Quasi 500 bambini morti in Ucraina e il conflitto diventa ogni giorno più sanguinario. Una guerra vicina a noi, vicina e allo stesso tempo dentro l'Europa. Un'aggressione senza mediazione. Una strage che ha causato migliaia di morti e milioni di sfollati.
Tanti si sono rifugiati nei vicini Paesi e molti hanno deciso di proseguire ancora più in là per trovare un riparo ancor più sicuro. Attraverso la Polonia o lungo i Balcani, verso l'Italia, la Germania e le regioni centro europee. Una diaspora che ha portato tantissime donne, perlopiù, a scappare con i figli, mentre gli uomini rimanevano in patria a combattere.
Tante, coraggiose, fiere, con storie particolari alle spalle. È il caso di Anna e di Marina, due giovani ucraine che si sono ritrovate a condividere il centro ELIM di accoglienza di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, sotto la direzione della Caritas Diocesana di Nola. Fanno parte di un gruppo di donne che sono arrivate in Italia e sono state accolte dalla comunità locale in attesa di orizzonti migliori.
Un'accoglienza che hanno però deciso di ripagare rimboccandosi le maniche e dandosi da fare. È il caso proprio di Anna che, da impiegata di una multinazionale di advertising, è diventata mediatrice culturale proprio nel centro di accoglienza aiutando così i responsabili a rispondere alle esigenze delle profughe. «Quando la guerra è cominciata noi in realtà credevamo fosse uno scherzo ma poi abbiamo deciso, spinte dai nostri genitori, a lasciare la nostra tranquilla casa di Kiev e scappare attraverso la Polonia, ora al 90% è tutto distrutto»: spiega laconicamente Anna.
Una storia comune a tutte, soprattutto alla sua nuova amica Marina che, tuttavia, aveva un motivo in più per scappare. Con lei, infatti, c'è il figlioletto Gleb di 10 anni che è affetto da una malattia rara. Una storia così lontana dal nostro immaginario e, purtroppo, oggi così attuale. In Ucraina tutti i medici sono impegnati in guerra e nessuno può occuparsi seriamente di lui. È a questo punto che Marina decide di fare 40 ore di viaggio per arrivare in Italia con Gleb. Dopo le prime pratiche burocratiche Marina e Gleb vengono mandate al centro ELIM e qui trovano la salvezza. Il piccolo, infatti, viene subito inviato all'ospedale "Santobono" di Napoli, grazie alla mediazione del centro Caritas, e comincia un ciclo di cure. In questo periodo storico, in Ucraina, sarebbe stato quanto mai difficile immaginare di poter avviare un percorso di cura con le bombe che cadono e i medici spostati di campo in campo, di fronte in fronte.
A centinaia di chilometri di distanza Marina ha trovato una speranza e un nuovo futuro. Gleb, che a 10 anni ha già vissuto una guerra e una lotta con una malattia rara, potrà sperare in anni migliori grazie alla sanità italiana e napoletana. Il tutto con l'aiuto di Anna che, forte della sua capacità di comprendere e parlare l'italiano, aiuta Marina, le ragazze rifugiate e tutti i lavoratori del centro. Non solo, Marina infatti in Ucraina lavorava per la Caritas locale e da Somma Vesuviana ha subito creato un ponte per sostenere gli aiuti a distanza. Insomma, un intreccio di relazioni, storie e legami che tengono accesa la fiammella della pace e della speranza.
Con un unico grande progetto: il ritorno. Tutte le donne ucraine hanno lasciato in patria mariti, fidanzati, padri, fratelli, ma tutte loro hanno la volontà di tornare. Perché questa, in effetti, non è una migrazione verso futuri più rosei, è una fuga forzata e quando tutto sarà finito ognuno vorrà ritornare al suo posto. In Ucraina, ora in macerie. Ma proprio da quelle macerie bisognerà ripartire e tutti vorranno fare la loro parte. Una nuova pagina di storia da scrivere, nel segno della pace e della speranza che le nuove generazioni possano sotterrare i missili e coltivare conoscenza e progresso.
La guerra non è mai la soluzione. Lo sanno bene gli ucraini, i sudanesi, i siriani e tutti quelli che hanno perso un pezzo di vita sotto le bombe.