Il sogno che ha entusiasmato i tunisini e tutti i popoli oppressi che vedevano nella Rivoluzione dei Gelsomini un esempio per arrivare ad una democrazia reale, sembra svanire ogni giorno di più; il sogno sembra trasformarsi in un vero miraggio.
La Tunisia versa già in una situazione economica estremamente critica: ai problemi politici generali si sono sommati quelli sanitari a causa del Covid e quelli economici derivanti dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Verrebbe di dire che in Tunisia da un lungo periodo storico piove sempre sul bagnato.
Sembra che la speranza democratica tenda a dissolversi in un’atmosfera giornalmente piena di tensioni e di incertezze. Le tensioni sociali aumentano, ma una cosa strana è la fluttuante tendenza della popolazione che, nella sua maggioranza, sembra passare in pochi mesi da un elogio all’operato del Presidente Kaïs Saïed alle recenti forti critiche per la proposta per la nuova Costituzione presentata il 30 giugno e da sottoporre a referendum il 25 luglio.
Il popolo tunisino è un popolo certamente attivo, che proviene da una recente rivolta che ha segnato il superamento di un’epoca che, seppure criticabile, aveva comunque avviato un processo di trasformazione sociale ed economica positiva.
La popolazione è sottoposta a continue pressioni, con momenti di piena turbolenza sociale che sembrano ratificare il fallimento della Primavera Araba, ma ha già dimostrato di essere capace di affrontare, senza paura, eventuali nuove e pesanti sfide.
Certamente la Primavera Araba ha lasciato delle tracce indelebili in Tunisia e tra queste possiamo annoverare il coraggio e la forte determinazione dimostrata dalle donne tunisine, sicure interpreti dei desideri oppressi di moltissime donne islamiche, spesso soccombenti contro la loro stessa volontà ad usi e tradizioni del passato che non trovano alcun riscontro con l’attuale realtà del mondo globale in cui viviamo.
Le aspettative dopo il 25 luglio 2021
Il 25 luglio 2021 aveva segnato una data e anche una speranza perché il progetto di democratizzazione, auspicato dalla Primavera Araba, potesse avere buona fortuna. In quella data la determinazione del Presidente Kaïs Saïed sembrava annunciare future azioni, desiderate dalla maggioranza dalla popolazione, che miravano principalmente:
- ad avere un futuro assetto politico libero da condizionamenti dittatoriali e allineato alle moderne forme di democrazia;
- a liberare il Paese dalla sottomissione della propria politica all’Islam, così come si stava sempre più affermando sotto la spinta del partito Ennahda;
- a promuovere il rispetto dei diritti umani e il mantenimento dei traguardi già raggiunti con Bourguiba e Ben Ali;
- ad affrontare programmi economici a livello nazionale e internazionale per tentare di risollevare le sorti del Paese in forte sofferenza.
Queste azioni dovevano trovare compatibilità negli articoli della preannunciata nuova Costituzione che si sarebbe dovuta redigere nei mesi successivi e portare all’approvazione con una consultazione referendaria entro il 25 luglio 2022 e arrivare poi alle nuove elezioni entro il mese di dicembre del 2022.
La necessità di una nuova Costituzione è fortemente sentita dalla popolazione; una Costituzione che, tra l’altro, avrebbe dovuto combattere i partiti di ispirazione islamica come Ennahdha.
Gli annunci emanati dal Presidente Kaïs Saïed si rendevano credibili anche per alcune sue precedenti dichiarazioni. Infatti, nell'intervista rilasciata il 12 giugno 2019 al settimanale Acharaa al-Magharibi, ha dichiarato che “la religione è la religione della nazione e lo Stato deve lavorare per raggiungere gli scopi di Sharia”. Nella stessa intervista, alla domanda “la religione di Stato, chi l'ha inserita per la prima volta nelle costituzioni dei Paesi islamici?”, Saïed ha risposto: “… nel 1923 in Egitto, nel capitolo 149 della sua Costituzione, l'Islam fu aggiunto come la religione di Stato”. E ancora al richiesto chiarimento di “chi ha aggiunto la religione allo Stato?”, la risposta è stata: “Inizialmente non era stato proposto, ma è stato inserito su richiesta del procuratore britannico dopo l'incontro con lo sceicco Al-Muti'i, il Mufti di Al-Azhar, in modo che l'Islam costituisse una barriera di fronte alla diffusione del pensiero comunista”.
