Il quadro è una espressione esteriore in forma pittorica di una impressione interiore.
(Vasilj Kandiskij)
Dipinge visioni, Marianna Bussola. Dipinge emblemi che affiorano dal suo inconscio. E lo fa con cromie decise, campiture piatte e un certo linearismo.
Nata e cresciuta a Milano, pittrice per vocazione da una vita intera, ha sviluppato nel tempo uno stile personalissimo, in cui la mimesi non è contemplata. Le forme sintetizzano la realtà, i piani spaziali della visione umana svaniscono, e ciò che accade sulla tela è molto più prossimo ad un sogno di Chagall che alla realtà riprodotta da innumerevoli artisti. Il suo è un linguaggio molto vicino all’illustrazione, che tenta di raccontare mondi sospesi tra il simbolico e l’immaginario, in cui si mescolano memorie e suggestioni. Marianna dipinge paesaggi interiori attraverso uno stile contaminato dalla bidimensionalità delle icone bizantine, dal purismo delle stampe Ukiyo-e e dal decorativismo delle grafiche di Klimt o Mucha. È nata a Milano, dove vive e lavora.
Ed è lei a raccontarsi, attraverso le risposte a questa intervista:
Chi è Marianna?
Una creatura dominata dalla passione per le immagini dipinte e disegnate. Poi dentro di me (come in tutti noi, credo), abitano anche altre persone, non di rado in lite tra di loro.
Chi sei in una vita parallela?
Forse il gatto di una strega? Scherzo! Per me la vita parallela è quella della pittura. Dove non sono femmina o maschio, giovane o vecchia, umana o animale, vegetale o minerale, ma tutte queste cose insieme e contemporaneamente. Si intreccia e si fonde alla mia vita quotidiana, quella delle relazioni e delle interazioni con il mondo (per me molto importanti: non sono un’introversa).
Dove vai quando vuoi ritrovarti?
Scendo nelle profondità di me stessa, ma più che una discesa è un lasciarsi cadere: non è un atto di volontà, ma di abbandono. Un abbandonarsi indispensabile alla creazione di un’opera che non sia pura e semplice decorazione (rischio che, nel mio caso, è sempre dietro l’angolo).
Il colore della tolleranza?
La tolleranza, essendo tollerante, non può escludere nessun colore, credo.
L’arte è viaggio o luogo?
Per me è un viaggio, l’esplorazione di un territorio dell’inconscio, quindi totalmente misterioso. Ogni quadro è una tappa di questo cammino. Alla domanda “Cosa dipingi?”, non so mai cosa rispondere, ma potrei dire che i miei quadri e i miei disegni sono paesaggi interiori. Dove le mie figure, quasi sempre antropomorfe, si perdono e si nascondono. Dove non esiste un ordine di importanza tra i vari elementi, ma tutto ha lo stesso valore.
La pittura, perchè?
Perché è il talento che ho ricevuto in dono: questo, e non un altro. Non sono particolarmente legata alla pittura come sperimentazione, mi interessa invece avere uno stile con cui raccontare le mie visioni. E non ho mai desiderato riprodurre la realtà: ad attrarmi è l’invisibile reso visibile, per citare Paul Klee. Per un periodo, da giovanissima, ho pensato di fare l’illustratrice, ma poi ho capito che posso illustrare solo il mio mondo. Mi è rimasto però un grande amore per il segno grafico: nei miei quadri cerco sempre un equilibrio tra grafica e pittura, che si rivela spesso così difficile.
Qual è stata la tua formazione?
Fin da piccolissima ho cominciato a disegnare e a colorare. E ho avuto molto presto accesso all’arte contemporanea: mio padre amava acquistare opere e soprattutto oggetti di design, avevo uno zio collezionista… Io però ero affascinata anche dalle illustrazioni che trovavo nei libri di fiabe e in certi vecchi volumi appartenenti a mia nonna. Credo che queste due influenze così diverse si siano fuse e intrecciate dentro di me, creando un mix. Ho fatto il liceo classico e mi sono laureata in Lingue (con scarsa convinzione), ma intanto continuavo a dipingere e a scoprire e amare molte cose. La Golden Age dell’illustrazione. L’arte medievale, con le sue forme piatte e concettuali, e quella orientale. La Secessione Viennese e l’Art Deco. L’arte inglese da William Blake a Stanley Spencer e oltre. E artisti viventi come Kiki Smith, Enzo Cucchi, Luigi Serafini con il suo Codex… Potrei andare avanti all’infinito.
Esiste un luogo che ti ispira, che fa fiorire nuove idee e visioni nella tua mente?
