Nel 1998, sotto il governo Ben Ali, con la nascita del “Partenariato euro-mediterraneo” veniva istituita un’associazione composta da una parte dalle Comunità europee e i loro Stati membri e dall’altra dalla Repubblica tunisina. Da allora l’Europa tenne in alta considerazione la politica del paese maghrebino che già col governo Habib Bourghiba aveva dato il via a importanti riforme sul riconoscimento dei diritti umani e in particolare delle donne.
Sotto la presidenza Ben Ali la Tunisia nel 2008 è poi entrata nella zona di libero scambio dei prodotti industriali con l'UE ed è stato quello il primo degli accordi conclusi nell’ambito del citato Partenariato euro-mediterraneo. Già dal 1998 la Tunisia è stato uno dei paesi mediterranei maggiormente gradito dalla Comunità Economica Europea prima e dall’Unione Europea dopo ed ha rappresentato un trait d’union tra l’Europa e il mondo arabo. Le basi sulle quali era stato fondato il partenariato UE-Tunisia erano rappresentate soprattutto dall’impegno di favorire i principi democratici delle libertà individuali, dello Stato di diritto, della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura. È dunque evidente che in Tunisia il mancato rispetto di tali principi ha fatto venire meno gli accordi, ancorché consolidati, con l’Unione Europea e ha fatto innescare la miccia della “Rivolta dei gelsomini” del 2011, che si trasformò poi in Primavera Araba.
Da allora per la Tunisia iniziò un periodo difficile e diverso dalle originarie aspettative della popolazione. Ci fu infatti una vittoria elettorale del partito Ennahda di orientamento islamista moderato che ha allontanato definitivamente gli investitori stranieri già presenti in Tunisia e le possibilità di concreti interventi finanziari esteri. Tra le grandi opere che erano state avviate è sufficiente ricordare il progetto “La Porte de la Méditerranée” del Gruppo Sama Dubai. L’opera fu autorizzata nel 2007 e nel 2008 iniziò i lavori che furono poi totalmente bloccati dopo la primavera araba. Il progetto prevedeva la realizzazione di centri residenziali, commerciali e turistici, con un grande porto turistico per circa 1500 posti barca, con un investimento complessivo allora stimato in 25 miliardi di dinari che al cambio di allora corrispondevano a circa 13 miliardi di euro.
Una speranza presto svanita
Un barlume di speranza era arrivato al popolo tunisino, dopo la morte improvvisa del presidente Beji Caid Essebsi, con l’elezione a presidente della repubblica di Kaïs Saïed il 25 luglio 2019, eletto al secondo turno con una grandissima maggioranza (72,71%) a seguito di una partecipazione di circa il 55% degli aventi diritto. Il popolo nella sua maggioranza ha creduto fortemente in lui. Purtroppo, dopo un primo momento di entusiasmo, il sogno tunisino svanì con le seguenti azioni messe in atto da Kaïs Saïed in tempi rapidissimi:
- nel luglio 2021 la sospensione del Parlamento e la rimozione del Primo Ministro;
- nel settembre 2021 la sospensione della Costituzione del 2014 che era stata votata come innovativa e l’assunzione di pieni poteri da parte del Presidente;
- nel febbraio 2022 lo scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura;
- il 25 luglio 2022 approvazione della nuova Costituzione con un referendum con la partecipazione del 30,5% degli aventi diritto al voto, dunque con un forte astensionismo rispetto le precedenti elezioni, a dimostrazione del malcontento che già emergeva tra la popolazione;
- il 17 dicembre 2022 le elezioni legislative furono quasi deserte;
- il 29 gennaio 2023 si è svolto il secondo turno delle elezioni parlamentari con un’affluenza altrettanto bassa come per il primo turno;
- dopo le votazioni sono iniziate vistose manifestazioni di piazza.
