Il riconoscimento dei diritti umani (e in particolare di quelli delle donne) è ormai oggetto di attenzione da parte di quasi tutti i paesi del mondo. Nel Mediterraneo emergono però delle potenzialità diverse con la creazione di azioni sinergiche tra le donne. Ovunque oggi vengono ostentate avvenute approvazione di leggi e disposizioni varie che sembrano avere risolto il problema, purtroppo la realtà sembra ben diversa. Infatti, farsi promotore di tale riconoscimento diventa un fatto di grande importanza sociale e grande notorietà, le cose però cambiano notevolmente quando dai principi enunciati si passa alle azioni, quando cioè si devono emanare precise leggi in materia e quando, a seguito dell’avvenuta emanazione delle leggi, le stesse vengono poi eluse con anomale interpretazioni.
Oggi in molti paesi lo stato della donna è paragonabile a quello dell’uomo, con l’accessibilità a tutti i lavori fisici in fabbrica e nei campi e a tutte le mansioni pubbliche e private, semplici e direttive, anche se, in materia di parità di diritti, talvolta si nascondono celate forti limitazioni che emergono poi nelle scelte selettive per alcune attività, con una disparità numerica tra uomini e donne. Ma se ciò avviene in molti paesi in tanti altri, purtroppo, le donne sono ancora tenute ad un livello di vera schiavitù fisica e psichica.
C’è ancora una celata difficoltà ad accettare la parità di genere
Nel bacino del Mediterraneo la parità di genere non è ugualmente sentita, ma si possono riscontrare delle notevoli differenze tra i vari paesi. Ricordo, a tal proposito, che mia moglie, forte difensore dei diritti della donna, mentre assieme trattavamo questo argomento, mi disse: «se vuoi conoscere il vero livello di civiltà di un paese, analizza lo stato della donna in quel paese». In poche parole ha espresso una grande cruda verità che condivido pienamente e alla quale desidero aggiungere un’altra considerazione: «Se vuoi conoscere il vero livello di civiltà di un paese, parla di questo argomento con alcuni uomini ben inseriti nell’assetto pubblico e privato di quel paese, possibilmente senza la presenza di donne». Può sembra una semplice battuta spiritosa, in realtà nasconde quel senso di timore che l’uomo ancora ha nel manifestare il proprio vero sentimento verso i diritti delle donne.
Questa mia riflessione è nata quando, partecipando a una manifestazione internazionale di un’associazione di servizio di un paese mediterraneo, ho conosciuto una amabilissima persona, importante personalità del paese che ci ospitava, con la quale trovavo piacevole intrattenermi su argomenti di carattere sociale, politico e religioso. Quando però mi sono permesso di parlare di diritti delle donne le cose cambiarono immediatamente. Ne avevo fatto appena cenno che l’amabile persona, con volto divenuto di colpo austero mi disse: «ma basta. Voi europei parlate solo di diritti delle donne. Avete una fissazione ossessiva su questo argomento, non se ne può più».
Questa frase e l’espressione con cui è stata pronunciata mi hanno fatto vedere il mio interlocutore sotto una luce diversa. Come atto di pura educazione e di rispetto per la sua età, ben maggiore della mia, ho evitato di risponderli deviando la discussione verso un altro argomento. Forse avrei dovuto rispondergli che se tale ossessione era tanto diffusa dovevano pur esserci dei seri motivi.
La disattesa Carta delle Nazioni Unite del 1945
È normale chiederci perché la parità di genere è così diversamente sentita nell’ambito del Mediterraneo se tutti i paesi che ne fanno parte hanno ugualmente accettato la “Carta delle Nazioni Unite del 1945”. Infatti, nella “Carta” era previsto di «riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà». E successivamente era anche riportato che tra gli obiettivi da raggiungere c’erano quelli di «promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione».
Purtroppo, l’adempimento di quanto previsto in tale importante carta è stato fortemente disatteso e talvolta bypassato, restando spesso solo l’enunciazione di un principio universale, ma nulla di più. Questa triste criticità sul reale riconoscimento dei “diritti umani” la ritroviamo principalmente in diversi Paesi a matrice prevalentemente musulmana, ma non solo in quelli. Infatti, anche in paesi non musulmani e ufficialmente sostenitori di tali diritti vengono perpetrate azioni violente che non sempre sono ufficialmente conosciute come tali.
