Quando hai fatto un voto a Dio, non indugiare ad adempierlo
perché egli non si compiace degli stolti; adempi il voto che hai fatto
Meglio è per te non far voti, che farne e poi non adempierli(Ecclesiaste 5,4)
Mi guardi il Signore dal fare simile cosa al mio signore,
al consacrato del Signore, dallo stendere la mano su di lui
perché è il consacrato del Signore(1 Sam, 24.7)
Sulla scia delle celebrazioni manzoniane per il 150° anniversario della scomparsa del grande scrittore e intellettuale cattolico-liberale-illuminista mi sono divertito a pensare in modo differente alle figure dei protagonisti dei Promessi Sposi, il romanzo che rifonda la lingua italiana e, quindi, forgia (insieme a Pinocchio) il nuovo modello cluturale per gli italiani del futuro, ancora oggi in parte persistente quale sintesi di equilibrio tra il tradizionale cristianesimo popolare e l’illuminismo-progressismo moderato della borghesia italiana.
Siamo certi che Lucia e Renzo siano quei caratteri a tutto tondo che vagamente ci ricordiamo dagli studi scolastici? Certamente non sono macchiette rigidamente funzionali e pedagogico-moralistiche come quelle del Libro Cuore di Edmondo De Amicis ma Manzoni si rivela sempre maestro delle sfumature psicologiche e sociali anche nei tratti essenziali dei personaggi principali. Qui provo a ribaltare l’ordinaria percezione di Lucia e di Renzo in relazione al loro cristianesimo vissuto e narrato. Iniziamo con Lucia. Renzo appena sa da Don Abbondio che la causa dell’improvviso “impedimento” per le sue nozze deriva dall’intervento-interessamento di Don Rodrigo per Lucia inizia a sospettare della stessa Lucia rinfacciandole nella sua mente il non avergli parlato prima di tale pericoloso interessamento.
Nel capitolo successivo, il terzo, Lucia stessa arrossisce quando Renzo menziona il nome di Don Rodrigo e successivamente quando racconta il suo avvicinamento e la stessa Agnese si stupisce che la figlia non le avesse detto nulla di tali incresciosi fatti. Tutto questo premesso Lucia appare paradossalmente “ribelle” proprio in relazione alla religione cattolica in cui è e sembra immersa pienamente, istintivamente, abitualmente. Lo possiamo pensare in relazione al suo voto di verginità alla Madonna che effettua con tutto il suo cuore quanto è prigioniera dell’“Innominato” (Capitolo XXI).
Per vincere la paura, l’angoscia, il peso della solitudine e il senso di smarrimento in quella situazione drammatica Lucia inizia a pregare il Rosario ritrovando così una maggior serenità interiore. Nel pregare matura una convinzione spirituale: la sua preghiera sarebbe stata più ascoltata da Dio se congiunta con un sacrificio, con un’offerta personale. Pensiero nobile, spirituale e perfettamente coerente con la bimillenaria dottrina cattolica. Il voto alla Vergine Maria è appunto quello di restare vergine, di rinunciare a sposare Renzo. Un voto compiuto lucidamente, consapevolmente e con una gestualità chiara: in ginocchio, e mettendosi il Rosario al collo “come un segno di consacrazione”.
Oltre a ciò appare bella, chiara e precisa la preghiera del voto e lo scambio sacrificale che la sostanzia: uscire indenne da tale pericolo e tornare dalla madre Agnese in cambio della sua rinuncia al matrimonio. E così accadde: Dio compie il miracolo della conversione dell’Innominato e Lucia viene liberata e torna da Agnese. Ma la contadina non rispetta il suo voto e sposerà Renzo, facilmente convinta dal padre Cristoforo che il voto non era valido in quanto compiuto in un contesto di costrizione.
E’ questo l’aspetto che non regge teologicamente e umanamente a mio parere. A ragionare in questo modo relativistico e situazionistico allora si toglierebbe valore a qualsiasi preghiera e a qualsiasi atto di sacrificio compiuto verso Dio per ottenerne legittimamente l’aiuto in quanto si porrebbe al centro il tema delle “condizioni” e delle “situazioni” che svuoterebbero il valore spirituale sia soggettivo che oggettivamente metafisico (dal punto di vista di Dio) di qualsiasi atto di rinuncia o impegno che l’anima prende con Dio il quale si comporta fedelmente e quindi si dovrebbe aspettare una simile fedeltà da parte dell’anima che lo prega quando promette qualcosa.
