La morte di Masha Amina, la ragazza curdo-iraniana di 22 anni, ha dato il via ad una vera rivolta delle donne iraniane, una forte mobilitazione interna di giovani e uomini che ha già causato decine di morti e si sta estendendo con una mobilitazione esterna a livello mondiale. Un segnale indirizzato a sostenere e incoraggiare tutte le donne musulmane ancora succubi di tali violenze, perché queste sono delle violenze inammissibili.
Ancora una volta una donna è stata uccisa dall’impropria e anacronistica interpretazione di norme religiose e da sistemi patriarcali che demandano ad una cosiddetta “polizia morale” la tutela del pudore, con un forte potere decisionale di vita o di morte sulla popolazione, soprattutto femminile. L’offesa al pudore, nel caso in esame, è stata causata da una ciocca di capelli non sufficientemente coperta dallo hijab1, gesto pienamente interpretato alla pari di un “efferato delitto” per il quale Masha è stata incarcerata, picchiata e lasciata morire dopo tre giorni di permanenza in carcere.
Un assassinio talmente assurdo da fare pensare in un primo momento che la morte fosse stata causata da altri motivi e celata poi con la giustificazione dell’inesorabile condanna della “polizia morale”, che decide su ciò che è o non è morale.
Non è la prima, né sarà l’ultima donna uccisa dal regime islamico per motivi futili e incomprensibili legati al modo di vestire o a sistemi patriarcali legati a antiche tradizioni o ad altre disposizioni dipendenti da interpretazioni delle norme religiose. Ma questo caso, per come ha scosso il mondo intero e per le reazioni che ne sono derivate, potrebbe diventare un vero boomerang per i sostenitori dello Stato/sharia. Purtroppo, trattare l’anacronistica interpretazione delle norme religiose sul velo musulmano sembra un “déjà vu”, sembra proprio di pestare l’acqua nel mortaio, di richiamare alla mente pensieri inutili e improduttivi, perché alcune usanze sembrano inamovibili in alcuni Paesi musulmani, ma ciò non deve farci desistere dall’esprimere comunque le nostre idee condividendo il concetto di libertà dell’uomo nel significato più ampio del termine.
Di seguito dopo un breve richiamo ad un periodo, ancora presente nella mente di molti, di piena libertà delle donne iraniane e sul continuo disconoscimento dei diritti delle donne, saranno commentate alcune disposizioni religiose per tentare di capire se tali assurde situazioni si possono fare discendere da esse. Infine saranno evidenziati alcuni aspetti sulle tradizioni che impongono la copertura del corpo della donna con veli o cose simili.
Dal regno dell’ultimo Scià alla repubblica islamica
Ricordando il tentativo di occidentalizzazione dell’Iran avvenuto in un recente passato è triste rivedere oggi immagini di quei periodi, ancora non troppo remoti, in cui uomini e donne vivevano in maniera molto simile a quella occidentale sia per gli abbigliamenti, che per i loro costumi in genere, pur mantenendo la loro fede verso l’islam sciita. Ma perché tutto finì drasticamente?
Sotto il governo di Mohammad Reza Pahlavi (ultimo scià), dal settembre 1941 al febbraio 1979, l’Iran fu un regno pieno di forti contrasti con la cosiddetta “rivoluzione bianca”, una serie di iniziative politiche che miravano a occidentalizzare l’Iran. In quel periodo venne introdotto il suffragio universale consentendo alle donne di votare, vennero approvate importanti riforme agrarie, con la ridistribuzione delle terre espropriate al clero sciita, le donne erano libere di vestirsi in maniera occidentale e di partecipare a feste senza alcuna inibizione. Tutto ciò derivava soprattutto dall’esempio che veniva dato alla popolazione dalla vita sociale nazionale e internazionale tenuta da tutta la famiglia dello scià.
Purtroppo, a fronte di tale apparente libertà, ci fu un governo estremamente rigido verso i dissidenti politici che venivano minacciati o eliminati dai servizi segreti o messi in carcere che, durante l’eccessiva repentina occidentalizzazione, restava però noncurante di dare le risposte adeguate ai bisogni della gente. Una situazione che, portò a forti contrasti interni e a livello internazionale che diedero origine alle contestazioni che portarono alla rivoluzione dominata dalla figura carismatica di Ruhollah Khomeini.
