Sono parole che raccontano il mito, che celebrano rituali, che non hanno necessità di essere spiegate bensì di essere ascoltate, accolte, interagite con la pienezza del suono, fatte vibrare nel corpo, intrise di odori e colorate presenze.
Sono parole che sanno fare dono della loro forza immaginifica ed evocativa, che oltrepassano tempo e spazio per farci rivivere sensazioni che si rincorrono in un magico fluire di sillabe che, pronunciate dal cuore, accendono memorie sconosciute eppure stampate sul corpo della voce che è capace di ridare loro vita.
Danzo davanti a te
io danzo il rinoceronte
danzo la civetta
il leone io danzo
danzo il porcospino
danzo il bufalo
danzo l’elefante
Riconosco la tua forza ho imparato a credere nello spirito del bisonte, nella sua bocca hai soffiato il dono della vita, nel suo ventre lo infondi, dentro l’animale c’è il seme, dentro la morte c’è la vita, dentro il sacrificio rinasce il respiro
Il tuo coraggio uccide la paura, la violenza è necessità, la lama affilata affonda nel cuore pulsante, rosso come ocra rossa, noi siamo battezzati con il sangue della terra.
Qui resto le braccia distese perché lo spirito dell’aria fa discendere su di me il glorioso nutrimento.
Qui resto circondato da una grande gioia perché ho bevuto il liquore brillante dei frutti scavati dal coltello d’osso staccati dal sacro albero che non può essere abbattuto perché daini e caprioli si sono mostrati a me e gli uccelli variopinti hanno volato sul mio capo.
Radiosa era la vita quando si danzava nella casa delle danze, quando si pescava nel fiume pescoso, quando la terra partoriva i frutti della pioggia accesi dal sole custoditi nel mistero della rinascita, quando le bestie senza corna crescevano e si moltiplicavano al riparo dai lupi, quando i sacri simboli dell’ospitalità avvolti con una cordicella intrecciata con criniera di giumenta abbellivano la palizzata del sacro recinto.
Grande onore per chi siede attorno al fuoco nel magico cerchio della parola che dice l’antica memoria dei padri, che custodisce il sapere tessuto dalle madri sull’ordito del canto.
Signora del grande Universo aiuta la canzone, fai che i nemici non abbiano su di lei il sopravvento affinché tutto ciò che essa vede e ascolta sia raccontato negli anni a venire, ascolta lo spirito degli antenati che stanno più avanti sul sentiero ascoltalo nelle pietre risonanti percosse dall’alba dei tempi, ascoltalo nell’acqua che impregna la terra feconda, ascoltalo nel vento che intona le betulle e abbraccia il frassino, ascoltalo nella voce degli indovini, nel bisbigliare di coloro che conoscono le canzoni segrete, ascoltalo nella voce del tamburo che attraversa l’aria odorosa di pini e racconta la vita incisa nella caverna di pietra, tatuata sulla pelle del cacciatore di volpi.
Reclamo questo luogo per la mia famiglia.
La mia mano tracciata di bianco dice non entrate non disturbate il mio dominio Che la mia anima possa volare là in alto verso la terra della cacciagione
Pietra su pietra e son passati cinquemila anni, pietra su pietra in mani di donna, braccia distese a macinare il mais al ritmo del canto, pietre contro pietre. È il canto delle donne che macinano il mais
Grande madre, antica madre tu ascolti il suono della mia pietra sul granito sull’argilla nella capanna tinta di rosso ascolti la sfera di pietra che scorre sul granito sull’argilla e canta macinando il mais
Non puoi mangiare il figlio del fiume domani non ci sarà più Gli uccelli mangiano il granturco che cresce nel campo Se non sai mantenere un segreto raccontalo al granturco
Canta la donna dal lungo grembiale, canta per l’animale ucciso, canta per la morte che nasce alla vita, cantano le donne.
Schiuditore di porte serrate, difensore della montagna, nuovo cielo di un giorno nascente, gran bue rosso del mattino ruggente come tuono, la bestia stupenda che lacera le vesti della pioggia Le ferite della terra vanno ricucite, la sua gonna rattoppata.