Questa dichiarazione esprime chiaramente la sua matrice ideologica, nell’interrogazione vengono anche evidenziate altre sue posizioni, tra cui le questioni sociali come l'uguaglianza ereditaria o la pena di morte che si basano su una lettura abbastanza rigorosa dell'Islam.
La nuova Costituzione
L’idea della redazione della nuova Costituzione è stata positivamente accolta dalle forze sociali e in particolare dall'Union Générale Tunisienne du Travail (UGTT)1, la più importante centrale sindacale tunisina, che aveva dichiarato la propria disponibilità a partecipare alla redazione della nuova Costituzione, assieme ad altre forze economiche e sociali del Paese.
L’appello dell’Unione non sembra abbia avuto alcuna risposta, anzi col decreto n° 30 del 17 maggio 2022 venne costituita la “Commissione Nazionale Consultiva per una nuova Costituzione” che non prevedeva tale partecipazione. L’Unione, dopo l’annunciata costituzione della Commissione manifestò nuovamente la propria disponibilità a dare il proprio sostegno per la l'istituzione di un sistema politico basato sulla separazione delle funzioni legislative, esecutive e giudiziarie e sull'instaurazione di un vero equilibrio tra di esse e per l’inserimento di ciò che avrebbe potuto fare crescere l’economia.
Sadok Belaïd, ex decano della Facoltà di Scienze Giuridiche di Tunisi, nominato dal Presidente Kaïs Saïed a capo della Commissione consultativa per preparare il progetto della nuova Costituzione, il 20 giugno ha presentato il progetto al Presidente Kaïs Saïed che lo ha pubblicato il 30 giugno.
La nuova Costituzione, come già programmato, dovrà essere sottoposta al referendum del 25 luglio, data del primo anniversario in cui Kaïs Saïed ha sciolto d'autorità il governo di Hichem Mechichi, "congelando" anche il Parlamento per un mese, in attesa di formare un nuovo gabinetto.
L’impatto sulla popolazione della proposta presentata da Belaïd non è stato però positivo generando subito delle forti reazioni sociali.
Sono diversi i punti della nuova Costituzione che hanno alimentato tensioni e critiche anche da parte di chi ha sostenuto il Presidente Kaïs Saïed in tutte le sue azioni dell’ultimo anno.
I punti che sembra abbiano maggiormente deluso le aspettative della popolazione sono l’eccessiva concentrazione di poteri nelle mani del Presidente Kaïs Saïed e il rischio di un rapporto Stato-Islam che consenta il ritorno ai tempi bui della civiltà islamica. Pertanto, mi soffermerò brevemente principalmente su questi punti.
Eccessivi poteri del Presidente Kaïs Saïed
La prima critica sembra sia stata fatta dallo stesso Capo della Commissione Nazionale Consultiva. che ha sostenuto che il Presidente ha introdotto importanti modifiche prima della sua pubblicazione e che la versione del Presidente crea il rischio che si instauri una nuova autocrazia.
Le critiche principali vengono mosse al mancato limite temporale della permanenza in carica del Presidente e all’inamovibilità dal suo incarico, anche quando le scelte da lui fatte risultano palesemente errate, dandogli, per esempio, il potere di nominare e cambiare il Capo del Governo a suo piacimento un numero illimitato di volte. La Costituzione non dovrebbe consentire al Presidente illimitate prove di scelta di uomini da porre a capo del governo, perché ciò potrebbe significare una sua poca capacità nella valutazione degli uomini, creando seri problemi alla credibilità del Paese a livello internazionale, con le conseguenziali ripercussioni economiche. Il Presidente dovrebbe assumersi la responsabilità delle sue azioni e dei poteri che gli sono stati conferiti. Argomenti simili non sembra che siano stati menzionati nel testo presentato.