Le manifestazioni di piazza
L’astensione al secondo turno delle elezioni legislative per l’Assemblea dei rappresentanti del popolo (ARP), simile a quella del primo turno, ha confermato il netto dissenso del popolo verso la politica del Presidente. Una politica che sta sempre più isolando la Tunisia dal resto del mondo, con ripercussioni sul suo stato economico generale e sul mancato aiuto economico estero, con un debito pubblico e una disoccupazione in continuo aumento. Il dissenso ha avuto la sua massima espressione con le manifestazioni del 14 gennaio e la richiesta di dimissioni del Presidente, che hanno assunto un valore fortemente simbolico perché era la ricorrenza del 14 gennaio 2011, data della destituzione di Ben Ali, la data che segnava la fine di quello che veniva indicato come regime autoritario. Un segnale che chiaramente ricordava i motivi per cui era nata la primavera araba e forse anche per evidenziare che forse “si stava meglio quando si stava peggio”.
Ormai da tanti mesi scarseggiano i beni di prima necessità, i generi alimentari primari la cui carenza comporta estreme difficoltà alla popolazione. La carenza è dovuta da una parte alle poche finanze tunisine e dall’altra alla difficoltà di reperire risorse finanziarie all’estero, dovute soprattutto alla mancanza di stabilità del governo. Da più parti l’attuale situazione della Tunisia è stata ormai definita ad alto rischio per il potenziale “collasso economico e sociale”, dunque, una situazione estremamente pericolosa che ha già portato ad un aumento dell’emigrazione, soprattutto dei giovani alla ricerca di luoghi dove programmare la loro vita in maniera più certa. Il mondo europeo e occidentale manifesta il timore che il nuovo sistema autoritario possa portare la Tunisia nelle mani islamiste, facendole perdere ulteriormente fiducia e credibilità internazionale, inserendola in un circuito vizioso, quasi una spirale che la potrebbe spingere sempre più verso un isolamento internazionale.
I sostegni economici internazionali
Ai problemi sopra menzionati, che hanno determinato un’economia del paese agonizzante, si aggiungono quelli derivanti dalla sospensione dei finanziamenti internazionali a causa della deriva autoritaria del Presidente Saïed e per la retorica razzista contro i migranti subsahariani. Gli USA stanno ritardando il loro finanziamento già preventivato nello scorso anno e, sempre che venga concesso, hanno previsto un’entità minore di quella originariamente prevista per l’anno 2024. Anche l’Europa ha sospeso il finanziamento, ma a marzo di quest’anno il commissario europeo Paolo Gentiloni ha discusso un programma di riforme con rappresentanti del governo tunisino, a condizioni della ripresa della strada democratica che si stava tentando di percorrere.
Il Parlamento europeo, con la risoluzione del 16 marzo 2023 sulla Tunisia, ha preso atto dell’arresto di giornalisti tunisini da parte delle unità antiterrorismo e della loro condanna da parte del Tribunale e della falsa accusa rivolta dal governo tunisino verso i migranti subsahariani di volere mettere in atto la sostituzione demografica della popolazione tunisina. Il Parlamento europeo ha di conseguenza esortato le autorità tunisine al rilascio dei giornalisti arrestati, condannando le successive aggressioni e invitando le autorità a rispettare il diritto internazionale e nazionale, in particolare la legge 50-2018 contro la discriminazione razziale. In particolare, come riportato nella citata risoluzione, il Parlamento «esprime una profonda preoccupazione per la deriva autoritaria del presidente Saïed e per la sua strumentalizzazione della drammatica situazione socioeconomica della Tunisia al fine di invertire la storica transizione democratica del paese; chiede, quindi, di porre fine alla repressione in atto nei confronti della società civile; esorta le autorità a reintegrare immediatamente i giudici arbitrariamente licenziati, a revocare tutte le misure che compromettono l'indipendenza della magistratura e a cessare di ricorrere ai tribunali militari per perseguire civili; deplora il rifiuto delle autorità di conformarsi all'ordinanza del tribunale amministrativo che dispone il reintegro di 49 giudici».