Nelle pentole di terracotta acqua mais e tabacco per placare gli spiriti della montagna Nessun uomo si avvicini alla macina è il sapere delle donne, la macina è il sapere della madre
Martello di pietra, incudine di pietra per te, antico guerriero, ho schiacciato le noci del marula
piccoli semi cibo da re per l’ospite che ha sfidato il viaggio
la mia mano sinistra regge la destra e te ne fa dono
Seduto nell’ombra del villaggio bevi dalla zucca colma di massi
L’ho preparato per te, per te ho reso acido il latte
I frutti del susino maturi ho mischiato alla crema di granturco, le dita arrotolano la polenta, piccole sfere affondate nel gusto agro e dolce del piatto di coccio
Era da poco passata la metà del mese già era fatta la luna nuova
per un attimo è apparso lo spirito degli antenati
la stella ha brillato con forza e il pastore custode dell’albero si è fatto riconoscere dagli indovini
All’inizio c’era il creatore che creò tutte le cose compreso l’uomo e lasciò le sue orme sulle rocce quando le rocce erano ancora molli
Viene il vento a cancellare le orme dei nostri piedi
Il vento alza la polvere e ricopre le orme che rimasero là dove noi avevamo camminato
Quando le rocce erano fango su cui la gente lasciava le orme i primi figli del grande Spirito camminarono lungo quella strada verso il sole nascente
Questa è anche la tua strada, cammina guardingo, ascolta la solitudine, rendile onore
Viene il vento e cancella le orme dei nostri piedi
E’ il vento che viene a cancellare le orme dei nostri piedi
L’araldo della tempesta inseguito dal vento e dall’odore della pioggia ha annunciato il temporale La terra fecondata dal fulmine ha il ventre gonfio del respiro della creazione
Il Signore del cielo ha risparmiato l’albero della vita
Da sottili virgulti costruiamo una grande vigna aiutiamola a crescere facciamo di essa un luogo per catturare il male
L’alito della mia anima alza in alto il suo canto
Guardate e ascoltate e coloro che stanno attorno al sacro albero vedono e odono
Il custode delle parole conosce le cose che svaniscono a guardarle
Egli è quello che sta solo, che non può essere indicato, egli ha accesso al potere dei maghi
Voi, miei bianchi ossicini di conchiglia, cocci segnati dal lungo cammino del tempo, punte scheggiate da mani antenate, pietre incise di terra gialla, uomini intagliati nel legno, donne scavate nell’avorio, uomini e donne impressi nelle tavolette di corno, figli dei miei parenti, che io bevvi dal seno di mia madre sappiate che questa è una cosa dei miei antenati che erano tutti indovini
Questa è la tradizione non sono io ad averla inventata, questa non è leggenda, questa è verità e dunque indovinate
Sette volte si inchina sette volte chiede alla voce di far cantare gli ossicini
Terra e acqua ha mischiato col grano, dalla sacra bocca ha sputato per mondare il suolo
Seduto accanto all’albero scioglie il sacco incantatore, esprime il desiderio e lancia il destino sulla terra
Inizia il viaggio, cammina nell’invisibile, cammina nella foresta degli spiriti
La luna è una palla di fango e sassi la luna è brillante la luna sale, sale nel cielo e il sole vuole farla sua moglie ma “non sarai mia rivale” le dice “sei donna: brillerai soltanto quando io riposo”
Non tagliare gli alberi non arare quando appare sottile; perché possa crescere dev’essere lasciata in pace
Il tempo è sacro tu non conosci l’andare della piuma sul fiume tu non sai del fiore che si schiude nel giardino e torna a ogni sua stagione hai scordato l’armonia dell’alba che imbianca il cielo della notte
Quando il sole è salito alto nel cielo l’antica Signora aveva di nuovo soffiato la vita il latte scorreva dal seno della madre il capo era stato spalmato di ocra rossa lungo le spirali della pioggia i simulacri divini-avevano ripreso il cammino Il sacro rito era compiuto.
(Questo canto rituale danzato rende omaggio all’indimenticabile libro di Lyall Watson, L’uccello del fulmine, Frassinelli Ed. Milano, 1984)