Forti critiche vengono mosse alla differenza tra i poteri del Presidente e quelli del Parlamento, ad esempio, il Presidente forma il governo da solo, senza bisogno dell'approvazione del Parlamento.
Il Parlamento non può approvare alcuna legge che riguardi i poteri amministrativi del Presidente o le questioni finanziarie, mentre il Presidente può approvare leggi da solo, anche durante la pausa parlamentare o quando il Parlamento è sciolto. Il Presidente continua a esercitare il suo potere legislativo fino alle prossime elezioni parlamentari.
Da un lato non c’è alcuna possibilità di richiamare il Presidente, dall’altro lato se il Parlamento si oppone alle decisioni del Presidente, il Presidente può scogliere il Parlamento.
La nuova Costituzione, così come presentata, sembrerebbe orientata verso una deriva autoritaria e verso la possibile instaurazione di un’autocrazia ben più forte di quella che c’era sotto Bourguiba o Ben Ali.
Di seguito sono commentati alcuni punti della nuova Costituzione presentata il 30 giugno. Successivamente sono indicate alcune correzioni apportate dal Presidente Saïed.
Stato e Islam
Il rapporto tra Stato e Islam è un altro dei punti controversi che non ha una chiara spiegazione e modalità di applicazione nella nuova Costituzione. È opportuno ricordare che l’articolo 1 della Costituzione del 1959 indicava che “La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano, la sua lingua è l'arabo, la sua religione è l'Islam e il suo regime è la repubblica”.
L’articolo della Costituzione del 2014 recita ancora: “La Tunisia è uno Stato libero e sovrano, la sua religione è l'Islam”.
Prima della presentazione della nuova Costituzione il Presidente aveva annunciato l’eliminazione di tale articolo, facendo credere così ad un prossimo allontanamento della Sharia come obbligo di legge.
Lo stesso Saïed nel 2018 in una conferenza intitolata “La sua religione è l’Islam”, ha ricordato che “lo Stato è una persona morale e non può, di conseguenza, avere una religione” e in una recente dichiarazione riportata su Voafrique del 21 giugno, ha precisato che: “Nella prossima Costituzione della Tunisia non parleremo di uno Stato la cui religione è l'Islam, ma (dell'appartenenza della Tunisia) a una Ummah2 (nazione) la cui religione è l'Islam. La Ummah e lo Stato sono due cose diverse”.
Tale dichiarazione faceva già emergere i primi dubbi sulla sua possibile interpretazione e, infatti, nella nuova Costituzione del 30 giugno è riportato il seguente articolo 5: “La Tunisia fa parte della Umma islamica. Solo lo Stato deve garantire gli obiettivi dell'Islam in termini di rispetto della vita umana, della dignità, del denaro, della religione e della libertà”.
I dubbi si sono subito trasformati in contestazioni e da diverse parti è stato denunciato che l’articolo si presta a diverse interpretazioni ambigue potendo anche autorizzare la discriminazione nei confronti di altri gruppi religiosi e lasciando libere interpretazioni, tra le quali un ritorno ad un Islam di Stato con le note conseguenze.
Forti reazioni verso la nuova Costituzione
Oltre all’eccessivo potere previsto per il Presidente, con la possibilità di un ritorno ad un regime autoritario, uno dei punti che ha preoccupato una larga parte della popolazione è certamente l’aspetto religioso. La Tunisia da sempre è uno Stato la cui religione è l’Islam, ma è sempre stato un Paese fortemente tollerante e comprensivo, tale da registrare una pacifica convivenza tra persone di religione differente. C’è un grande rispetto per i cristiani, così come per gli ebrei. A Djerba, ad esempio, c’è la Sinagoga El Ghriba, una delle più importanti e antiche del Mediterraneo, visitata ogni anno, soprattutto in occasione della Pasqua ebraica, da non meno di 5000 pellegrini provenienti da tutto il mondo.