Anche nei Paesi mediterranei si registrano favorevoli emanazioni di norme che mirano verso il riconoscimento della parità di genere, ma tali norme a volte sono incomplete, a volte poco chiare, a volte chiare ma disattese e comunque non sempre sono tenute in debito conto nella loro applicazione. È evidente che non potrà mai esserci democrazia in un paese fin quando non ci sarà libertà e fin quando la libertà non è estesa con pari dignità agli uomini e alle donne.
Perché il ritardato riconoscimento dei diritti delle donne
L’attenzione è rivolta al Mediterraneo poiché le donne non godono degli stessi diritti in tutti i paesi di questo grande bacino, ma in esso si sono comunque formati dei movimenti che coadiuvati da associazioni esterne al Mediterraneo mirano a rafforzare e sostenere le posizioni delle donne. Nel processo di transizione da un regime dittatoriale o comunque non realmente democratico ad un regime democratico, le donne rappresentano sempre l’anello debole, ma in tale sistema è stato più volte importante e forte il loro intervento che, negli ultimi periodi, è stato sostenute apertamente anche da giovani e uomini coraggiosi che osano affrontare i rischi di mettersi contro il regime.
A conferma di ciò è sufficiente ricordare che i maggiori riconoscimenti dei diritti delle donne non sono stati mai frutto di una semplice concessione da parte degli uomini, ma il risultato conseguenziale di vistose manifestazioni di piazza che esse hanno messo in atto. Quello che viene definito il “sesso debole”, ha dimostrato in diverse occasioni di avere una fermezza di propositi, una chiarezza di vedute, un senso umanitario e soprattutto un coraggio non sempre riscontrabile nel “sesso forte”.
Le motivazioni di questa criticità sul rispetto dei diritti delle donne sono certamente generate da una molteplicità di cause, tra cui quella forse meno appariscente, ma di sicura importanza, rappresentata da una celata paura che l’uomo ha della crescita culturale e sociale della donna.
Una paura che sfugge alle osservazioni meno attente, ma con radici profonde che oggi sono difficilmente estirpabili. Una paura che mette in risalto l’anacronistica funzione del patriarcato, quasi un sistema-rifugio, che ancora oggi uomini di diversi paesi tendono a mantenere ben saldo. L’uomo da sempre ha manifestato un atteggiamento di superiorità rispetto la donna nel sostegno della famiglia. Man mano che la donna, con la sua attività all’esterno della propria famiglia, evidenziava le sue vere caratteristiche e la capacità ad assolvere alcuni compiti atavicamente di spettanza maschile, è probabile che l’uomo abbia potuto assumere inizialmente un atteggiamento di cauta preoccupazione.
Quando poi, col passare del tempo, si accorse che la donna emancipata, istruita e libera da tanti limiti sui suoi diritti umani poteva realmente minare la sua supremazia familiare e sociale è probabile che in lui si sia spinta al massimo la necessità di limitarne la libertà nell’ambito della famiglia e della società. E una delle principali libertà da bloccare era sicuramente la libertà di comunicazione con l’esterno della società in cui viveva.
Ciò è stato possibile fin quando la società dell’informazione non ha subito una forte impennata negli ultimi decenni, rendendo facile, immediata e di difficile controllo la comunicazione con tutto il mondo. Ma al freno da porre alla libertà della donna si doveva pure dare una giustificazione sociale facilmente accettabile, per non destare sospetti e affinché potesse essere accolta dalla popolazione senza che sembrasse un’imposizione voluta direttamente dall’uomo. Si fece così ricorso alla religione e al necessario rispetto delle tradizioni e tale giustificazione era più facilmente realizzabile soprattutto se la religione di riferimento del paese non veniva contestualizzata, ma “utilizzata” con interpretazioni ormai obsolete nate in un contesto sociale totalmente diverso da quello attuale.
È stato così facile, ad esempio, nel corso dei secoli, giustificare nel nome di Dio violenze perpetrate sugli uomini e soprattutto sulle donne, assieme ad una forte limitazione dei loro diritti umani universalmente riconosciuti, anche sotto l’osservanza, quasi incurante, dei responsabili delle diverse religioni. In queste condizioni l’uomo si è trasformato in Patriarca e in alcuni paesi ha ancora oggi un potere assoluto sulle donne, ad esempio di scelta per il matrimonio che così non è mai libero, con pesanti punizioni in caso di opposizione che possono arrivare alla morte. Questo ha contribuito in alcuni paesi a mantenere pericolose sacche di arretratezza culturale.
