È un vero piacere averla qui, sa? Disse la donna versandogli del vino per la seconda volta. Il piacere è mio, cara Giovanna. Ma soprattutto grazie per l’invito. E per il vino. È delizioso. Certo che avete uno spazio straordinario quassù. Nessuno dalla strada potrebbe mai immaginare l’esistenza di un simile terrazzo qui, all’ultimo piano. Complimenti, davvero.
È tutto merito dei miei genitori. Papà aveva la passione per le stelle, ecco vede là in fondo? Quella era la sua postazione preferita. Lì aveva piazzato il suo telescopio. Certo erano altri tempi, non c’era tutta questa illuminazione in città, le stelle si potevano ammirare veramente. D’estate eravamo sempre qui, con il naso all’insù, in attesa delle stelle cadenti. Che spettacolo! Ma lei e sua moglie siete già stati quassù immagino... vero? Purtroppo, no. C’era stato un invito di sua madre, mi ricordo molto bene di sua madre, Angela, certo anche di suo padre ma sua madre la incontravamo più spesso. Ora che ci penso, quando eravamo appena arrivati, una mattina aveva detto proprio a me, venga, venga a trovarci una sera con sua moglie, sì, sì mi aveva anche detto abbiamo un terrazzo, fa fresco ed è piacevole stare sotto le stelle... aveva proprio detto sotto le stelle… la ricordo una così cara persona.
Cara la mia mamma, quanto mi manca. Proprio oggi sono dieci anni che è mancata. Come passa il tempo, aveva aggiunto a quel punto il signor Alfonso e mentre parlava con la donna non aveva smesso di guardarle le mani, mani bianche ed eleganti proprio come quelle della madre che aveva avuto occasione di ammirare spesso quando si incontravano in ascensore e in uno di quei momenti era successo anche di sfiorarle quelle mani e i loro sguardi si erano uniti per un attimo e poi subito perduti. Era forse stato per quello che l’invito in terrazza non era andato in porto, no non poteva essere stato quello il motivo, a pensarci bene una volta si erano anche abbracciati, come due amanti, come poteva averlo dimenticato? In quella occasione l’aveva pure baciata e con un ardore che non aveva mai più provato in tutta la sua vita e lei, lei non si era ritratta. Forse era successo che qualcuno nel condominio li avesse visti o forse era stata la stessa Angela a rivelare al marito il suo turbamento, fatto sta che da quel giorno nessuno aveva più parlato di inviti in terrazza. Era certo però che quei ricordi, giunti all’improvviso ad agitare la mente e il cuore del signor Alfonso non potevano essere rivelati, soprattutto quella sera e in modo particolare a Giovanna, così incredibilmente somigliante a sua madre.
Gradisce ancora del vino? Oh, sì, grazie, rispose il signor Alfonso completamente immerso nel flusso dei ricordi. Come stanno i suoi cari? Sua moglie? Annina? In tutti questi anni che ho trascorso all’estero mi è capitato spesso di pensare a loro sa? Ma che carina, lei è veramente molto gentile. La ringrazio. Mia moglie Elvira purtroppo non sta gran che bene, sono anni ormai che entra ed esce dalla clinica, il suo stato depressivo pare veramente essere diventato cronico. Pensare a come era gaia e leggera quando la conobbi, nessuno avrebbe potuto immaginare che... e devo confessarle che mi sento un po' in colpa per tutto ciò, quando ci conoscemmo io ero un aitante ufficiale di aeronautica, pronto a seguire le orme di mio padre, lei sa la storia di mio padre, vero?
Beh sì, certo, le gesta di suo padre, il volo su Vienna con D’Annunzio, tutti noi ragazzi le abbiamo studiate sui libri di storia... e... ecco, sì, io sono cresciuto con quel mito in famiglia e sognavo naturalmente di emularlo, purtroppo finita l’Accademia ebbi quell’incidente, una fatalità, se vogliamo una stupidaggine, ma mi costò la perdita di un occhio e quella fu per me la fine.