Hamadi Redissi, professore emerito di Scienze Politiche dell’università di Tunisi, denuncia che la nuova Costituzione è un’operazione di maquillage: “Si è fatto uscire l’Islam dalla porta e lo si è fatto rientrare dalla finestra”. In un articolo di Le Figaro di lunedì 4 luglio, è riportato che non sembra che ci sia una netta separazione tra Stato e Islam e che l’articolo 5 è poco chiaro o addirittura ambiguo.
Probabilmente tale separazione si sperava che venisse evidenziata in maniera più marcata e di più facile interpretazione e senza lasciare possibilità ad interpretazioni diverse che potrebbero riportare il Paese sotto il controllo religioso.
La proposta di annullamento dell’articolo della Costituzione del 2014 era una chiara reazione alla politica dei primi anni dopo la Rivolta dei Gelsomini che, sotto l’egida di Ennahdha, stava facendo deviare la Tunisia verso un ritorno all’oscurantismo islamico che sembrava ormai da tempo superato.
I tunisini, nella maggior parte della popolazione, non sognano certamente di restaurare il califfato, d’applicare la sharia, insomma non sognano di ritornare al Medio Evo.
L’8 luglio il partito Ennahda, d'inspirazione islamista, ha invitato i suoi sostenitori a boicottare il referendum costituzionale del 25 luglio, denunciando “la costruzione di un regime autoritario”. Stranamente non risulta da parte di questo partito un forte dissenso verso l’aspetto religioso. E ciò non a caso, infatti, per quanto sopra descritto, la nuova Costituzione non sembra avere definito in maniera netta e comunque facilmente comprensibile l’annunciato distacco tra Stato e Islam. Infatti, come dichiarato da esperti del settore, l’articolo 5 non pone alcun veto alla separazione tra il governo del Paese e l’Islam, alimentando così denunce e tensioni sociali.
Tra le diverse componenti sociali del Paese c’è stata anche la forte opposizione motivata dell’Unione Générale Tunisienne du Travail, presentata a tutte le forze sindacali del Paese e all’opinione pubblica.
Il presidente Kaïs Saïed modifica la bozza della nuova Costituzione
Le forti tensioni manifestate da una popolazione stanca e scoraggiata hanno certamente influito su alcune modifiche che il Presidente Kaïs Saïed ha ritenuto di dovere apportare alla nuova Costituzione presentata il 30 giugno e nella notte da venerdì 8 a sabato 9 luglio ha fatto pubblicare una versione modificata del suo progetto di nuova Costituzione per il referendum del 25 luglio.
Al capitolo 5 sopra citato il presidente ha introdotto la menzione “nell’ambito d’un sistema democratico”, modificandolo nel modo seguente: “La Tunisia fa parte della nazione islamica e lo Stato, da solo, deve lavorare nell’ambito di un sistema democratico, per raggiungere gli obiettivi dell'Islam puro nella difesa di sé, dell'onore, del denaro, della religione e della libertà”.
Questa modifica è stata ugualmente criticata in quanto non apporterebbe nessun nuovo contributo e lascia ugualmente un’ampia ambiguità nell’interpretazione dell’articolo.
Alcune chiare precisazioni sono state invece apportate al capitolo 55 “sui diritti e libertà”. Delle modifiche importanti sono state anche apportate al capitolo 90, con il quale la presidenza della Repubblica non può avere più di due mandati successivi o separati. Purtroppo, a queste modifiche se ne sono aggiunte un numero consistente, ma non cambiando il significato della nuova Costituzione.