Certamente il fondamentalismo religioso ha le sue gravi colpe, ma non è il solo che ha ostacolato spesso l’affermazione della donna nella società mediterranea. Anche paesi sedicenti osservanti del rispetto dei diritti delle donne hanno poi agito nei confronti della donna in maniera ben diversa. Da un paese all’altro o all’interno dello stesso paese si possono riscontrare differenze anche tra professanti lo stesso credo religioso.
Ad esempio, nei paesi dove l’Islam determina le leggi dello Stato è ancora lontano il vero riconoscimento dei diritti umani e soprattutto di quelli delle donne. Nel Mediterraneo ci sono ancora donne condannate a anni di carcere per avere indossato un abito definito succinto o sottoposte a mutilazione dei genitali senza alcuna condanna per il medico che aveva fatto l’intervento, ancorché legalmente proibito. Inoltre l’uomo può essere anche un libertino, senza che ciò faccia scandalo, mentre se tale è la moglie, allora si assiste agli omicidi d’onore, che ancora oggi sono in vigore in alcune società, alla lapidazione, all’isolamento o all’allontanamento con grande disonore della donna dalla società dove vive. Tutto ciò perché il “sesso forte” possa lavare l’onta di tale offesa. Sembra di assistere ad un film riferito ad un passato remoto.
Un legame invisibile accomuna tutte le donne e in particolare quelle mediterranee
Una grande forza delle donne di tutto il mondo è il loro legame invisibile per ciò che le accomuna, a partire dal grido silenzioso quando sono sottomesse alle pesanti volontà patriarcali. Un grido silenzioso che nasce dalla rabbia e dalla paura di non potere liberamente parlare, reagire, ribellarsi. Basta pensare il silenzio delle donne dopo avere subito una violenza e di fronte la quale non hanno la forza, né il coraggio di ribellarsi urlando, a volte per paura, a volte per non esporsi al pubblico ludibrio. Il loro urlo si trasforma in quel “silenzio assordante” che descrive i fatti più delle parole. Donne che passano dal terrore di ciò che sta loro accadendo, all’orrore di ciò che hanno subito.
E se potessero parlare, forse non riuscirebbero a rappresentare la gravità di ciò che hanno subito, perché non sempre con le parole si riesce a descrivere i veri sentimenti che in certi momenti stanno provando, ma che possono trasparire solo dall’espressione del loro volto.
Questa è una delle virtù che ha loro consentito di creare un legamene invisibile che le rende vicine al momento del loro bisogno, al di là delle indicazioni sociali e/o della religione di appartenenza. Il legame è ancora più forte quando ci riferiamo alle donne mediterranee. Forse perché nella grande vastità delle culture presenti nel Mediterraneo sono già presenti dei legami che potrebbero facilitare una loro armonizzazione pur nel rispetto dei reciproci aspetti culturali e delle tradizioni.
Anche tra i paesi musulmani del Mediterraneo il rispetto dei diritti delle donne non avviene allo stesso modo. Nei paesi del Maghreb Arabo, non sottoposti alla sharia, il rispetto dei diritti umani trova applicazione con le leggi dello Stato e le donne sono libere di seguire le loro antiche tradizioni secondo le interpretazioni coraniche contestualizzate da moderni studiosi dell’Islam. Infatti nelle città si vedono donne dirigenti di importanti gruppi produttivi privati e in posti di potere politico nei più importanti ministeri, libere nel loro abbigliamento, senza l’obbligo dell’uso del velo o adornate da un semplice velo o da un lungo mantello. Ciò non esclude comunque che alcune donne possano ancora mantenere costumi e tradizioni più rigidi, non imposte dallo Stato, ma voluti da famiglie dov’è ancora in vigore l’antico sistema patriarcale.
Dal Maghreb Arabo spostandoci verso oriente l’interesse per il riconoscimento dei diritti delle donne va sempre più scemando e si annulla quasi totalmente in diversi paesi oltre i confini mediterranei, ad esclusione di qualche eccezione.
Come possiamo sostenere il ruolo delle donne per il rispetto dei loro diritti umani
Discutere su come sostenere il ruolo della donna nel Mediterraneo evidenzia già che esiste una differenziazione tra i diritti della donna e quelli dell’uomo, diritti che sono in parte differenti tra i diversi paesi.