Non conoscevo questa storia, ma come mi dispiace. Mi dispiace veramente tanto, disse la donna facendo il gesto di sedersi accanto all’uomo sul divano di vimini. Eh, sì, la vita da quel giorno cambiò, niente più sogni di grandi spazi e altezze vertiginose ma la necessità di dover provvedere alla famiglia che proprio l’anno successivo al mio incidente si allargò. Annina! Cara, come sta? Dov’è ora? Uff! Ci siamo perse di vista da così tanto tempo! Chissà se sarei in grado di riconoscerla? Eravamo insieme al liceo, sa? Veramente? Ah, ma questo non lo sapevo... o forse non me lo ricordo. Sto proprio perdendo colpi. Annina. Annina... lei lo sa come sta? Io no. O meglio so che è viva e che abita in Giappone, in una città dal nome impronunciabile e che ha due figli. Altro non so. Non ho mai avuto il piacere di conoscere i miei nipotini.
Ma dai, ma che brutto, ma come è possibile, signor Alfonso? No, non si fa così, non si possono trattare così i propri genitori… non…
Eppure, le assicuro che è così, cara Giovanna. Uno cresce una figlia con tutte le cure possibili e tutto il suo amore e poi, un giorno, diventata adulta, si presenta come una totale estranea e dice non vi sopporto più, me ne vado e questa cosa si può anche accettare, non è facile, ma si può capire che sia in qualche modo fisiologica… ma poi arriva la mazzata, Annina conosce un uomo, anzi sarebbe meglio dire un energumeno, di nome Max, uno di quei palestrati e tatuati orribili che si vedono al giorno d’oggi, insieme si presentano a casa e lei dice sono incinta e lui, senza parlare, ci fa capire che non è il caso di obbiettare, anzi prima ci squadra ben bene e poi apre il frigo e si serve di birre. Quello è stato il preludio, poi è arrivata la decisione di andare in Giappone, al che io dico amore ma perché così lontano, non pensi a noi... sa cosa mi ha risposto? Non mi rompere i coglioni pa’, con tutte le volte che mi hai trascinata a far volare i tuoi cazzo di modellini di aereo senza mai chiedermi una volta se fossi d’accordo, io adesso faccio la mia vita, ok? Elvira fortunatamente non era a casa in quel momento, però quando le ho riferito il messaggio prima ha pianto e poi ha smesso di parlare per un mese, anzi una cosa sola ha mi detto prima di chiudere i contatti con il mondo: nostra figlia non è un maschio, non hai mai voluto accettare questo fatto. E così nei mesi successivi non ho fatto altro che chiedermi cosa avessi fatto di male per meritarmi tutto ciò? Perchè qualcosa di sbagliato doveva esserci stato... altrimenti le cose non si sarebbero sfasciate in questo modo… non crede?
Mi sento responsabile anche dell’infelicità di mia moglie Elvira, era un fiore di ragazza, sapesse che bei sogni aveva e che spirito libero era! Quel mio maledetto incidente ha traumatizzato anche lei, da allora siamo diventati entrambi timorosi, inchiodati dalle convenzioni e dalle circostanze del mondo intorno. Mai più uno slancio per qualcosa di nuovo, io con lo stesso lavoro per quarant’anni e la costante preoccupazione per le condizioni di salute di Elvira... avrei potuto... avrei dovuto… [scoppia a piangere e si copre il volto con entrambe le mani].
Oh, signor Alfonso, che pena che mi fa sentire i suoi racconti così pieni di delicata sofferenza, non si strugga su, lei ha fatto tutto quello che le sue condizioni le permettevano. Sono sicura che lei ha fatto il massimo. Su venga che l’accompagno giù a casa, si è fatto tardi, forse abbiamo esagerato con i ricordi, ma la prego non si disperi.
E, detto ciò, lo aiutò a indossare la giacchetta verde salvia che aveva con sé e tenendolo sottobraccio lo accompagnò con l’ascensore fino al primo piano e lì non lo lasciò prima di essersi assicurata che in qualche modo si fosse rasserenato. Vedendolo ancora un po' ansioso entrò in cucina e quasi si trovasse a casa propria, preparò una tazza di camomilla che servì tiepida e appena zuccherata. Quando entrò nella stanza da letto, vide il signor Alfonso ancora vestito, riverso sul materasso, profondamente addormentato, allora decise di non disturbarlo, lasciò la tazza sul comodino e una volta uscita, accostò la porta.