L’11 febbraio 1979 venne proclamata la vittoria della rivoluzione che impose allo Scià (Shah) di lasciare l’Iran. Poco dopo, le forze rivoluzionarie trasformarono il Paese in una repubblica islamica. Il vero significato di quella rivoluzione non venne subito colto e venne guardato con positiva attenzione anche da parte delle sinistre occidentali. Non si pensava al fatto che era stata così agevolata una involuzione culturale che avrebbe portato all’annullamento dei diritti umani e alla nascita di uno Stato fondato sulla più rigida, antica e anacronistica sharia, che avrebbe riportato la popolazione e soprattutto i giovani e le donne ad un passato che sembrava ormai dimenticato. Con l’avvento dello Stato Islamico gli uomini e soprattutto le donne persero il riconoscimento dei primi importanti diritti che sembrava avessero acquisito sotto il regno dello Scià.
Sul continuo disconoscimento dei diritti delle donne
L’uccisione di Masha Amini ha fatto riemergere il problema del rispetto dei diritti che le donne di tutto il mondo stanno sempre più guadagnando, tranne in alcuni Paesi dove l’uomo è ancora legato ad un retrogrado sistema patriarcale e ciò si riscontra maggiormente in alcuni Paesi con forte regime dittatoriale. Sono Paesi prevalentemente controllati da uomini che non hanno ancora capito, o fanno finta di non capire, che il mondo si evolve e che anche le religioni si storicizzano e si attualizzano. Uomini che nascondono la loro vera paura per la continua crescita dei poteri delle donne utilizzando la religione per giustificare crimini e per la difesa e la crescita del loro potere.
Paesi in cui sembra che gli uomini, in prevalenza, non riescano a vedere la donna che, oltre a svolgere i propri doveri di madre e a gestire la vita interna della propria famiglia, tende ad annullare la storica separazione tra i lavori maschili e femminili svolgendo anche lavori all’esterno con capacità, serietà, dedizione e rispetto verso l’uomo. Siamo dunque in presenza di uomini che evidenziano la loro debolezza culturale per il potenziale cambiamento drastico nella loro vita quotidiana, cambiamento che cercano di superare attraverso l’ostentazione della forza fisica e la prevaricazione, azioni che più si addicevano agli uomini preistorici o comunque di un passato remoto. Sono uomini che attraverso obsolete interpretazioni coraniche credono di potere essere maggiormente apprezzati dalle donne e valutati super uomini, non pensando invece che spesso sono solo temuti e mal sopportati.
Breve riferimento ad alcune disposizioni religiose dell’Islam
Quando accadono fatti così nefasti il primo pensiero di chi è lontano da questi regimi è che tutto dipenda solo da atteggiamenti rigidi derivanti da obblighi religiosi che vengono imposti ai musulmani e a cui i credenti veri o obbligati ad esserlo devono ubbidire.
In definitiva sembra che, in ottemperanza a precise disposizioni religiose, una volta accertata la disobbedienza si possa arrivare a pesanti condanne, fino alla morte del condannato, con sentenza emessa da un tribunale religioso o civile/religioso o dalla stessa famiglia in cui il “peccato” viene commesso. Sembra quasi di rivedere scene di film storici che ripropongono antiche e spesso cruente tradizioni di popoli aderenti a varie religioni, non solo all’islam.
Pertanto, prima di criticare gli assurdi comportamenti che hanno portato all’uccisione di Masha Amina viene spontaneo chiedersi se i “peccati” da condannare e le relative pene da infliggere ai “peccatori” derivano veramente da disposizione religiose cui devono obbligatoriamente sottoporsi i musulmani. Per la ricerca basta fare riferimento al Corano e a qualche importante hadith . Nel precedente articolo sull’uccisione della ragazza pakistana Saman Abassi sono stati illustrati alcuni aspetti inerenti il rapporto Corano-matrimonio, nel presente ci si soffermerà invece sul rapporto Corano-velo.