E infatti Lucia quando incontra Renzo giustamente gli dice che vuole restare fedele al suo voto (Capitolo XXXVI) Renzo si mostra anche qui impulsivo, sprezzante, impetuoso: “son promesse che non valgon nulla!”. Frase che addolora e fa stupire Lucia che sembra non riconoscerlo per questo suo disprezzo verso una scelta cristiana e interiore del proprio cuore. Le parole di Renzo verso Lucia, per relativizzare il suo voto, sembrano ricalcare il linguaggio di Don Abbondio con i suoi valori del “non far danno a nessuno”, come se la religione fosse un mero fatto orizzontale e non una dimensione verticale ed esclusiva-prioritario dell’animo verso Dio.
Renzo cerca anche di strumentalizzare la presenza nel Lazzaretto di un Don Rodrigo morente e bisognoso di preghiera e vicinanza per portare Lucia da Padre Cristoforo con lui, per tenerla ancora vicino a se. Con il frate Renzo continua con questo suo linguaggio popolaresco e “alla Don Abbbondio” per cui Lucia sarebbe “un po’ fissa nelle sue idee”. Posizioni illuministica di relativizzazione di questioni personali di fede per cui la fede in Dio si potrebbe ridurre in certi casi a semplice “ostinazione” caratteriale.
Posizione ideologica e mediocrizzante quella di Renzo, comprensibilissima affettivamente-carnalmente per la sua smania di sposare Lucia ma criticabile a livello di teologia morale. Renzo fa passare Lucia per una tonta sprovveduta e fanatica mentre Lucia presenta sempre nel romanzo un’animo e una mente chiara, limpida, ragionevole e sicura di se stessa e delle sue scelte e pensieri. E’ Renzo che mostra un animo passionale e suggestionabile nel romanzo, non Lucia che appare sempre a lui superiore per interiorità e ragionamenti. Renzo allude al tema di “voti” cioè delle promesse religiose come fosse un “lusso per ricchi” e non un qualcosa praticabile da qualsiasi fedele.
Vediamo le motivazioni che sorreggono il dire di Frà Cristoforo verso Lucia per convincerla a rinunciare alla sua promessa fatta a Dio: Lucia era già promessa a Renzo davanti a Dio e quindi non poteva rinunciare al matrimonio. Una posizione un po’ legalistico-giuridica quella del frate che non considera il fatto che Lucia liberamente ha fatto il suo voto per poter essere liberata da Dio dalla sua prigionia. E Dio ascolta questa sua preghiera e la libera. E’una scelta spontanea della sua anima cristiana e sceglie proprio di rinunciare a ciò a cui più tiene, il matrimonio, proprio per dare massimo valore sacrificale a tale atto di offerta-penitenza.
Qui il frate sembra mettersi abusivamente al posto di Dio, come fa Renzo, intervenendo a gamba tesa dentro un rapporto che è solo fra Dio e Lucia, come fosse un rapporto contrattuale liberamente surrogabile, sostituibile. Frà Cristoforo e Renzo violano il libero arbitrio di Lucia, coartandone la coscienza umana e cristiana. Il frate peggiora ancora la situazione dottrinale-teologica confondendo nella mente di Lucia il tema dei sacramenti con quello dei voti personali. Se è vero che il sacerdote può per mandato e consacrazione divina rimettere i peccati non sembra la medesima cosa lo “sciogliere” un voto che solo Lucia poteva sciogliere avendo lei fatto.
Ma come cambiare idea in una promessa fatta a Dio? Se Dio è fedele non dobbiamo essere anche noi fedeli? Lucia lotta con maggior coerenza e ricorda al frate che il voto alla Madonna lei lo ha fatto “proprio di cuore”! Il frate avrebbe potere sul cuore di Lucia? Eresia! La posizione iniziale di Lucia è corretta in quanto mette al primo posto la salute della sua anima, il tema della propria salvezza eterna e in secondo piano gli impegni al matrimonio mentre frà Cristoforo recita una parte “politica” e farisaica mettendo al centro un suo indefinito potere ecclesiastico per convincerla a chiedergli di sciogliere il voto.
Questo è anche un autogoal logico: se ha questo potere il frate perché deve essere Lucia a chiedergli di “sciogliere” il proprio voto? O Lucia lo può sciogliere da sola o il magico potere del frate potrebbe scioglierlo senza che Lucia glielo chieda. Il frata ha bisogno che Lucia glielo chieda proprio perché la sua libertà non è sostituibile e infatti il frate la coarta con l’inganno e la persuasione. La situazione personale e spirituale di Lucia, prigioniera prima e poi conducente un’altra tipo di vita nella Milano sconvolta dalla peste, avrebbe senza dubbio potuto giustificare un cambiamento di scelta di vita anche senza problemi teologici-religiosi-morali.
