Nel 2007 nacque a Firenze la 50 giorni di Cinema Internazionale, che vide la Fondazione Mediateca Regionale Toscana come struttura coordinatrice di 5 festival internazionali che già si svolgevano nella città in autunno: France Cinéma; Cinema e Donne; Festival dei Popoli; River to River Indian Film Festival e Nice Festival. Tutti inizialmente all’Odeon, negli anni successivi al Cinema La Compagnia.
A questi si sono aggiunti Middle East Now Festival, Lo schermo dell’Arte, il Queer Festival , il Festival etnomusicale, Balcan Express e, più sporadicamente, film del Nord e Film Russi.
Un tesoro di opportunità che, pur mutato nelle modalità, continua a chiamare a Firenze in autunno registi internazionali, mostre fotografiche dai vari paesi, a organizzare corsi di cucina e perfino un corso di lingua araba. Questa sequenza festivaliera permette di vedere in sala a Firenze molti film che, benché meritevoli, non sono distribuiti.
Ogni Festival ha caratteristiche distintive per gli argomenti trattati. Insieme costituiscono una potente chiave di lettura del mondo contemporaneo con i documentari e spesso ipotizzano il mondo che verrà con le fiction.
Quest’anno il Middle East Now ha presentato l’argomento "Casa”, declinato in diversi modi, come si conviene ad un concetto che non riguarda i muri materiali, bensì i luoghi che ti risuonano dentro quando li abiti o verso i quali va la tua vita. Molti i problemi collegati in questa ricerca del senso di appartenenza e di identità. Ne è esempio il film I am a bastard, il cui protagonista, figlio di madre fiamminga e padre marocchino, soffre di una mancata definizione di quale sia la sua vera “casa”.
A poco più di un anno dal ritorno dei Talebani, il Festival si interroga, in collaborazione con Emergency, su quale destino attende gli Afghani, sia chi è rimasto, sia chi è fuggito.
L’irrisolta convivenza fra Israeliani e Palestinesi è trattata in Huda’s salon, un emozionante thriller al femminile del talentuoso regista palestinese Hany Abu-Assad. Beirut dreams in color è invece la storia della Rock Band libanese Mashrou’Leila, è un’occasione per mostrare l’oppressione operata dai governi in Medio Oriente a causa dell’orientamento sessuale della comunità LGBTQ. Come si può ben capire l’argomento di quest’anno non era trattabile con film di evasione. Unica eccezione Daughters of Abdul-Rahman, di Zaid Abdul-Rahman, vera delizia tragicomica.
Il 43esimo Festival Internazionale Cinema e Donne ha cercato collegamenti con festival di donne di altri paesi.
L’affronto che le organizzatrici di questo festival storico hanno subito nel 2021, il taglio di fondi con la spiegazione che ormai c’era un equilibrio di genere fra il numero di registi maschi e femmine, è stato una sferzata ad un rinnovamento, consistente nel dare maggior risalto all’internazionalità di questa manifestazione. Il programma inizia rendendo omaggio a due Istituti presenti a Firenze, il tedesco e il francese, dislocando la prima sera all’Istituto Tedesco la proiezione di due corti, la seconda sera all’Istituto Francese Regard noir di Aïssa Maïga. Alla Germania sono andati i ringraziamenti per l’appello che la regista Margarethe von Trotta ha lanciato alle istituzioni italiane per ottenere nuovamente il finanziamento negato lo scorso anno. In Regard noir Aissa mostra come donne cittadine d’Europa o d’America con la pelle nera, lei compresa, spesso nel mondo del Cinema vengano pesantemente discriminate.
Nei tre giorni seguenti Cinema e donne si è svolto al Cinema la Compagnia con interessanti dibattiti, visibili su youtube, su cosa può fare il Cinema per contrastare la violenza alle donne.
I tre film serali importanti sono frutto di collegamenti, come già detto, con istituzioni cinematografiche femministe di altri paesi. Si tratta la migrazione (La traversée, film animato, bellissimo, di Florence Miallhe, sponsorizzato da Tricky women di Vienna); un certo tipo di pedofilia (Un confine incerto di Isabella Sandri, film scomodo che giustamente trova spazio questo Festival) e le reazioni di un’orfana ad un’adozione forzata da parte dello zio e di sua moglie (Estate 1993 di Carla Simòn, regista Tesoro della Catalogna).