Questa risoluzione è sufficiente a chiarire i motivi del diniego, da parte della Comunità Europea, degli aiuti economici richiesti dal Presidente Saïed. Purtroppo, la continua limitazione della libertà ai giornalisti, accusati di cospirazione contro il Governo, non tende ad allentare la tensione esistente tra la popolazione. L’Europa fa richiesta al presidente Saïed di riprendere la via della democrazia, che rappresentava l’obiettivo principale della popolazione quando lo ha eletto, condizionando il suo aiuto economico alla vera ripresa della linea democratica iniziata a seguito della rivoluzione dei gelsomini.
La richiesta di sostegno fatta dal ministro tunisino Nabil Ammar
L’ANSA di Tunisi del 30 marzo riporta le dichiarazioni del Ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar: «L'unica politica intelligente oggi per tutti i partner della Tunisia è sostenerla nella sua ripresa economica rispettando la volontà del suo popolo perché una Tunisia stabile e prospera è nell'interesse di tutti i partner del nostro Paese». E nella stessa intervista così si esprime ancora: «I tunisini devono esserne pienamente consapevoli. Tre leve sono indispensabili per uscire dalla situazione attuale: l'unità nazionale, la ripresa economica e le riforme. Anche il dialogo e la comunicazione sono necessari. Dobbiamo far sentire la nostra voce ovunque». In realtà il Ministro ha toccato 3 punti essenziali, che sono proprio i punti che non sono stati rispettati a seguito dell’assunzione di pieni poteri da parte del presidente Kaïs Saïed.
Dunque a che servono queste enunciazioni di principi se poi in realtà tutto si svolge in maniera totalmente opposta. Si chiedono le riforme, ma quali riforme potranno mai essere accettate dai tunisini in un sistema che sta ormai nettamente virando verso la dittatura? Non è forse stata esemplare l’emanazione della nuova Costituzione che, ancorché presentata da un esperto nominato dal Presidente in maniera accettabile è stata poi dallo stesso Presidente totalmente stravolta? Si chiede l’unità nazionale, ma quale unità è mai possibile se alle recenti votazioni hanno partecipato circa il 9% dei potenziali votanti? Non è questo un segno tangibile che l’attuale governo senza una svolta democratica non potrà mai avere il gradimento della popolazione? Si chiede la ripresa economica. Ma per una ripresa economica occorre la partecipazione e la fiducia da parte della popolazione al governo, occorre una politica che incentivi gli investimenti stranieri e che dia certezza ai paesi amici di sostenere economicamente la Tunisia.
La proposta italiana
Il ministro italiano degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani il 13 aprile scorso ha annunciato al suo omologo tunisino, il ministro Nabil Ammar, che l’Italia ha fatto una proposta che è stata molto chiara, manifestando esplicitamente, sia al Fondo Monetario, sia agli interlocutori americani ed europei, l’opportunità di cominciare a finanziare alla Tunisia una prima trance attraverso il Fondo Monetario e condizionare il finanziamento della seconda trance all’avvenuto avvio delle riforme costituzionali, senza però condizionare la seconda trance all’attuazione immediata di tutte le riforme, ma alla dimostrazione di avere avviato tale percorso. Tutto ciò con l’impegno anche da parte della Tunisia di lottare contemporaneamente il flagello delle migrazioni clandestine. Tajani ha inoltre annunciato che si sta perfezionando un accordo per fare venire in Italia 4000 lavoratori tunisini che saranno prima formati in Tunisia.
Lo stesso Ministro già nei giorni precedenti aveva annunciato il rischio di una islamizzazione della Tunisia e il pericolo che potesse cadere in mano dei Fratelli Musulmani.
Francia e Italia hanno anche deciso, in questa occasione, di lavorare assieme per sostenere la Tunisia a condizioni di un ritorno alla democrazia. È stata questa una delle rare volte in cui il presidente della Repubblica francese Emanuel Macron sembra in sintonia col Giorgia Meloni presidente del Consiglio dei Ministri italiano.
Le principali attuali criticità della Tunisia
A seguito del mutato atteggiamento del presidente Kaïs Saïed e soprattutto dopo l’approvazione della nuova Costituzione la Tunisia, che dalla sua rivolta del 2011 non si era ancora ripresa economicamente, ha avuto un vero tracollo. Sono di seguito brevemente riassunte le principali attuali criticità del paese.