Alfonso si svegliò nel cuore della notte, agitatissimo e la prima parola che pronunciò fu Giovanna. Vestito come la sera prima, dopo aver notato con curiosità la tazza di camomilla appoggiata sul comodino si affrettò verso la porta di casa. Incurante dell’orario chiamò l’ascensore e salì all’ultimo piano. Quando fu davanti alla porta suonò due volte il campanello. Non vi fu risposta. Solo allora capì di aver agito in stato di incoscienza e si risvegliò come da un sogno, felice che nessuno fosse venuto ad aprirgli. Ritornò sui suoi passi, riprese l’ascensore e rientrò in casa. Una volta tornato in camera da letto, si spogliò e indossò il pigiama. Vide la tazza sul comodino e questa volta la prese in mano e sorseggiò la camomilla ormai fredda. Ma bastò. Che serata incredibile, pensò tra sé e sé. E subito si addormentò.
Passò una settimana esatta da quella sera, una settimana di giorni tutti uguali, scandita da una routine ormai ben sperimentata, sveglia alle 6, caffè, a seguire barba mentre la stanza da letto viene arieggiata, poi radio accesa per il radiogiornale delle 7, chissà come sta Giovanna, non l’ho più vista da allora, strano perché di solito almeno una volta al giorno ci si incontrava…
Alle 9 c’è l’ingresso dei visitatori alla clinica, c’è tempo prima per fare due passi nel parco che c’è di fronte, magari comprare anche il giornale e indugiare nella lettura seduti su di una panchina se il tempo è bello, ultimamente al mattino il cielo spesso minaccia un temporale che poi non arriva, probabilmente si sfoga da qualche altra parte. Ecco hanno aperto, terzo piano, psichiatria, ecco là la mia Elvira, che strazio vederla mentre cammina avanti e indietro nel corridoio, rigida come una bambola meccanica, con lo sguardo perso tra i mondi. Mai una espressione diversa, una smorfia, un sorriso. Mai una parola, anzi no, oggi mi ha guardato e mi ha detto: non ce la faccio più, Alfonso, aiutami a volare via…
Torno a casa, non è ancora ora di pranzo ma cresce dentro una fame nervosa, mangio dei panini pieni di mollica che placano la tensione poi metto a posto la stanza da letto. Sul comodino c’è una foto di Annina da piccola, è rovesciata, il vento deve averla fatta cadere. Torno in cucina, il frigo è vuoto, fortunatamente c’è qualcosa in freezer, magari lo tengo per stasera, domani però c’è il mercato quindi posso resistere, non è necessario uscire di nuovo a fare la spesa oggi. Chissà Giovanna cosa sta facendo, l’altra sera poi ho parlato solo io, che maleducato, non le ho permesso di raccontare nulla di sé... ma ora è meglio chiudere le finestre, il rumore è insopportabile.
Un’occhiata al calendario, domani pagano le pensioni, bene anche perché questo mese c’è la rata delle spese condominiali e sarà una mazzata, ci sono anche le quote per il rifacimento della facciata, quel filibustiere dell’ingegner Bonetti è riuscito anche questa volta a far passare il suo progetto alla riunione dei condomini, maledetto il giorno in cui ho deciso di comprarla questa casa, ho voluto ascoltare Elvira, iniziamo da qualcosa di piccolo e semplice, mi aveva convinto, chi avrebbe immaginato che da lì non ci saremmo più mossi? E ora questa casa ce l’ho sul groppone e anche volendo, non riuscirei a venderla, tutti cercano i piani alti mica il livello strada, tutti vogliono avere un po' di vista o un balcone… magari una terrazza come quella della casa di Giovanna... chissà come sta Giovanna, forse dovrei farmi vivo, per un saluto o per ricambiare l’invito, ma no, ma che senso avrebbe stare seduti qui nel salottino con il rumore che viene da fuori, no, no, meglio lasciar stare. Ma forse a lei farebbe piacere, chissà, uff, come odio questa mia indecisione in tutte le cose. Tutta una vita così. Avrei dovuto seguire la mia idea, non assecondare quella di Elvira, invece di comprare questa casa con il mutuo, avrei dovuto prendere in affitto quel vecchio magazzino vicino all’aeroporto, lontano dalla città, almeno saremmo rimasti indipendenti, con in più il piacere di avere quel via vai di aeroplani sopra la testa ogni giorno... e poi allo scadere del contratto via, in un altro posto, sì, cambiare, quattro anni qui, cinque là, sarebbe stato tutto così diverso. Una vita completamente diversa. E Annina? Come farà Annina, la scuola, gli amici, lì saremo troppo isolati, mi sembra di sentirla l’Elvira, una casa così va bene per una coppia giovane, senza figli, noi non… ecco sono stato complice di questo noi non, già in quel momento ho avuto paura, invece di sfidare la vita, invece di impormi, mi sono lasciato tarpare le ali.