Tale ruolo possiamo sostenerlo:
- Combattendo la violenza che viene perpetrata su di loro principalmente attraverso un patriarcato spesso artatamente celato.
- Agevolando l’accesso al lavoro e un controllo sull’adeguata retribuzione, perché si annulli l’insensata discriminazione che esiste ancora nell’ambiente lavorativo, visto che proprio lo sfruttamento sul lavoro è stata una delle cause delle prime sommosse delle donne. L’accesso al lavoro consente alla donna di potere assumere con maggiori serenità decisioni sulla propria vita e di potere reagire anche alle violenze familiari che rappresentano la causa principale delle violenze sulla donna.
- Consentendo e agevolando l’accesso allo studio perché sia accessibile a tutti e in particolare a tutte le donne, eliminando anche i casi di mancata istruzione per povertà. Ci sono ancora tante famiglie dove lo studio, ancorché accessibile o obbligato per legge, viene eluso perché il lavoro giovanile contribuisce al sostegno economico minimo indispensabile per la sopravvivenza della famiglia.
- Consentendo e agevolando l’accesso delle donne alla politica.
- Rendendo libera la comunicazione e l’accesso alle informazioni. Una condizione indispensabile perché le donne possano prendere coscienza di ciò che realmente accade nel mondo e di essere nelle condizioni di potere lanciare il loro appello in caso di bisogno, sapendo di poter essere ascoltate al di là degli stretti controlli che su di esse potrebbero essere operati nel loro paese.
- Agevolando e non ostacolando l’associazionismo in generale e quello tra le donne in particolare.
- Sostenendo il mantenimento e lo sviluppo del partenariato euromediterraneo che riconosce già uno spazio enorme al rispetto delle libertà, dello stato di diritto, della democrazia, per potenziare l'attuazione della cooperazione commerciale e finanziaria tra le due rive del Mediterraneo.
- Stimolando l’impegnando a trovare una adeguata mediazione tra le istanze religiose provenienti dalle religioni presenti nel Mediterraneo e in ciò potrebbe avere una grande importanza il ruolo della U.E., che di fatto rappresentare una trama di collegamento con l’area mediterranea che potrebbe rafforzare il ruolo strategico delle donne.
L’apporto di associazioni umanitarie e filantropiche
Per raggiungere gli obiettivi sopra enunciati occorre una mobilitazione generale pacifica di strutture con capacità di sensibilizzazione e di mediazione tra gli interessi sociali e quelli dei governanti che potrebbero segnare questa importante svolta sociale. Assieme alle note organizzazioni internazionale sulla difesa dei diritti umani, Amnesty International, Human Rights Watch, la International Federation for Human Rights, Human Rights First e Interights agiscono in maniera consistente e con precisi programmi anche associazioni umanitarie e filantropiche come il Lions Clubs International, il Rotary International, Soroptimist International, ecc ai quali aderiscono persone di varie parti del mondo e di varia tendenza politica e religiosa.
Dal 23 al 26 febbraio prossimo l’argomento, ad esempio, verrà trattato a Tangeri (Marocco) nella Conferenza dei Lions del Mediterraneo, organizzata dall’Osservatorio per la Solidarietà Mediterranea. Rappresentanti di circa 20 paesi del Mediterraneo si riuniranno per affrontare tra i temi sociali anche quello del sostegno da dare alle donne del Mediterraneo, con la partecipazione di Brian Sheehan, Presidente Internazionale (Bird Island, Minnesota-USA) e il contributo di Giuseppe Grimaldi, President Internazionale Emerito (Italia), che durante la sua presidenza ha istituito i Distretti Lions di Tunisia, Algeria e Marocco che prima facevano parte del Distretto Lions del Maghreb.
In questo caso si tratta dell’associazione umanitaria e filantropica più grande al mondo, nata nel 1917 e oggi presente in oltre 200 paesi e aree geografiche, con 48.000 clubs, che ha svolto un ruolo determinante nei lavori della Conferenza per la stesura della Carta Costitutiva dell'ONU del 1945 e due anni dopo l’ONU conferì al Lions Club International lo status consultivo nel Consiglio Economico e Sociale dell’ONU, l’organo impegnato nell’assistenza sociale dei popoli nel mondo. L’associazione è composta da circa 1,4 milioni di soci che sono sempre in piena attività per aiutare la gente e migliorare le comunità, contribuendo fortemente al riconoscimento e rispetto dei diritti umani e soprattutto di quelli delle donne.