Riflessioni finali
Il Paese ha una struttura economica molto gracile, con basi ben diverse da quelle solide che aveva negli anni precedenti la Primavera Araba; basi che allora si poggiavano su una forte struttura turistica, industriale e agricola che avevano elevato il reddito interno del Paese.
I risultati del post Primavera Araba non avevano però dato risultati tranquillizzanti alla popolazione che negli anni precedenti aveva già assaporato usi e costumi che in parte si scostavano dalle tradizioni islamiche più rigide. Le donne avevano ottenuto il riconoscimento dei propri diritti quasi come nel mondo occidentale, diritti che certamente hanno dimostrato in diverse occasioni di non volere perdere: la bigamia punita come reato, la concessione del divorzio, la libertà religiosa, la libertà nel modo di vestire senza alcun obbligo, le donne sono ormai libere di opporsi a indossare indumenti che certamente non esaltano la bellezza femminile.
In Tunisia si erano raggiunti buoni livelli anche sul riconoscimento dei diritti di famiglia, di eredità, ecc., tutte cose che avevano bisogno di compiere un ultimo importante passo legato all’auspicata nascita della democrazia interna nel Paese.
La decisone del Presidente Kaïs Saïed di sospendere il Parlamento, inizialmente fortemente criticata, aveva poi avuto l’accettazione da parte della maggioranza della popolazione.
La forte crisi economica già esistente da diversi anni in Tunisia, notevolmente aumentata a causa dell’invasione dell’Ucraina, sommata alla ormai ben nota crisi governativa sta però determinando una situazione sociale difficilmente sostenibile.
Le azioni del Presidente, che potevano fare sperare in una tattica politica per imboccare una via privilegiata verso la democrazia, stanno di fatto alimentando il sospetto che la paventata deriva totalitaria possa diventare realtà.
L’avere predisposto uno schema di modifica della Costituzione senza il coinvolgimento di tutte le forze politiche, sociali e sindacali è stato certamente un grave errore che potrà compromettere la sua concreta accettazione da parte della popolazione e fare unire anche parti della popolazione che sono oggi in forte dissenso tra di loro.
La Tunisia, purtroppo, ha poche risorse economiche e nel decennio post Rivoluzione non ha avuto la capacità e forse anche la possibilità di riorganizzarsi. Le forti lotte interne e sicuramente anche la pandemia hanno limitato negli ultimi anni il turismo. Inoltre, non c’è stato un programma importante nel settore industriale e nel settore agricolo che ai tempi di Ben Ali vedeva la partecipazione di importanti industriali agricoli europei che singolarmente o in associazione con strutture tunisine investivano ingenti risorse nello sviluppo agricolo creando importanti esportazioni di prodotti alimentari. Probabilmente non sono stati ben utilizzati neanche i sostegni economici che arrivavano in Tunisia dall’Europa e da altre parti del mondo. La popolazione vive oggi nella continua incertezza del futuro prossimo.
La proposta della nuova Costituzione poteva essere un importante elemento anche per armonizzare la popolazione ormai disorientata e certamente delusa per la situazione in cui versa.
Purtroppo, dalle critiche mosse da diversi settori della società tunisina e anche a livello internazionale, sembra invece che la Costituzione possa diventare, paradossalmente, un elemento di disarmonia e fare rompere il sottile filo che mantiene in un equilibrio di pace la popolazione.
Una nuova Costituzione che nasce tra luci e ombre, che ha preannunciato cambiamenti clamorosi che non trovano riscontro in essa, sarà un fallimento se i cambiamenti previsti e desiderati dalla popolazione non ci saranno e se alcuni articoli non saranno univocamente interpretabili e facilmente applicabili, soprattutto con riferimento ai tre punti che riguardano presenzialismo, rapporto Stato- Islam e rispetto dei diritti umani.