Hanno suonato alla porta? Chi può essere? Strano, nessuno ha mai suonato alla porta, quasi non riconoscevo il suono del campanello.
Apro e non c’è nessuno poi guardo in basso e sopra allo zerbino con la scritta “Home Sweet Home”, un acquisto di Elvira, avrà più di trent’anni forse sarebbe ora di cambiarlo, ecco un bigliettino rosa piegato in due. Mi chino, lo raccolgo, lo apro e leggo la scritta in corsivo: in terrazza, domani sera 8.30, Giovanna.
Il giorno seguente il signor Alfonso alle 5 è già in piedi, fuori ancora buio, lui ha già fatto la barba e messo in previsione di rifarla nel tardo pomeriggio, la sua è una barba dura, la crescita si sente, sembra carta abrasiva. Alle 6 è pronto, vestito di tutto punto, sente che si può permettere un cappuccino al bar centrale invece del solito caffè, non ha ancora portato veramente a coscienza il motivo che rende quel giorno eccezionale, ma non importa, aleggia intorno a lui un’aria leggera, come di festa e ciò lo fa sentire bene. Alle 6.30 entra come primo cliente, il barista gli dice buongiorno nonno, mattiniero questa mattina eh? Lui sorride ma non risponde, distratto dalla vetrinetta con i cornetti caldi, ha fame, sente un languorino persistente insieme ad una sensazione di vitalità giovanile. Ha visto che cielo azzurro stamattina? Insiste il barista e non potrebbe essere diversamente con un unico cliente all’interno del locale. Il signor Alfonso guarda il cielo attraverso la vetrina verso l’alto in effetti è molto azzurro, si preannuncia un giorno caldo, chissà che bel tramonto in terrazza stasera ma il giorno è ancora lungo da passare. Alle 8 è già davanti alla clinica, grazie all’intervento di un infermiere, che l’ha visto altre volte, riesce a entrare. Elvira dorme ancora, strano è tutta intabarrata sotto le lenzuola quasi avesse lottato invece di dormire, solo una gamba spunta sul fianco del letto, sembra quasi che se ne voglia andare, ciao Elvira, le sussurra in un orecchio, sono qui. Ma come altre volte non c’è risposta. Arrivano due ausiliarie a rifare i letti, sono rumorose, Elvira apre gli occhi e con gli occhi dice sei qui? Sembra contenta di vederlo poi lo sguardo subito si spegne e si perde via. Dovresti rifarti una vita. Chi ha parlato? Elvira? O forse è l’altra degente, la vecchietta del letto accanto che ogni volta che incrocia il suo sguardo sembra commiserarlo. O forse ha solo immaginato una voce, a volte capita, soprattutto quando sta a casa da solo.
Dovresti rifarti una vita, a volte sono gli angeli che ci vogliono proteggere che ci sussurrano parole per indicarci la via. In effetti non ci aveva mai pensato, una cosa così semplice e chiara, anche onesta, onesta rispetto a se stessi, pensa il signor Alfonso a casa disteso sul letto, preso da mille altri pensieri, soprattutto immagini e fantasie scaturite da quella serata in terrazza con Giovanna. Poi si addormenta per svegliarsi sudato, con brividi e un po' d’ansia. Che ore sono? Va in bagno, si guarda allo specchio, vede un giovane uomo che quasi non riconosce, poi torna in camera, apre l’armadio grande pieno di naftalina e cappotti mai più indossati, c’è anche una camicia azzurra, sì l’azzurro gli dona e poi ricorda il cielo di questa mattina. Alle 8,28, con la barba rifatta e a causa di ciò con qualche piccolo taglio sul collo, il signor Alfonso suona alla porta dell’appartamento all’ultimo piano. Sorride. È felice. Quando Giovanna apre la porta il signor Alfonso quasi si commuove, la donna appare in tutta la sua bellezza, elegantemente vestita, l’immagine giunge sfocata per l’emozione. Si avverte anche una musica soft provenire dall’interno della casa. Buonasera caro signor Alfonso, bentornato, venga, venga. Il signor Alfonso avverte la piacevole tensione del suo viso che sorride, un sorriso che sembra allargarsi sempre di più… Si accomodi, prego, uh, ma che eleganza, la trovo molto bene e mi fa piacere ritrovarla così... venga che le faccio subito conoscere una persona... ecco, sì, passiamo dal salotto. Il sorriso del signor Alfonso improvvisamente si irrigidisce, il processo di espansione e rilassamento del viso si ferma, anzi si trasforma, sulla faccia compare una smorfia di sofferenza. Con la bocca serrata, non più sorridente, il signor Alfonso accede alla terrazza.