Le prime citazioni le riscontriamo nel Corano nei due versetti della sura XXIV - An-Nûr (La Luce) di seguito riportati e commentati. Versetto 30. «Di' ai credenti di abbassare il loro sguardo e di essere casti. Ciò è più puro per loro. Allah ben conosce quello che fanno». Con questa disposizione, rivolta solo agli uomini, si impone ai credenti di non guardare in maniera lussuriosa le donne, ovviamente sono escluse le mogli e i familiari, come descritto in altri versetti. Tale fatto viene interpretato nel senso di evitare che uno sguardo normale possa trasformarsi in uno sguardo lussurioso e dunque abbassare gli occhi parlando con una donna rappresenterebbe un senso di rispetto degli uomini verso le donne.
Nel successivo versetto 31 della Sura XXIV è scritto: « E di' alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro khumur (velo) fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare».
Secondo il versetto di cui sopra sembra che venga imposto alle donne musulmane di coprirsi con pudore per non lasciar vedere i propri gioielli indossati attorno al collo e ai piedi (usanza quest’ultima di alcune donne di quell’epoca) e soprattutto per non far vedere il seno. Dunque non sembra che nel Corano ci sia scritto di coprirsi dalla testa in giù, compresi tutti i capelli senza lasciarne uscire alcuna ciocca. Ora la copertura del petto può avvenire anche con un abito con minima scollatura, poiché niente è precisato in merito a tale “copertura”, come si può anche leggere nel sito prettamente musulmano “Coran en ligne”3 . Se ci fossero state indicazioni differenti sarebbero state scritte. In particolare leggendo alcune interpretazioni è scritto che il velo, nel corano originale in arabo, è indicato col termine khumur o Khimar ed è lecito chiederci perché tale tipo di velo non sia stato espressamente indicato in tutte le versioni francesi e italiane del Corano o comunque tradotto semplicemente come “velo”.
Supponiamo, comunque, che nel Corano fosse stato indicato espressamente l’uso del khumur, un mantello che copre dalla testa in giù e in alcuni modelli, secondo la tradizione locale, fino alle caviglie. Sembra lecito interpretare che con il citato versetto viene imposto alle credenti di coprirsi con un ampio velo, come era in uso a tale epoca anche per le donne di qualunque altra religione, ma l’indicazione più importante sembra riferirsi al vestire in maniera decente, con particolare attenzione a coprire i seni, così come avveniva e avviene ancora oggi per l’ingresso nei luoghi sacri di quasi tutte le religioni. Nulla è espressamente scritto sul fatto che per pudore occorre coprirsi la testa e tutti i capelli in qualunque luogo al di fuori della propria abitazione, per non citare poi i Paesi dove è imposto alle donne l’uso del burqa, l'abito tradizionale musulmano che copre interamente il corpo della donna, compresa la testa, lasciando solo una fessura o una finestrella all'altezza degli occhi per permettere la visuale, talvolta anche questa velata. Un esempio è il decreto emesso in Afganistan che impone alle donne di indossare in pubblico il burqa, “riportando indietro la storia di oltre 20 anni”, così come ha scritto qualche giornale.
Infine, nel versetto 59 Sura XXXIII Al-Ahzâb (I Coalizzati) è così scritto: «O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate. Allah è perdonatore, misericordioso».
Anche in questo caso la copertura dei veli è certamente riferita a quanto già indicato nel v.33 della Sura XXIV. Ancora una volta non vengono menzionati né la testa, né i capelli, né il tipo di velo da indossare, ma nello stesso tempo è scritto per le donne di potere essere riconosciute per non essere molestate. Si conferma ancora una volta che non è prevista, neanche in questo caso, la necessità della totale copertura di testa, spalle e spesso anche parte del corpo.
La copertura del corpo della donna è un’antica tradizione non solo musulmana
Leggendo i versetti sopramenzionati non devono, comunque, meravigliarci le disposizioni religiose musulmane per l’uso del velo, perché il vero problema non è l’uso del velo, ma l’obbligatorietà dell’uso che viene imposto a tutte le donne in ogni luogo al di fuori della propria abitazione e soprattutto le pesanti pene che ne derivano in caso di disubbidienza.
Anche nelle tradizioni europee il velo veniva e viene ancora indossato sia nella vita civile quotidiana, che nell’ambito religioso. Non possiamo dunque criticare l’uso del velo nei Paesi musulmani, perché è un abbigliamento che oltre a fare parte della loro tradizione discende da disposizioni religiose e dunque chi aderisce a quella religione è giusto che ne rispetti le disposizioni. È però da criticare l’eventuale interpretazione di quanto scritto nel Corano e soprattutto la pesante condanna, col carcere e talvolta con la provocazione della morte che ne deriva per il mancato rispetto di tale disposizione che non trova alcun esplicito riferimento nelle norme religiose. La religione non può essere imposta, ma deve essere sempre una libera scelta dell’individuo, diversamente sarebbe un triste ritorno ai tempi bui del medioevo.