Potrei dire il Giappone, dove però non sono stata mai. Anzi, proprio per questo: il mio è un Giappone del sogno, senza tempo, immaginato attraverso l’arte di Hokusai, di Shunshō e di grafici contemporanei come Ikko Tanaka, la scrittura di Mishima, di Murasaki, di Sei Shonagon… Per me è poesia delle stagioni, eleganza di segno ricca di sentimento, colore usato in modo antinaturalistico ma intensamente evocativo. Poi mi piacciono alla follia gli stilisti giapponesi…
Il colore dell’egoismo?
Se penso al concetto di egoismo in generale, non saprei cosa rispondere… Se lo interpreto invece nell’accezione di “strapotere dell’Ego”, posso dire che colore assume quando domina dentro di me: la sorda e deprimente tonalità fangosa che si ottiene quando si mescolano malamente i colori. Un Ego monarca assoluto non produce scintillii, ma rende la vita povera, deprimente, priva di sensualità (intesa come piacere di tutti i sensi). E ostacola la realizzazione dell’opera, almeno nel mio caso: infatti quando lavoro faccio di tutto per distrarlo, in modo che si levi di torno.
È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica o è lo sguardo sul mondo a generare nuove idee?
Nel mio caso, lo sguardo sullo sconfinato e misterioso mondo delle immagini. Penso che i miei dipinti nascano soprattutto da altri dipinti che ho visto e amato, il cui ricordo si perde negli anni e che si sono sedimentati dentro di me. Tutte queste suggestioni si sono mescolate, dando vita a qualcosa che è completamente mio, di cui io stessa difficilmente potrei rintracciare le radici. Quanto all’elemento autobiografico, è inevitabile: le mie opere risentono delle situazioni che ho vissuto, ma non è un’influenza diretta.
Una tua opera che se non fosse tua vorresti avere, da collezionista, e perchè?
Forse una coppia di quadri molto grandi (180x190 cm l’uno) realizzati a qualche anno di distanza l’uno dall’altro. Il primo, “Pomeriggio – Sonno furioso delle radici e dei semi”, del 2010, l’ho dipinto pensando a un orto, alla sua vita brulicante che striscia e fermenta, alle sue leggi segrete. Il secondo, del 2018, è il suo gemello eterozigote: “Pomeriggio - Canto della primavera feroce”. Uguale nell’impianto e nelle dimensioni, ne riprende alcuni elementi, ma con variazioni e con colori diversi: nel primo quadro predominano i verdi e i gialli, in questo i rossi e gli azzurri. Sempre di vita vegetale (e animale) racconta, ma questo è un giardino di piante velenose.
Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?
La letteratura ha sempre avuto un’enorme influenza sul mio lavoro: le opere di scrittori e poeti come Angela Carter, Kipling, Dylan Thomas, Karen Blixen, Truman Capote, Cristina Campo e di tantissimi altri ancora, hanno dato vita a suggestioni e fertilizzato un terreno, anche se non mi è mai venuto in mente di tradurre le loro immagini in dipinti. Qualcosa di questo amore per la parola scritta vive nei titoli dei miei quadri, che per me sono fondamentali: mi è capitato di amare opere di altri artisti solo perchè avevano un titolo bellissimo e pieno di echi. I miei non spiegano, anzi confondono: non sono didascalici, ma nascono per analogia e non vogliono offrire aiuto o spiegazioni, solo dilatare i possibili significati dell'immagine.
Ci parli di questo tuo progetto sugli Arcani?
Anche il mio compagno, Giorgio Cecchinato, è un artista. I nostri stili sono molto diversi e lontani, ma ci potremmo definire entrambi visionari, e ci capita di esporre insieme. Tempo fa avevamo deciso di lavorare sul tema degli Arcani Maggiori. Dei quali io sapevo poco, mi piacevano più che altro come oggetto: ogni mazzo è una piccola galleria d’arte. Venuta a conoscenza del progetto, Valentina Ferri, titolare della casa editrice FVE, ci ha proposto di pubblicare un libro dove i nostri Arcani fossero commentati da testi poetici di scrittori. Giorgio ha scelto di lavorare in digitale, io ho dipinto 22 quadri 40x70 cm. Inizialmente ho letto un sacco di materiale per capire quali elementi avrei dovuto inserire in ogni carta, ma mi sentivo ingabbiata in un’iconografia prestabilita. Un incubo. Ho lasciato perdere e sono ripartita “dalla pancia”, pensando solo a quello che ogni Arcano evocava e faceva risuonare dentro di me, senza più preoccuparmi, per esempio, di inserire nella Luna un cane e un lupo, o di sapere cosa tiene in mano L’Imperatrice. Il libro dovrebbe uscire per Natale o all’inizio dell’anno prossimo.