- Una deriva fortemente autoritaria derivante dalla nuova Costituzione.
- Un’economia in continua regressione per mancanza di investimenti interni ed esteri causati dai mancati finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale e dall’assenza di potenziali investitori privati, alcuni dei quali hanno sospeso le grandi opere che erano state già avviate sotto il governo Ben Ali.
- La carenza di prodotti alimentari primari per le ridotte importazioni dovute principalmente alla carenza finanziaria del paese.
- Il forte aumento delle spese pubbliche, rivolte principalmente ad una eccessiva assunzione di personale nel pubblico impiego a causa della ridottissima richiesta di mano d’opera a livello industriale, artigianale, in agricoltura e nel settore turistico.
- Le difficoltà di gestione delle strutture ricettive esistenti, molte delle quali sono state chiuse per il forte calo del flusso turistico internazionale, in parte dovuto anche alla sensazione di poca sicurezza che dà il paese nelle condizioni in cui versa.
- La limitata libertà di stampa, utilizzata come mezzo principale per limitare le opposizioni politiche.
- La paura diffusa per la campagna continua di arresti, con accuse di sovversione e cospirazione, indirizzati principalmente alla stampa a alle forze politiche di opposizione.
- La diffusa sensazione di una campagna di discriminazione razziale, spesso motivata con l’accusa ai migranti subsahariani di volere modificare la composizione demografica della Tunisia per avvicinarla all’area subsahariana.
- Una legge antiterrorismo che preclude all’imputato l’accesso al diritto di difesa per 48 ore e, per quanto riportato dalle notizie di stampa, talvolta utilizzata per giustificare un momentaneo “arresto politico” avvenuto senza alcuna ragionevole motivazione.
- La ridotta partecipazione femminile al recente parlamento, dovuta principalmente al meccanismo elettorale dettato dalla nuova Costituzione.
L’inspiegabile mantenimento dei poteri forti del Presidente
Le forze politiche debbono essere sconfitte con regolari elezioni aperte a tutti e senza porre limiti e restrizioni nelle candidature che altrimenti le renderebbero di fatto nulle. Saïed ha ancora la possibilità di riprendersi il consenso iniziale e riaprire la Tunisia agli investimenti internazionali. È poco credibile la dichiarazione che ci siano oggi volontà di ripresa da parte di alcuni importanti investitori stranieri, poiché la messa fuori gioco del capo del partito islamista Ennahda con atti forzati e non come atto voluto dalla maggioranza della popolazione, ancorché gradita a molti paesi, non dà sicurezza di stabilità e di sicurezza a interna. Il partito islamista è stato a suo tempo votato da quella popolazione che oggi potrebbe non votarlo più se vengono risolti principalmente i problemi economici e di giustizia sociale che incombono sul paese. Certamente una Tunisia islamista finirebbe col produrre nuove e più forti povertà, ancorché sostenuta da qualche paese per interessi sicuramente non solo di religione o di ideologie.
Attualmente Saïed non sembra più libero di assumere iniziative a favore del suo popolo, come se fosse ormai soggiogato a poteri locali e forse non solo locali che condizionano il suo operato e che forse giustificherebbero il suo atteggiamento che, ancora oggi, sembra inspiegabile: l’improvvisa virata verso un sistema dittatoriale dopo essere stato eletto promettendo giustizia e democrazia. E non credo che possa essere sufficiente l’enunciazione del principio di indipendenza che il Presidente ha dichiarato durante la sua visita al Governatorato di Kairouan del 20 marzo, in occasione del 67o anniversario dell'Indipendenza. Il Presidente affermò infatti che non devono esserci “ingerenze straniere contro la sovranità nazionale”. Un principio sicuramente corretto, ma probabilmente non sufficiente per sbloccare i potenziali aiuti internazionali.