Lucia nel Lazzaretto sembra già fuori dal mondo, santificata in vita, tutta sconvolta dal tema della morte trionfante; sembra molto diversa e lontana dalla sua vita precedente e infatti accoglie Renzo con distacco e con freddezza. Renzo e il frate Cristoforo invece operano retoricamente sulla sua mente per “riportarla nel mondo” come se la promessa matrimoniale di anni prima fosse un imperativo morale assoluto e prioritario. Una logica mercantile come se Lucia fosse un bene già venduto! Renzo e Cristoforo impongono le loro opinioni e i loro pensieri spacciandoli per volontà di Dio per convincere Lucia che il suo voto non avesse alcun valore ma la religione cattolica, come ogni religione, si fonda su due principi base: il sacrificio e il libero arbitrio. Lucia liberamente ha fatto quel voto proprio per uscire da una situazione drammatica.
Il valore sacrificale del voto era proporzionale alla gravità della situazione. E lo ha fatto non solo liberamente e spontaneamente ma mentre pregava, quindi in uno stato di ispirazione spirituale. E’stata esaudita e ora lo tradisce, lo rinnega, sedotta mentalmente da un Renzo infuriato e da un frate cocciuto e malato di peste. Un Cristoforo anch’egli ora strano, che invoca per la prima volta una sua “autorità” che mai prima aveva invocato. Un Cristoforo non più umile, francescano e semplice ma burocratico e pretesco.
Strano! Sembra l’avvocato azzeccagarbugli. Un Cristoforo che si mette al posto di Dio annullando ciò che solo Dio può annullare. Non esiste alcuna “autorità” religiosa che valga per dei voti privati e personali di un laico: è questione della sua coscienza in cui nessuno dovrebbe entrare. Renzo e il frate invece coartano la coscienza di Lucia per spingerla a chiedere al frate di “sciogliere il suo voto”. Ma poteva scioglierlo da sola (tradendolo) e non serviva alcun ipocrita “velo” ecclesiastico o religioso in quanto Lucia è una fedele laica e non è una religiosa consacrata con voti pubblici. Questa grande confusione in Manzoni penso derivi dal non sempre facile coabitare del suo liberalismo illuministico con la sua anima cattolica.
Il frate avrebbe potuto dirgli al massimo: fai secondo la tua coscienza, in modo che la tua coscienza sia serena e non ti accusi oppure, ancora meglio scritturalmente, avrebbe dovuto rispettare il suo voto, suggerirle di rispettarlo! La smania maschile di Renzo ha vinto e a questo punto i due si lasciano ognuno per la sua strada senza neppure salutarsi! Altro dettaglio eccentrico e bel poco cristiano lo troviamo all’inizio del romanzo quando Renzo affronta Don Abbondio, furioso e impaziente dopo che ha sentito da Perpetua che un potente interferisce con le sue nozze. Qui il dettaglio è lasciato volutamente ambiguo dal romanziere: Renzo sequestra nella sua stanza Don Abbondio che cercava di sfuggirgli, mettendosi la sua chiave in tasca e poi “mise forse senza avvedersene la mano sul manico del coltello che gli usciva dal taschino”.
Qui Renzo sembra uno dei “bravi” di Don Rodrigo. Don Abbondio ne resta terrorizzato, più che di fronte ai bravi stessi. Chiaramente secondo le antiche leggi della Chiesa cattolica (compendiate poi nel Decretum Gratiani) chi attenta alla libertà e alla vita di un sacerdote è immediatamente scomunicato-anatemizzato laetae sentetiae. Don Abbondio in questo caso è vittima ed è sacerdote. Non conta che sia indegno umanamente e religiosamente; ma rileva in questo caso solo la sacralità della sua consacrazione sacerdotale. Qui Renzo usa la forza fisica e la minaccia del gesto della mano sul manico del coltello per costringere il sacerdote a rivelare il nome del potente che si oppone alle sue nozze.
Visti alla luce di questi nuovi sguardi sia Lucia che Renzo appaiono differenti dalla comune percezione buonista, specie Renzo nei suoi furori e nella sua tendenza alla violenza e alla chiacchera. E’questa la causa prima, profonda, nascosta delle loro disavventure e non una contesa manichea tra malvagità e Provvidenza? Forse l’insegnamento migliore del romanzo è proprio quello finale di Lucia la quale meditando sulle sue disavventure non riesce a concludere alcuna morale, alcun senso e lo stesso invariato carattere impulsivo e sanguigno di Renzo (che si arrabbia con i nuovi paesani perché non trovano bella Lucia) aggiunge forza a questa paradossale assenza di “morale” del romanzo stesso.