Scegli 3 delle tue opere per raccontare il tuo lavoro...
Difficile scegliere… Ne prendo tre a caso:
“Sopra acqua sopra vento sopra ogni maltempo”, 2006 Il titolo riprende parte della formula che le streghe pronunciavano per recarsi al Sabba. L’intero quadro si può leggere come un sortilegio: sono presenti il principio maschile e quello femminile, legati da un intreccio amoroso e spinoso, e gocce rosse e perlacee di sangue e di sperma.
“Nel mistero bianco del pomeriggio”, 2020 In questo dipinto c’è una sorta di serenità sospesa. Sotto al titolo, avevo aggiunto un piccolo testo: “Un’acqua che scorre lenta, un enigma trasparente. Vorticando intorno al proprio centro, tritoni e mandragore completano la loro forma”.
“Quello che nella notte stride e brilla”, 2022 Un quadro che ho dipinto questa primavera, in un momento davvero difficile. È molto pieno, quasi un mosaico smaltato. Qualcuno, non ricordo chi, ha detto che i miei sono quadri “senza respiro”. Concordo, e qui la cosa è particolarmente evidente. Questo quadro parla di quello che nella notte vive e palpita. Ma è una notte che non si vede: i colori sono molto accesi, domina un rosso incandescente, e il buio è presente solo in un angolo. Come sempre i miei quadri non illustrano, ma alludono segretamente, in modo indiretto.
Marlene Dumas o Jeff Koons?
Kiki Smith.
Un o una artista che avresti voluto esser tu:
È un gioco che faccio a volte, e la risposta cambia di continuo. Dunque, escludendo gli artisti da cui ci separano svariati secoli (in tal caso avrei risposto Paolo Uccello o Giovanni di Paolo), escludendo anche gli illustratori (altrimenti il campo si allarga a dismisura!), posso dire: Klimt, Peter Doig, Jennifer Bartlett, Remedios Varo, Leonora Carrington, Kjell Erik Killi Olsen, Stanley Spencer, … basta! Altrimenti non la finisco più. Come si fa a scegliere, ne amo così tanti! Ma alla fine, posso essere solo me stessa.
Un artista con cui avresti voluto realizzare un progetto a quattro mani:
Non so se riuscirei a dipingere sullo stesso supporto insieme un’altra persona: nei miei quadri c’è poco di spontaneo, sono molto costruiti, le immagini si incastrano le une nelle altre quasi senza spazi liberi dove l’altro potrebbe intervenire. Se invece per lavorare a quattro mani si intende partecipare insieme a un progetto, allora i primi nomi che mi vengono in mente sono quelli di due artisti che, in modi diversi, lavorano sui simboli: Michela Martello, un’italiana con base a New York, e Simone Pellegrini.
Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?
Esprimere in maniera totalmente libera la propria visione. Qualunque essa sia.
Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?
Philippe Daverio, ma non è più possibile, purtroppo. Mi piace Alessandra Redaelli, in lei percepisco passione e nessuna freddezza.
Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia:
Cosa posso dire? Chiuso, molto soggetto alle mode, ma sono etichette che lasciano il tempo che trovano.
La paura che sfidi ogni giorno:
Quella di bloccarmi. Dipingo da tutta la vita, ho realizzato centinaia di quadri, eppure ogni nuova opera è una sfida, un cammino che prevede anche l’attraversamento di deserti e paludi. Sono perfezionista, leggermente ossessiva, parecchio incline alla paralisi creativa (anche se nel tempo ho sviluppato vari trucchetti per, come dire, scongelarmi). E sospetto che sarà sempre così: ci sono artisti capaci di creare in leggerezza, ma non sono una di loro.
Work in progress e progetti per il futuro:
A parte gli eventi legati all’uscita del libro degli Arcani, una mostra a novembre insieme a Elena Siciliani, una bravissima jewel designer che sta creando una linea di gioielli dal mood esoterico. Poi ho progetti ancora in fase di definizione.
Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore:
Devo dire che non ho tanta simpatia per i motti, forse perché i social ne sono inondati. Ma certe frasi, certi versi, risuonano dentro di me. Per esempio l’attacco di Elm (Olmo), per me una delle più belle poesie di Sylvia Plath.
I know the bottom, she says. I know it with my great tap root:
It is what you fear.
I do not fear it: I have been thereConosco il fondo, dice. Lo conosco con la mia grossa radice:
è quello di cui tu hai paura.
Io non ne ho paura: ci sono stata.
Non saprei spiegare perché, ma esprime molto bene quello che provo dipingendo.