Di motivi per visitare Roccaverano (Asti), ce ne sono almeno tre: godere degli spettacolari paesaggi collinari dell’Alta Langa dal 2014 Patrimonio mondiale dell’Unesco, assaggiare la Robiola di capra DOP, tutelata come Presidio Slow Food, e ammirare la chiesa di Santa Maria Annunziata, considerata il monumento più puro e organico del primo Rinascimento in Piemonte.
Questo straordinario edificio religioso, nascosto nel tessuto edilizio del centro storico ed estraneo alla tradizione architettonica locale per la sua evidente “romanità”, fu innalzato tra il 1509 e il 1516. A commissionarne la costruzione nella piazza del villaggio, dinnanzi alla duecentesca torre cilindrica e ai resti del trecentesco palatium dei nobili Scarampi, fu il vescovo Enrico Bruno che, nato a Roccaverano e feudatario del borgo, svolse le funzioni di tesoriere e segretario del papa Giulio II, il ligure (era di Albisola) Giuliano della Rovere.
Ritenuto tra i personaggi più importanti della corte papale, Enrico Bruno fu a Roma dal 1476. La sua carriera ecclesiastica attraversò con immutata fortuna i pontificati di papi dagli orientamenti politici molto diversi: da Sisto IV della Rovere (1471-1484) a Innocenzo VIII Cybo (1484-1492) ad Alessandro VI Borgia (1492-1503) sino a Giulio II della Rovere (1503-1513). Fu proprio durante il regno "giuliesco" che il suo cursus honorum giunse al culmine con la nomina a pro-tesoriere, e quindi a tesoriere generale della Chiesa romana nel 1505.
Pratico di fabbriche e di maestranze egli fu presente, con altri prelati, quando Giulio II pose la prima pietra del pilone della nuova basilica di San Pietro. Come tesoriere vigilò sulle opere eseguite da Bramante, sovrintese all’acquisto dei materiali e dispose il pagamento di alcuni artisti -tra i quali Giuliano del Toccio, Raffaello, Giovanni Ruisch, Michele del Becca, Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, Lorenzo Lotto che lavorarono per il pontefice.
La carriera di Enrico lascia presumere che avesse ricevuto una educazione umanistica e che, pertanto, fosse un uomo di cultura. Ciò è anche dimostrato dalla sua nomina a prefetto della Biblioteca Vaticana nel 1501 e dalla presenza di una collezione di antichità nella sua abitazione romana, sita in rione Ponte, vicino a Tor Sanguigna.
Amante dell’arte e affezionato al paese natìo il presule, con l’esplicita intenzione di onorare la memoria dei genitori, volle edificare Santa Maria Annunziata all’interno dell’insediamento bassomedievale di “Rocca”, forse nel luogo in cui si trovava già una preesistente cappella.
Il monumento, ricolmo di simboli e insegne araldiche della famiglia Bruno, aveva un duplice obbiettivo: rendere un servizio ai roccaveranesi, fin allora costretti a servirsi della vecchia parrocchiale di San Giovanni Battista, esistente dal XIII secolo e distante qualche chilometro dal nucleo abitato, e celebrare in patria l’ascesa sociale del committente e il prestigio acquisito. Il nome del progettista non appare in alcun documento archivistico sinora rinvenuto.
I legami di Enrico Bruno con Giulio II, l’analisi planimetrico spaziale della costruzione e i rimandi alle novità del lessico bramantesco attuate in ambito milanese, rimandano all’architetto Donato Bramante, in quel periodo impegnato nell’ampliamento del nuovo San Pietro a Roma. Certo è che la parrocchiale di Roccaverano fu realizzata seguendo uno schema edilizio definito con il termine quincunx, risalente all’architettura medio bizantina.
Con esso, generalmente, si definisce un edificio ecclesiastico a pianta quadrata, suddiviso a croce per mezzo di quattro sostegni, in modo tale che gli spazi angolari si aprano sui bracci della croce. Sia la crociera che le campate angolari sono voltate da cupole, presentando così la configurazione di una quincunx, cioè di un’antica moneta di bronzo da cinque once con cinque punti raggruppati come su un dado. Nella critica italiana la definizione è però ugualmente applicata a luoghi di culto in cui gli ambienti angolari possono essere voltati in modo diverso, prevalentemente a crociera. Sarebbe quindi più corretto utilizzare l’espressione “chiesa a croce greca iscritta su pianta tetrastila”. Tale “famiglia tipologica”, tornata a fiorire nel tardo Quattrocento nell’Italia settentrionale, visse una rinascita particolarmente importante nelle architetture religiose progettate a Roma da Bramante e dalla sua scuola.
Punto di vista privilegiato per osservare l’armonico ed elegante prospetto della parrocchiale di Roccaverano, penalizzato se visto dal basso, sono le bifore al primo piano del castello, sul lato affacciato verso lo slargo. Solo in questo modo si comprende a pieno la preziosa fattura scultorea dei portali e del timpano, abitato da un immenso Eterno benedicente affiancato dai cherubini, dal sole e dalla luna, arrivando perfino a giustificare l’ornato sul lanternino, altrimenti ben poco visibile.
La facciata in pietra calcarea, però, non vive soltanto in funzione della sua decorazione scolpita. Infatti il frontespizio rientra fra le cosiddette “reinvenzioni dell’antico”. Reso “moderno” dall’ingresso monumentale, esso presenta la matura elaborazione del maestro urbinate sul tema della facciata ad ordini intersecati, in cui con un perfetto rigore matematico il corpo al centro è definito da un grande ordine con frontone triangolare che contiene l’arco centrale su un secondo ordine inferiore, mentre nelle ali archi minori s’innalzano su un terzo e più piccolo ordine, privo di trabeazione e inquadrato dalle paraste del secondo.
I salienti del tetto, che si sovrappongono alle campate laterali, possono così formare l’ideale immagine di un secondo frontone di tempio intersecato con il primo. Successivamente tale modulo stilistico fu reinterpretato nelle facciate delle chiese palladiane. Modanature e rifiniture, come la cornice dentellata del portale principale, gli altissimi semicapitelli corinzi delle due lesene centrali, la cornice a ovoli e le mensoline del fregio sottostante il timpano contribuiscono a esaltare il disegno della facciata, conferendole calore e movimento.
Particolare rilievo assumono nella retorica comunicativa i soli raggianti dalle otto fiamme mosse che, scolpiti a traforo, rappresentano l’emblema della famiglia Bruno trasformato in partito decorativo all’esterno nel fregio sottostante il timpano di facciata e all’interno a rilievo sul cornicione che ne delimita l’unità spaziale. Alla ricerca di Bramante sull’incrocio degli ordini si relaziona quella sulla corrispondenza tra l’esterno e l’interno dell’edificio, realizzata in quest’architettura a pianta centrale ricorrendo all’impiego e alla manipolazione dell’arco trionfale con la sua articolata struttura sintattica.
Infatti, una elaborata gerarchia tra nicchie, volte e cupola conferisce coesione e continuità di lettura tra l’organizzazione spaziale esterna e interna. Essa, spia della presenza di elementi bramanteschi nell’architettura del Piemonte “lombardo” tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, rende singolare la parrocchiale di Roccaverano fra tutte le altre chiese della regione, rilevando immediatamente la provenienza non locale del progetto.