Nell’ultimo articolo avevo menzionato un nome di pianta non proprio comune che ha sempre colpito la mia immaginazione fin da quando la vidi molto tempo fa ai Giardini Hanbury, in quella punta di Francia, come la chiamava Italo Calvino (1923-1985), che sarà oltremodo celebrato quest’anno nell’anniversario della sua nascita. Giardini Hanbury sono ancora un’eccezione in Italia in quanto è una collezione di piante esotiche nata dalla passione di un amatore di flora inglese, Thomas Hanbury (1832-1907), dagli anni Ottanta del Novecento passata allo stato e oggi di proprietà dell’Università degli Studi di Genova.
Non mi soffermo sulla storia complessa e peculiare di questi giardini ma rimando alla visita perché in quel luogo ci sono specie fino allora mai viste nella mia esperienza, e andare lì è proprio compiere un viaggio nei vari continenti del mondo. Proprio lì nello spuntone roccioso della Mortola, al confine tra Italia e Costa Azzurra, incontrai l’albero dei paternostri: Melia azedarach ! Nel mese di giugno, vent’anni fa, a Ventimiglia c’era un ideale tripudio di fiori per qualsiasi appassionata di botanica; non avrei più lasciato quell’Eden, tanto era appagante esteticamente, dal punto di vista botanico oltre che per il clima e l’ ideale esposizione. Certo, all’epoca, non era possibile godersi come oggi un Afternoon tea negli spazi elegantemente anglosassoni diVilla Orengo e sognare di scambiare due chiacchiere con Lady Hanbury sotto la pergola che affaccia sul mare. Attualmente ai Giardini Hanbury si fanno corsi di acquarello, si può prendere, appunto, un delizioso tè nelle domeniche d’inverno, partecipare a iniziative di botanica o godere di qualche mostra temporanea.
La varietà di piante e la magia del luogo però non mi ha mai abbandonato, allora quel giardino era molto solitario, come addormentato, e soprattutto si aggirava solo qualche giardiniere che lavorava chino su uno dei tanti muretti e aiuole ricche di piante succulente. Il catalogo del 1938, Catalogo Hortus Mortolensis, con un’introduzione di Lady Hanbury fu stampato a Londra dalla Oxford University Press, benché l’edizione del 1897 venne già rinnovata nel 1912 dal botanico Alwin Berger (1871-1931). A pagina 208 del catalogo figura Melia azedarach L. di provenienza Persia, India e Cina, con fioritura maggio-giugno. In effetti l’avevo vista svettante e fiorita di un malva pallido che contrastava nel cielo limpido ma non troppo caldo di venti anni fa. Se leggiamo la descrizione di un manuale del 1998, la Garzantina, Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, curata da Ippolito Pizzetti si legge: “Genere di piante arboree dei climi caldi dell’Oriente e dell’Australia. Il Melia azedarach L., noto come Lillà di Persia o Albero dei Rosari è un alberello che si sviluppa rapidamente con foglie simili a quelle del Frassino, pennate e decidue, e pannocchie di fiori profumati, lilla, seguite da bacche arancioni. Adatto a suoli aridi e costieri, a formare siepi o a fornire ombra, è bene porlo in posizioni riparate dai venti troppo forti poiché i rami si spezzano facilmente.
La varietà M. azedarach umbraculifera, originaria del Texas, è molto popolare in America, assume la forma di una grande cupola frondosa.” Mentre nel volume Gli Alberi di Hugh Johnson, si legge “nella regione mediterranea viene coltivata la Melia azederach L., una meliacea subtropicale del Medio Oriente, è una pianta a sviluppo rapido e ombrifera; graziosa dopo la caduta delle foglie quando risplende di frutti gialli.” L’autore aggiunge che ha fiori profumati e che è ideale nei climi molto caldi e richiede poca umidità. I semi duri e ossei, circa di un cm di diametro, venivano usati come perline per fare i rosari, avendo una scanalatura centrale che permette di infilarle. Introdotta in Italia nel 1550, è una pianta che è molto disprezzata per l’uso nei parchi e nelle aree verdi.