È una sera bellissima, il caldo del giorno è mitigato da una piacevole brezza. Dal divano di vimini scatta in piedi un giovane uomo dalla figura prestante e dal ciuffo di capelli folto sugli occhi. Indossa una t-shirt con la scritta “Women’s place is on the top” e un paio di scarpe da tennis molto usate, un look d’insieme che fa immediatamente sentire il signor Alfonso fuori posto con la sua camicia azzurra inamidata e le scarpe stringate che sanno di lucido appena spazzolato. Buona sera, sono Ezio. Piacere Alfonso. Giovanna mi ha parlato molto di lei, soprattutto di suo padre, che mito, ah, guardi che sta sanguinando sulla guancia, aspetti, lasci che l’aiuti ho qui dei fazzoletti di carta, ah, salviamo la camicia, ecco fatto. Grazie risponde il signor Alfonso sempre più a disagio. Le stavo dicendo appunto che la mia fidanzata mi ha raccontato tante cose di lei e della sua famiglia, certo che con un cognome così… venga, sediamoci comodi, c’è un bel divano qui.
Non sapevo fosse fidanzata, disse il signor Alfonso rivolgendosi alla ragazza, mi fa piacere e vi faccio già da ora i miei auguri. Ma che carino, grazie! Lei è un amore, il mio ragazzo certe volte è addirittura geloso di lei perché quando inizio a raccontare le nostre storie di famiglia, non riesco più a fermarmi. Beve qualcosa? Noi stiamo bevendo del prosecco che ha portato Ezio ma c’è anche vino rosso oppure del Campari. Vuole del Campari con insieme del prosecco? Sì? Bravo. Dobbiamo festeggiare, brindiamo a questo incontro. Beh, direi di brindare prima di tutto a voi due? Dice il signor Alfonso improvvisamente euforico. Sì, brindiamo! Risponde Giovanna. E poi brindiamo al grande mondo dei piloti, aggiunge l’uomo dal folto ciuffo. Ezio ha appena conseguito il brevetto di volo, sono così fiera di lui, aggiunge Giovanna, alzando il calice. Bravissimo, fa il signor Alfonso, ma rimane impigliato a qualcosa con i pantaloni e la sua elevazione si trasforma in un movimento impacciato e goffo. Poi si riprende, si alza, sorride ma dentro sente che vorrebbe essere altrove.
Sì, ora sono un pilota, ma devo accumulare molte più ore di volo se voglio accedere ai velivoli più grandi. Intanto faccio pratica. Siamo un bel team giù all’aeroporto, sa? Ho cominciato con il paracadutismo poi mi sono lasciato sedurre dal volo vero e proprio. Paracadutismo? Anche quella deve essere una bellissima esperienza… io… dice il signor Alfonso quasi con un sussurro...
Assolutamente! Abbiamo fatto delle discese acrobatiche incredibili, certe figure, ho qui dei video se vuole glieli posso mostrare… Ezio, dai, non esagerare come tuo solito. Il mio ragazzo è un vero entusiasta, mi piace perché ha questa incredibile passione ma a volte quando parla con gli altri non si accorge che…
Lo lasci fare, lo lasci fare, risponde il signor Alfonso, lo capisco. È inevitabile. Anche io ai tempi dell’Accademia ero come lui. Piuttosto Ezio, mi dica, una curiosità, ma quando vi buttate da quote alte, diciamo 5.000 metri e più, ho visto filmati incredibili di discese che sembrano danze, mi sono sempre chiesto... come fate a respirare? Sembrerebbe impossibile quando vi si vede scendere come proiettili... mi dica, come fate?