Come era presumibile e come leggeremo nelle “considerazioni post-referendum” nonostante tante critiche, la nuova Costituzione è stata approvata dal referendum, poiché una grande parte delle persone che sostengono il Presidente viene dalla classe popolare e sono persone che lo sostengono incondizionatamente, anche se parte di esse manifestano in piazza il loro dissenso. Sono persone che, generalmente, non seguono le sfumature giuridiche e pertanto difficilmente si oppongono alle norme proposte dal Presidente.
Infine, è opportuno evidenziare che, alcuni aspetti giuridici, che guidano questo processo di modifica della Costituzione, ritengono che le recenti numerose modifiche siano state apportate fuori tempo in relazione alla preannunciata data del referendum, pertanto, se ciò dovesse essere vero, o arriverà un nuovo decreto per rendere legittima l’accettazione delle modifiche facendo così slittare la data fissata del 25 luglio o le modifiche apportate al testo dal Presidente potrebbero essere annullate e il testo originario della nuova Costituzione sarà quello approvato.
In ogni caso, se il documento verrà adottato nella sua forma originale o in quella “modificata”, l'attuale sistema tunisino di governo unipersonale sembra destinato a continuare a lungo nel futuro.
Per tutto quanto sopra evidenziato, se non ci saranno altre modifiche apportate al progetto della nuova Costituzione, a mio avviso, la tensione, che già rappresenta una potenziale rivolta sociale interna, potrebbe innescare fenomeni di “risonanza” con un conseguente aumento della tensione stessa fino a poter fare scaturire una nuova incontrollabile azione di sommossa.
Riflessioni post-referendum
Quanto sopra scritto è stato pubblicato nella sezione francese di questa rivista il giorno 22 luglio. Oggi, alla luce del risultato del referendum a cui hanno partecipato il 27,5% degli aventi diritto al voto con un vistoso record di astensione, possiamo scrivere che è stata approvata la nuova Costituzione, con un rafforzamento dei poteri del Presidente a cui, tra l’altro, conferirebbe il pieno controllo del Paese, il comando supremo dell'esercito e la possibilità di nominare un governo senza l'approvazione parlamentare. Il risultato non rappresenta però un successo per Kaïs Saïed, l'uomo con l'80% delle intenzioni di voto per le elezioni presidenziali, cioè la popolazione non ha votato il Presidente.
Il voto, ancorché fortemente contestato, sarebbe valido poiché non esiste nell’attuale legislazione tunisina un limite minimo alla partecipazione popolare per rendere valido il referendum, limite che normalmente è del 50%, infatti, una bassa percentuale di votanti non può rappresentare la volontà di tutto il Paese, non può imporre democraticamente una Costituzione per l'intera nazione e per le generazioni future.
Purtroppo, con mio grande rammarico, mantenendo vive le previsioni già scritte prima del referendum e sopra riportate, è presumibile un forte periodo di instabilità politica che potrebbe incrementare la pesante situazione economica e sociale già esistente e mandare in tilt il Paese.
Infine, è da evidenziare che, oltre agli estremisti di Ennahda, la maggioranza della popolazione non ha partecipato alle votazioni, ma la non partecipazione al voto non significa l’adesione ad Ennahda, ma rappresenta, a mio avviso, solo l’espressione della stanchezza del popolo tunisino.
Note
1 L'UGTT centrale sindacale della Tunisia con più di mezzo milione di aderenti. Questo sindacato ha fatto parte del Quartetto del Dialogo nazionale che ha ottenuto il Premio Nobel per la Pace nel 2015.
2 La Ummah, significa nazione, comunità e Oumma islamique è la comunità o nazione islamica e rappresenta la comunità dei musulmani, indipendentemente dalla loro nazionalità, dai legami di sangue e dai poteri politici che li governano. La, in definitiva, rappresenta i fedeli, che sono la parte umana dell’Islam, la nazione islamica, dunque la parte politica e infine la comunità dei musulmani che rappresentano la parte spirituale.