Posso comprendere l’esclusione come albero lungo le strade e nei marciapiedi perché i piccoli semi possono causare pericolose cadute ai passanti, ma l’esclusione dai parchi è un dictat dell’ultimo ventennio: le piante che hanno parti velenose vengono escluse a priori perché bambini o persone sprovvedute potrebbero ingerirle. Questa nuova regola, che ormai è non più così nuova nei piani del verde, è poco concepibile, in quanto fin da che l’uomo è sulla terra ha avuto a che fare con piante utili, piante edibili e piante velenose, dannose e urticanti. E poi i parchi sono ricchi di edere e di piante spontanee potenzialmente molto velenose, non possiamo scongiurare ogni possibile pericolo. Sulle piante e i veleni recentissima l’uscita di un testo insolito Piante cattive. Storie velenose, urticanti e letali di Katia Astafieff (Add Editore, 2022), dubito un po’ sulla “cattiveria” delle piante, forse meglio parlare di qualità naturali, spogliandoci della visione antropocentrica.
Mi è capitato nel mese di gennaio di trovare una Melia azedarach in un colle vicino alla città di Vicenza, lungo l’alta via dei Monti Berici, un percorso naturalistico stimolante dal punto di vista botanico, paesaggistico ed ecologico, un sito di interesse comunitario. Era sanissima, nessuno l’aveva più toccata dal suo impianto e la chioma completamente spoglia portava una cascata di bacche bianco-gialle brillanti che splendevano contro il cielo e la rendevano abbagliante di luce. Una pianta che si sta adattando anche alle zone interne, i freddi umidi non la toccano, purché sia in un terreno drenante, resiste fino a -10 ° C, la siccità non la spaventa e soprattutto non viene attaccata da insetti, rispetto a molte altre specie usate nei parchi, perché contiene principi attivi che sono un forte deterrente. Non va confusa con altra pianta della stessa famiglia, le Meliaceae, Azadirachta indica A. Juss., nota come nīm in lingua indi, (inglese Neem); una pianta utilizzata da secoli in India per usi terapeutici, oltre che come fertilizzante e insetticida. La corteccia, le foglie e altre parti della pianta contengono dei composti che possono essere estratti e biologicamente attivi anche per l’uomo, nelle infezioni, in caso di febbre e infiammazioni. Oggi in agricoltura biologica l’Olio di neem è molto usato e consigliato proprio per attacchi alle colture orticole e frutticole, contro insetti, acari, nematodi, virus e batteri. In India e Pakistan è molto coltivata, è longeva, arriva a 200 anni di età, ed ha un uso terapeutico antichissimo. I frutti però invece che tondi come nella Melia, sono ovali quindi facilmente distinguibili dalla specie velenosa.
Il legno dell’albero dei rosari è chiarissimo e assimilabile al teak, molto più costoso, ed è utilizzato per legno da opera come i parquet. Lo chiamano mindi il suo legno esotico che è detto anche cedro bianco o secondo alcuni quercia del Vietnam. Questo albero, il suo nome specifico Azedarach è probabilmente di origine araba e significherebbe 'albero che libera', per le proprietà purgative dei frutti, meriterebbe una diffusione nei parchi cittadini e per fare gruppi di alberature poli specifiche che avrebbero un bellissimo effetto in primavera per la fioritura, farebbero ombra in estate e sarebbero gradevoli in inverno. Ai bambini invece bisognerebbe insegnare a raccogliere i semi e farne delle collane o delle composizioni perché come è sempre stato da millenni l’esperienza delle madri e dei padri si tramanda per generazioni. I bambini e i grandi dovrebbero esplorare e conoscere di più la natura, forse allenerebbero la memoria e imparerebbero a governare le paure!