Ah, non c’è nessun problema, anche a me all’inizio dicevano lo stesso, invece si respira benissimo. La cosa che sorprende di più è che durante quel tipo di esperienza si è oltremodo lucidi e non perché si è concentrati, quello sempre, certo, ma avviene qualcosa di inesplicabile, qualcosa che supera qualsiasi emozione... insomma sembra esserci tempo per tutto, per guardare l’altimetro, per controllare l’ora ma anche per godersi la vista che, le assicuro… quella sì toglie il fiato [e ride]. Che bellezza! Risponde il signor Alfonso sinceramente emozionato... pensare che ai tempi di mio padre i piloti volavano senza paracadute, senza sicurezze.
Già, quello sì che è incredibile. Ma non erano come noi, loro erano dei veri eroi. Mi piacerebbe un giorno andare negli Stati Uniti e fare la formazione per diventare pilota spaziale, il futuro non è più nel cielo, il futuro…è… Mi hai promesso che prima ci sposiamo, interviene Giovanna. Signor Alfonso dica qualcosa lei che è più saggio ed esperto della vita, è vero o non è vero che c’è tempo per tutto e che non bisogna solo accelerare? Il signor Alfonso, quasi stordito dai contraccolpi emotivi di quella conversazione, non fu in grado di rispondere, balbettò qualcosa, poi avvicinò il bicchiere alla bocca come in cerca di un qualche ristoro, infine, fuori tempo, disse: ma perché non venite a trovarmi una volta? Mi farebbe piacere. Ho anche diverse foto storiche di mio padre e altri cimeli che sono sicuro il signor Ezio avrebbe piacere di esaminare. Però, vi raccomando, venite insieme, ditemelo anche senza preavviso, tanto io vivo solo... ora perdonatemi ma si è fatto tardi per me ed è meglio che io tolga il disturbo.
Ma quale disturbo, la prego resti ancora un pochino, venga, andiamo a guardare le stelle insieme un attimo. E mentre pronunciò quella frase Giovanna prese affettuosamente per il braccio il signor Alfonso e si diressero verso l’estremità della terrazza, nel lato meno illuminato, mentre Ezio si eclissò per qualche istante. Fu quel frangente pura redenzione per il signor Alfonso, infatti dimenticò all’istante tutte le tensioni, le ansie, la gelosia, perché sì, va detto, il signor Alfonso quella sera aveva combattuto anche con quel sentimento scomodo. L’immagine della ragazza al chiarore delle stelle, la sensazione di essere finalmente solo con lei lo ripagò di tutto e quando, poco dopo, si congedò da lei, sul suo volto, Giovanna notò un lieve sorriso.
Il risveglio del mattino seguente fu brusco, alle 5 suonò il telefono, era la clinica, gli dissero di venire perché la moglie quella notte aveva avuto una brutta crisi cardio-respiratoria e ora si trovava in terapia intensiva. Il signor Alfonso si mise addosso gli stessi vestiti della sera prima e uscì senza sciacquarsi la faccia. Giunto alla clinica, raggiunse la stanza di Elvira e vedendo il letto della moglie vuoto, ebbe un presagio. Gli venne incontrò il medico di guardia, si guardarono e senza bisogno di parlare, lui capì. Trascorse l’intera mattina nella camera mortuaria di fronte alla barella con la salma di Elvira semi-ricoperta da un lenzuolo. Il suo volto, dopo anni di tensioni, appariva ora morbido e riappacificato. Ciò confortò il signor Alfonso, peraltro sorpreso di provare una moltitudine di sentimenti opposti alla tristezza, tra i quali una leggerezza sconosciuta e un senso di libertà che non avrebbe mai immaginato di potersi permettere. Pareva veramente che Elvira avesse percepito, senza una vera comunicazione, che era giunto per il suo caro un tempo nuovo, un salto evolutivo imminente e la sua presenza in vita era divenuta solo un ostacolo alla completa liberazione dell’amato consorte.