Nel cattolicesimo, ad esempio, portare il velo in Chiesa è segno esteriore con cui si riconosce il primato dello spirito e si mortifica la vanità esteriore. Per le donne è d’uso vestirsi decentemente e coprire i capelli con un piccolo velo, ma nessuno le incarcera se entrano senza velo in testa. Nell’ambito prettamente religioso le suore vestono con una quasi totale copertura del loro corpo, ad esclusione del viso e delle mani e nessuno si meraviglia e se ad una suora esce una ciocca di capelli non succede nulla, non provoca scandalo e non ci sarà nessun giudizio religioso. Per le suore l’abito rappresenta il segno della loro consacrazione e della testimonianza della loro povertà. Significa l’abbandono della loro vita normale per abbracciare quella religiosa, quasi una morte e una rinascita a nuova vita dedicata a Dio. Significa la rinuncia al mondo e ai beni materiali per tendere alla perfezione della vita cristiana. Ecco perché indossare il nuovo abito ha il significato di una vestizione, dunque un abito legato a rituali prettamente religiosi.
Dunque, nei Paesi non musulmani le prescrizioni religiose sull’abbigliamento sono generalmente limitate ai religiosi ortodossi, mentre nei Paesi musulmani sotto regime dittatoriale, dove il controllo dell’ordinamento dello Stato è subordinato all’islam/sharia, l’obbligatorietà di attenersi alle disposizioni religiose è estesa a tutte le persone e con maggiore rigore a tutte le donne. Purtroppo si sta sempre più evidenziando che per superare queste anacronistiche interpretazioni delle disposizioni religiose occorre innanzitutto una interpretazione contestualizzata di tali disposizioni, un processo difficile in Paesi con una classe ancora fortemente patriarcale nei quali gli uomini sembra abbiano una grande paura di perdere parte del loro forte potere a fronte del pieno riconoscimento dei pieni diritti delle donne.
Ho care amiche musulmane, che fortunatamente anche se abitano in Paesi con il 92-98% di musulmani, non sono obbligate a indossare il velo e quando lo usano è quasi sempre lo shayla, molto simile all'hijab, che è uno dei più comuni veli islamici che copre solo la testa e il collo. In alternativa e meno frequentemente indossano l'hijab e sono noncuranti se parte dei loro capelli restano al vento. Lo indossano perché è nella loro tradizione e perché a loro piace indossarlo, ma non per imposizione da parte dei loro mariti o dei loro familiari, né da autorità religiose o politiche. Sono persone credenti che hanno perfettamente capito la corretta interpretazione e storicizzazione coranica che viene fatta da alcuni musulmani moderni studiosi dell’Islam.
I giovani si allontanano dall’Islam
L’esasperazione delle disposizioni coraniche, anacronisticamente interpretate, sta allontanando sempre più i veri credenti dall’Islam e dall’Essere Superiore. Infatti, anche se i dati ufficiali danno, per i Paesi musulmani un’altissima percentuale di credenti, che in alcuni casi raggiunge quasi il 100%, in realtà, da sondaggi fatti da ditte specializzate, i veri credenti si riducono ad una percentuale fortemente ridotta rispetto quella ufficialmente nota e i giovani tendono sempre più ad essere “meno religiosamente conservatori” delle generazioni che li hanno preceduti. Tali risultati emergono da un’indagine condotta da Arab Barometer fra il 2013 e il 2019 riportata da BBC News del 24 giugno 2019 su un campione di 25 mila persone abitanti in Sudan, Algeria, Egitto, Giordania, Iraq, Libano, Libia, Marocco, Territori Palestinesi, Tunisia, Yemen.
Sembra che giovani arabi, contrariamente ai loro predecessori, sarebbero meno inclini ad accettare un islam che può penetrare ovunque, che si può estendere in ogni luogo e pervadere ogni cosa. Un islam che si inserisce nella società, nella cultura, nella politica e che così operando può aprire facilmente le porte al terrorismo.