Quello che accomuna le donne registe citate è la straordinaria abilità di far recitare bambini anche molto piccoli e la scelta di approfondire argomenti scomodi. Scomodo e di grande attualità è lt Happens to Us di Amalie R. Rothschild, USA,1971, restaurato in anteprima italiana. Affronta le rivendicazioni femminili sulla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza, tornate di attualità dopo 50 anni. Interviste a molte donne che apertamente descrivono la loro storia personale per sostenere una scelta, l’aborto, non ammessa dalla legge. Il breve documentario è “un appello forte e sicuro in favore dell’assistenza per l’aborto legalizzato” (Howard Thompson, The New York Times).
Film magistrale è Good Morning Tel Aviv, di Giovanna Gasgliardo. La regista filma la città, mostrandoci un’anomala società israeliana, frutto dell’internazionalità di questo luogo. Qui sembra che non ci sia l’annosa questione israelo-palestinese. Anzi, nel vortice di attivismo che la pervade, animato dalla ricerca del divertimento, sembra che i problemi siano per lo più urbanistici, e quando si fa accenno al conflitto, non se ne parla per risolverlo.
Il festival dei Popoli, ancor più di tutti gli altri, è difficilmente sintetizzabile. Ho descritto in altro articolo tre straordinari film, uno sul ferale G8 a Genova nel 2001 (Se fate i bravi); uno sul futuro catastrofico dell’ambiente (Everything will change), uno sulla chimica come promessa di felicità (Happy pills). Le informazioni che ricaviamo dalla raccolta di documentari, film e retrospettive sono una mole tale da costituire un caleidoscopio della vita che si svolge sul Pianeta. Dura otto giorni, mentre gli altri cinque. Le sue opere sono organizzate in sessioni, delle quali qui ricordiamo:
• Concorsi (internazionale e Italiano)
• Documentari di maggior rilievo dell’anno
• Retrospettiva di Pierre e Luc Dardenne
per un totale di 100 lavori, scelti fra i 1000 spediti ai selezionatori.
L’ultima opera dei fratelli Dardenne, Tori and Lokita, prende le parti dei giovani migranti che, completamente indifesi in terra straniera, arrivano per avere un futuro, ma spesso perdono la vita proprio per la chiusura della società alla loro accettazione.
River to River Florence Indian Film Festival, l’unico evento in Italia che ci mostra il volto dell’India contemporanea attraverso il cinema e la cultura, è alla ventiduesima edizione. L’iniziativa è diretta da Selvaggia Velo, che lo fa esordire con Il film Godavari, storia del fiume, il secondo per grandezza dopo il Gange e anch’esso oggetto di venerazione. Una storia molto complicata, incentrata sulla religione, protagonista della vita di ognuno, in quella società.
Salutato con gioia dal pubblico il ritorno sul grande schermo del superkolossal di Bollywood Devdas, che compie 20 anni. Qui, oltre alle musiche, è un trionfo di costumi e balli che ti portano in un mondo magico, creato per l’evasione. Una sorta di telenovela ante litteram, che riesce ad accecarti piacevolmente per tre ore sulla realtà dell’India, ben diversa, per la maggioranza della popolazione, da quella descritta.
Poi, fra gli altri, arrivano due film del famoso regista Anurag Kashyap. Il primo, Dobaaraa, più che un thriller uno stimolante cerebrale, giocato su due mondi paralleli e pieno di suggestioni, si è aggiudicato quest’anno il River to River Audience Award, riconoscimento del pubblico del festival al miglior lungometraggio in concorso.
Il secondo, Almost pyaar, costato al regista sei anni di lavoro, viene mostrato per la prima volta in sala. Parla della generazione Z in India, complicata da una storia d’amore fra una ragazza minorenne indù e un ventitreenne musulmano. Lui è del tutto fuori della realtà, votato a tal punto alla musica da sottovalutare quanto la società in cui vive dà importanza all’onore della famiglia e come la differenza di religione sia una discriminante che non ammette eccezioni.
Il racconto dei drammi che si consumano sotto gli occhi dello spettatore è fatto in modo asettico, mentre una specie di litania che esalta l’amore è un omaggio ai giovani, un invito a crederci che, per ciò che viene raccontato, risulta fuorviante. Il regista è stato ispirato dalla figlia a trattare un argomento così complesso perché adora la musica - di cui ha inserito molti brani - ma anche, ci ha confessato, perché gli piace enormemente cambiare argomento da un film all’altro, altrimenti si annoia. La sua carriera da regista, in effetti, ha una grande versatilità.
Come si capisce da questa sintetica carrellata, i film permettono profonde riflessioni sulle diverse componenti delle società di oggi e lanciano messaggi che, se raccolti, possono avviare cambiamenti estremamente necessari.