Il signor Alfonso si chinò sul volto della moglie, le baciò le labbra gelide e la salutò per un’ultima volta. Quando uscì dalla clinica, curiosamente, pensò di avvertire Giovanna prima di sua figlia, alla quale peraltro si limitò a mandare messaggio telegrafico con il telefono. Infine chiamò zia Marghe, l’unica sorella della moglie ancora in vita. Rimasero un po' al telefono, ci fu anche un momento in cui piansero insieme. Poi tutto finì, il signor Alfonso cominciò a guardarsi in giro e si mise a pulire e riordinare l’appartamento iniziando a eliminare tutti i vestiti della moglie e alcune suppellettili inutili. Posseduto da una vera e propria frenesia, decise anche di rivoluzionare l’arredamento della casa creando uno studio per sé nella camera dove un tempo c’era la figlia e mettendo un letto in salotto al posto del divano per poter fare più comodamente le sue penniche pomeridiane. Non si stupì nel ritrovarsi a cercare gli annunci di compravendita di immobili nel suo quartiere per avere un’idea del valore della sua casa nella prospettiva di andarsene. Andare dove? A quella domanda cercò disperatamente di dare una risposta nelle notti che seguirono, tutte le volte che gli capitò di svegliarsi faticando poi a riprendere sonno.
Una domenica mattina, mentre era impegnato nelle pulizie di casa, il signor Alfonso udì qualcuno singhiozzare dietro la porta, allarmato aprì subito e con grande sorpresa vide Giovanna. La ragazza era seduta sul primo gradino della scala e se ne stava tutta raggomitolata su se stessa, a piangere, sconsolata. Giovanna! Esclamò il signor Alfonso, facendo il gesto di avvicinarsi. Lei, appena lo vide, gli si gettò letteralmente tra le sue braccia iniziando a piangere ancora più forte. Che c’è, che c’è bambina mia, disse il signor Alfonso stringendola a se con tenerezza. Cosa è successo che piangi in questo modo? È finita con Ezio! È finita, mi ha lasciata, mi ha detto che non se la sente di fare famiglia con me, che preferisce stare ancora con i suoi genitori perché solo così può immaginare di poter realizzare i suoi sogni, capisce signor Alfonso che razza di egoista? Solo false promesse sono uscite da quella bocca, mi sono fatta ingannare da un narcisista di merda, che stupida che sono stata, che stupida! Oh, Giovanna cara, mi dispiace tanto per questo epilogo inaspettato, non capisco veramente come possa essere successa una cosa simile... sembravate così felici l’altra sera, chi l’avrebbe mai detto… Oh, avrei dovuto ascoltare mio padre, mi aveva detto di andarci con i piedi di piombo con quell’Ezio, l’aveva fiutato. Mio padre ha sempre saputo fare due cose bene, guardare le stelle con cognizione e capire le persone già dalla prima occhiata. Ma io non l’ho voluto ascoltare… Perdoni la curiosità ma dov’è suo padre? Sono anni che non lo vedo... sta bene?
Oh, sì, e chi l’ammazza più mio padre, già un anno dopo la morte di mamma si era messo con la badante ucraina e subito aveva cominciato a rivendicare diritti sulla casa, questa casa, dicendo di volerla vendere ma io sapevo che era la badante che fomentava queste idee e quindi abbiamo cominciato a litigare e a passare lunghi periodi senza sentirci. In più io ero sempre all’estero per lavoro, immaginando di poter fare chissà quale carriera invece di starmene tranquilla, poi l’azienda è fallita, sono ritornata qui e c’erano gli avvocati ad attendermi, alla fine mio padre ha dovuto cedermi la casa ma ha anche detto di non volermi vedere mai più, che quella era la sua vita, che finalmente aveva trovato l’amore, che con la mamma... con la mamma... era stata una vita triste... triste... capisce? Oh, se solo fosse qui la mia mamma avrei qualcuno accanto... invece sono così sola, così sola…
Lei ha me, disse il signor Alfonso, sorpreso egli stesso dalle sue parole, sì lei ha me, può contare su di me. Vorrei che potesse credere a queste mie parole, mia cara Giovanna. Che cara persona è lei signor Alfonso, poco tempo fa ero io a consolare il suo pianto e ora… La vita è veramente strana. La vita è meravigliosa, ragazza mia. Meravigliosa, ripeté il signor Alfonso, sentendosi quasi lievitare da terra. Oh, signor Alfonso... signor Alfonso…
Non la vide più per oltre una settimana. Non avendo il suo numero non poté chiamarla. Ci furono giorni in cui rimase ore accanto alla porta, sperando di sentirla passare. Una volta, dallo spioncino, vide qualcuno che le assomigliava, gli stessi capelli lunghi sciolti, la pelle bianca delle braccia e delle gambe non poteva che essere lei... Rimase impietrito, quasi senza respirare, con la speranza di sentirla rincasare più tardi.