Riflessioni finali
Ancora oggi, purtroppo, in diversi Paesi musulmani c’è una netta chiusura verso la storicizzazione dell’islam con un indirizzo chiaro verso una situazione storica facente ormai parte del passato. In questo contesto di mancata modernizzazione si inserisce il “problema delle donne” ancora irrisolto ed è proprio l’interpretazione coranica dei diritti delle donne che rappresenta uno dei nodi fondamentali dell’evoluzione del pensiero religioso. Purtroppo, questo vero grande problema, che crea un grande sbarramento culturale, si riscontrerà sempre quando la sharia si inserisce nell’ordinamento e nelle leggi dello Stato.
Fortunatamente, grazie a moderni intellettuali musulmani progressisti una parte del mondo musulmano è in continua evoluzione ed ha già messo in atto un vero rinnovamento dell’interpretazione dei testi religiosi, che, pur mantenendo fede a quanto riportato nel Corano, contestualizza l’interpretazione di alcuni versetti e di alcuni hadith2, rappresentando la strada maestra per avviare il progresso di cui le società arabo–islamiche hanno bisogno. E poiché anche il Corano, come i testi sacri di altre religioni, è propenso per la diffusione di un messaggio di pace tra i popoli, la contestualizzazione servirà a comprendere meglio il senso di giustizia che in esso è contenuto e a seguirne la storicizzazione per l’interpretazione delle leggi e delle punizioni per chi le vìola, progredendo verso la secolarizzazione dell’Islam con la separazione della sfera politica da quella religiosa.
Il problema reale dunque non è l’uso del velo, né il tipo di velo che si usa, né come esso potrà essere indossato. Sono le croste culturali che certi uomini hanno addosso. Alcune usanze e in particolare l’uso del velo non possono essere imposte in nome di Dio, perché ciò provoca indignazione allo stesso modo di quando, in alcuni Paesi non musulmani, si vuole imporre alle donne la rimozione forzata del velo, perché si tratterebbe, anche in questo caso, della privazione della loro libertà.
Il vero maggiore pericolo potrebbe derivare dal fatto che attraverso queste proibizioni e il controllo di strutture come la “polizia morale”, di fatto il regime controlla e perseguita le donne. La donna dovrebbe essere lasciata libera di indossare il velo, perché per lei può rappresentare un simbolo della sua spiritualità o il desiderio di sentirsi meglio ornata e nessuno ha il diritto di impedirlo.
Da qui nasce la reazione ad una costrizione, alla privazione di una scelta libera delle donne che oggi non viene facilmente accettata. In tutto il mondo musulmano saranno le donne le prime a reagire, così come sta avvenendo in alcuni Paesi. Le donne tunisine, ad esempio, con vistose e affollate manifestazioni a Tunisi nel viale Bourguiba, hanno bloccato, subito dopo la primavera araba, il tentativo, avanzato da un ministro del nuovo governo islamista, che venissero cancellate delle norme con le quali, già da anni, venivano riconosciuti loro importanti diritti in diversi settori.
Masha Amina ha destato il silenzio forzato delle donne iraniane, frutto della loro paura per il pericolo incombente di pesanti ritorsioni politico-religiose, scatenando una loro forte reazione, con dimostrazione di sicurezza e di coraggio, che potrebbe aprire la strada ad una vera “primavera iraniana” potendo diventare tale delitto un boomerang per il regime al potere.
Note
1 Uno dei diversi copricapi islamici che copre il capo, il collo, le orecchie e lascia scoperto il volto e le spalle.
2 Sono piccoli racconti da parte di studiosi dell’Islam in cui sono riportati comportamenti, parole e opere del Profeta e dei suoi compagni, inizialmente tramandati oralmente e poi per iscritto e raccolti nella Sunna. Il Corano e la Sunnah rappresentano i due testi sacri dell’Islam, costituiscono cioè le due fonti primarie della teologia islamica.
3 Sul sito è così scritto: « Coran-online.com" è un sito dedicato all'ascolto del Sacro Corano online con la disponibilità di diversi recitatori per facilitare l'ascolto. L'obiettivo di Coran-online è quello di dare al maggior numero possibile di persone l'opportunità di ascoltare il Corano sul proprio telefono o computer in modo facile e veloce».