circa la metà delle specie di uccelli del mondo.
A sud dell’Uganda, ai confini con il Ruanda, esiste un parco piccolo nelle dimensioni (33,7 km2) ma importantissimo: il Mgahinga Gorilla National Park, che a sua volta è parte di un ecosistema protetto più vasto, il Virunga Conservation Area. Quest’area si estende lungo tutto il crinale di tre vulcani spenti, che tra l’altro segnano il confine con il Ruanda e con la Repubblica Democratica del Congo.
A dire il vero, sotto il dominio britannico il parco nacque come Game Sanctuary; si può capire facilmente a quale scopo. Ora è sotto il controllo della Uganda Wildlife Authority con il compito principale di proteggere il suo ospite più importante, il gorilla di montagna (Gorilla gorilla beringei). Purtroppo, dato l’aumento della popolazione umana limitrofa che fa sempre più pressione sul parco, l’equilibrio dell’area sta diventando sempre più precario, per non parlare del bracconaggio ancora diffuso.
Quando gli animali, e non solo i gorilla, escono dal parco corrono pericoli molto gravi, e a volte anche rimanendo al suo interno: possono infatti finire nelle tagliole piazzate dai bracconieri, non tanto per la loro cattura ma per quella di altri animali, soprattutto antilopi, per i quali spesso le guardie del parco chiudono un occhio. Il fatto è che le tagliole non distinguono le loro prede e con le loro morse micidiali catturano tutto quello che gli passa sopra.
Questo scempio negli ultimi decenni fortunatamente sta diminuendo, anche se ciò è dovuto, più che a uno spiccato senso conservazionistico delle autorità preposte al controllo del parco e della gente comune, al fatto che negli ultimi trenta o quarant’anni hanno scoperto che gli animali, soprattutto i gorilla, sono una grande risorsa economica (e quindi un grande business) e fanno pagare circa duemila dollari americani a tutti coloro che desiderano entrare nel parco. Questo è quanto chiedevano fino a poco tempo fa (ora i costi saranno aumentati) e solo per intrattenersi a debita distanza con una famiglia di gorilla per non più di trenta minuti d’orologio; se si era tanto fortunati da avvistarli, ovviamente, altrimenti si usciva dal parco a bocca asciutta.
Sono cifre enormi, se si considera che per questi tour sui Virunga arrivavano e arrivano tuttora migliaia di turisti all’anno, cifre che comunque consentono il mantenimento del parco, la sopravvivenza degli ultimi gorilla di montagna e la capacità di tenere lontani i bracconieri, di ostacolare la corruzione e anche di fermare i contadini che si avvicinano sempre più pericolosamente al parco per coltivare le terre con il mais. Non appena si lascia la terra coltivata e si entra nella foresta, infatti, non è raro trovarsi davanti, istantaneamente, una famiglia di gorilla. Un altro problema è che i gorilla possono sconfinare per approvvigionarsi del mais di cui sono ghiottissimi, esponendosi a gravi pericoli.
In sostanza, trovare un equilibrio in questi contesti è estremamente difficile, ma dev’essere intrapreso ogni sforzo se vogliamo vedere questi animali ancora in libertà, non negli zoo o nei bioparchi che, sotto molti aspetti, sono persino peggiori. Certo, non è quello che avrebbe voluto Dian Fossey, la primatologa americana che, dopo aver passato quindici anni con i gorilla di montagna al Karisoke Research Center in Ruanda, ai confini con l’Uganda, ha sacrificato la propria vita per loro; avrebbe voluto un destino migliore per questi animali. Il suo assassinio è ancora irrisolto e avvolto nel mistero.