Una sera di fine estate, mentre tornava da una cena di ex colleghi d’ufficio, guardò su in direzione della terrazza e vide delle luci rosa illuminare le piante e gli parve anche di udire della musica. Ne fu felice e non resistette alla tentazione di salire. Quando giunse all’ultimo piano vide che la porta di casa era aperta. Entrò furtivamente ma riconobbe subito l’odore della casa e la disposizione delle stanze. La musica si fece sempre più forte, fino a quando giunse in terrazza. La vide, era sola, sdraiata sul divano, non dormiva, pareva assorta, nell’ascolto della musica. Sul tavolo il signor Alfonso vide numerose bottiglie e alcune candele accese. Altre candele erano state posizionate lungo tutto il muretto che incorniciava la terrazza… Giovanna, come sta? Le chiese dopo essersi fatto riconoscere...
Lei non disse una parola, sorrise, poi allargò le braccia come ad invitarlo sul divano e quando lui fu lì, lei lo tirò verso di sé, senza pudore e lui sentì per la prima volta il profumo dei suoi capelli e cercò timidamente di ritrarsi, ma lei lo trattenne con forza, gli prese il viso tra le mani e prese a baciargli ardentemente la bocca, a morderla, a muovere freneticamente la sua piccola lingua... Oh, Angela… sussurrò a quel punto il signor Alfonso confondendosi con il ricordo del bacio scambiato con la madre della ragazza, anni prima. Lei però non sentì... e cominciò a sbottonargli la camicia. Ma cosa sto facendo? Si chiese per un attimo il signor Alfonso... potrebbe essere mia figlia… Non posso farlo, no, non posso… E mentre combatteva strenuamente con i propri pensieri, le mani di lei gli avevano scompigliato già dieci volte i radi capelli, mentre i baci erano diventati profondi e infuocati... e lui aveva cominciato a scendere più giù con la testa... là dove due piccoli seni acerbi dai capezzoli duri come pietre, lo attendevano….
Giovanna, Giovanna, non possiamo, non possiamo… l’ultima frase di lui uscì strozzata. Fu tutto inutile. Lei lo fece girare sulla schiena e non smettendo mai di baciarlo gli sfilò i pantaloni e in un attimo gli fu sopra. Vuoi volare con me? Vuoi volare con me? Cominciò a ripetere danzando con movimenti vigorosi e frenetici basculando le anche, senza più fermarsi.
Lui chiuse gli occhi, come in preghiera, un torpore profondo cominciò da quel momento a diffondersi in ogni parte del corpo, una sensazione dimenticata di piacere lo riportò all’essenza delle cose. Per un tempo che parve non finire mai sorvolò una landa infinita e chiara dove tutto era pace leggerezza e amore.
La prima cosa che vide quando aprì gli occhi furono le stelle, milioni di stelle. Poi vide il viso sorridente di Giovanna che era lì in piedi, accanto a lui. Gli disse, sssss... stai lì tranquillo, angelo mio, torno subito. La vide allontanarsi e scomparire nella veranda della casa, lui rimase ancora in quello stato sognante per qualche istante, poi si alzò e come guidato da un ordine misterioso si spinse fino al muro di cinta della terrazza, lo scavalcò e rimase accovacciato sul cornicione esterno della casa, dietro alla siepe. Perchè aveva fatto ciò? Non lo sapeva. Ma si sentiva bene, così pieno di energia! Guardò in basso e vide la strada con le macchine e i passanti in miniatura, si sentì come un uccello fuori dal nido. Quando vide Giovanna tornare pensò di farle uno scherzo, magari alzandosi in piedi di scatto per spaventarla o iniziando a chiamarla restando nascosto dietro le piante, invece qualcosa andò storto, messo un piede in fallo, il signor Alfonso non ebbe neppure il tempo di capire che stava cadendo e si ritrovò nel vuoto. Chi lo vide dalla strada giurò di aver visto un uomo con le braccia aperte librarsi in volo con eleganza, senza nessun grido, neppure al momento del violento impatto sul marciapiede.