In ragione dei propri iscritti rappresenta una forza non indifferente e di notevole impatto sull’opinione pubblica internazionale, anche perché le azioni messe in atto sono frutto di mediazioni importanti e del consenso di appartenenti a diverse religioni e tradizioni di paesi sotto regimi diversi. Nella scala piramidale della società mondiale queste associazioni rappresentano una fascia importante che sinergicamente potrebbe sensibilizzare anche le parti politiche più restie ai cambiamenti. Queste associazioni sono anche delle vere strutture di mediazione di pace al di là delle religioni e delle tradizioni rappresentate dai componenti l’associazione.
Considerazioni finali
Che i governi tradizionalmente ostili al vero riconoscimento dei diritti delle donne possano modificare le loro idee è un fatto augurabile, ma a mio avviso è utopistico. È razionalmente impensabile che spontaneamente governanti e loro sostenitori abbandonino privilegi e potere contrattuale sulla popolazione, solo perché la richiesta è avanzata, a qualsiasi titolo, a livello internazionale. In genere, sul riconoscimento dei diritti umani, la richiesta della popolazione non è ascoltata, ecco perchè a questa seguono assemblee pacifiche da parte di cittadini. Quando poi il governo del paese continua ad essere sordo a tali richieste possono invece generarsi delle sommosse, come si stanno verificando recentemente in diversi paesi dove stanno assumendo un grande ruolo le donne sostenute da giovani e uomini coraggiosi pronti a sfidare le volontà negative dei governati.
Le donne mediterranee, con la loro volontà e la loro capacità decisionale potranno essere il catalizzatore di sviluppo per l’abbattimento del residuale regime patriarcale in quei paesi ancora restii ai mutamenti sociali. Perché tali azioni possano sperare in un successo è indispensabile però che vengano attivati incontri con la diffusione massima delle proposte di mediazione. I risultati di questi incontri è probabile che possano generare una specie di “epidemia culturale”, con una loro rapida diffusione internazionale tale da porli ad una maggiore attenzione di quei governanti ancora ostili al cambiamento. Un’attenta valutazione del mutamento positivo di un paese verso il rispetto dei diritti delle donne non è escluso che possa attivare nuove trattative economiche e politiche e una forte notorietà positiva per gli artefici del cambiamento; sono questi motivi così importanti che fanno ben sperare.
Un forte contributo in questo processo evolutivo è stato dato certamente anche dalla partecipazione delle donne alla vita politica, partecipazione che, purtroppo, non è stata uniforme nel mondo. Una grande disparità di trattamento è evidenziata, ad esempio, dal fatto che le donne, pur costituendo la metà della popolazione mondiale, solo in pochissimi paesi ricoprono il 50% circa delle posizioni ministeriali, mentre in alcuni paesi sono totalmente escluse dall’attività politica, in altri la loro partecipazione diventa di fatto marginale o comunque poco incisiva e certamente non dovuta alle loro capacità. Da tutto il mondo partono attualmente messaggi di incoraggiamento verso donne coraggiose che con le loro azioni stanno tentando di incidere su menti ancora chiuse e tutto questo genera speranza.
La donna in alcuni paesi del Mediterraneo veniva e viene ancora oggi mortificata nella sua dignità, è vista come oggetto più che come soggetto e di fatto rappresenta l’elemento debole e di facile sottomissione nella società.
Nel mediterraneo in qualche paese, dopo il tentativo di instaurare una iniziale democrazia, stiamo assistendo al tentativo di un ritorno a periodi bui. In ciò devono servirci da lezione alcune note vicende del passato in paesi viciniori. Ricordo a tal proposito quando in Iran, dopo che l’11 febbraio del 1979 è stato deposto lo Scià (Shah) a seguito della rivoluzione, tutto il paese ne gioì, non valutando che lo Stato perse di fatto quell’assetto democratico che, seppure mantenuto con una discutibile azione governativa, aveva fatto sognare i giovani iraniani, per tornane così «ad un passato che sembrava ormai dimenticato, infatti, con l’avvento dello Stato Islamico gli uomini e soprattutto le donne persero il riconoscimento dei primi importanti diritti che sembrava avessero acquisito sotto il regno dello Scià».