Considerazioni finali
La Tunisia in questo periodo ha un male gravissimo che è curabile, ma lo stato di salute si aggrava ogni giorno di più e la malattia potrebbe diventare inguaribile se si ritarda ad intervenire con condizioni che possano essere accettate dalla stessa Tunisia. È proprio il caso di ricordare l’antico detto “mentre il medico studia, l’ammalato muore”. È una metafora quella del medico che rimanda ad operare un malato in fin di vita, sottolineando chi predilige l'inutile pensiero all'azione concreta e proficua. Nel caso della Tunisia, mentre si cerca di trovare rimedi e soluzioni alla sua grave crisi, passando il tempo, la situazione potrebbe precipitare. La soluzione più urgente, dunque, è certamente quella di ripristinare la democrazia per dare fiducia a quanti potrebbero investire in Tunisia e tentare di riprendere, se ancora possibile, alcuni importanti vecchi progetti che c’erano prima della Primavera araba. Perché ciò possa avvenire, occorre aiutare la Tunisia con proposte concrete perché si possa sperare che esca dall’impantanamento in cui si trova.
Non possiamo criticare i giovani che, non vedendo prospettive di vita, abbandonano il loro paese e le loro famiglie rischiando la loro vita per tentare di raggiungere un sogno: riappropriarsi della loro dignità attraverso il lavoro. Il vero rimedio contro l’emigrazione è il lavoro. Nessuno lascerebbe il proprio paese per avventurarsi in viaggi, talvolta senza ritorno, se le condizioni economiche gli consentissero di potere vivere dignitosamente a casa propria. Oggi l’Europa da un lato ha bisogno di mano d’opera, dall’altro non piò accogliere migranti economici clandestini che non vengano regolarizzati.
Ho chiesto ad un mio caro amico tunisino, che ama fortemente il suo paese, quale fosse secondo lui la prospettiva a breve termine. La risposta è stata: «tutto è fermo, l’economia ha avuto un crollo verticale, così come un crollo ha avuto la credibilità del nostro paese all’estero. Non godiamo più della fiducia di un tempo, né da parte di governi stranieri che ci hanno sempre aiutato, né da parte di potenziali investitori che una volta affollavano le stanze dei nostri Ministeri per avere autorizzazioni su progetti di sviluppo che avrebbero comportato nel nostro paese una riduzione della disoccupazione e un’elevazione dell’economia generale e i cui effetti si sarebbero sentiti maggiormente nelle fasce sociali più deboli». Mi è venuto spontaneo dire al mio amico tunisino di cercare di accelerare le nuove elezioni, senza più disertarle come a dicembre 2022, perché il popolo possa così esprimersi. La risposta è stata che la nuova costituzione, varata con prepotenza, non consentirebbe libere elezioni perché il meccanismo giuridico approvato non darebbe la possibilità di potere presentare liberi raggruppamenti scelti dalla popolazione, dunque era perfettamente inutile sperare nelle nuove elezioni ed ha aggiunto che l’alternativa potrebbe essere una seconda rivoluzione, ma non si possono fare rivoluzioni ogni decennio, non è nella tradizione non belligerante del popolo tunisino.
Queste considerazioni da un lato mi hanno rattristato vedendo la saggia rassegnazione, dall’altro mi hanno rasserenato perché si può sperare in azioni non violente.
Richiamando la proposta del ministro Tajani, essa sembra improntata sul buon senso e potrebbe essere presa ad esempio da parte di altri paesi europei e non. Sono queste le proposte che potrebbero indurre il presidente Saïed, professore di diritto costituzionale, a riprendere il lungo percorso della democrazia, anche grazie alla sua grande cultura giuridica e lasciare un positivo segno indelebile nel suo paese.
Aiutiamo i paesi che generano flussi migratori a formare i lavoratori di cui oggi ha bisogno l’Europa. Un’azione che qualifica il paese dei potenziali migranti e mette noi europei nelle condizioni di comprenderci e potere meglio cooperare con abitanti di paesi diversi per lingua e religione, senza che ci sia alcuna imposizione e senza privare alcuno dei propri diritti e della propria dignità. Forse potrebbe rappresentare un passo importante per le future generazioni, sempre che la velocissima evoluzione dell’intelligenza artificiale ci dia ancora la possibilità di mantenere sufficiente umanizzazione in questo mondo.