La gestualità è alla base della comunicazione animale e umana. È talmente radicata nella nostra cultura che molto probabilmente il linguaggio ha avuto un’origine gestuale con una integrazione minima di suoni che da complementari sono poi diventati fondamentali per la comunicazione linguistica. Se così stanno le cose, alla gestualità dobbiamo assegnare un ruolo fondamentale per lo sviluppo della nostra umanità. La comunicazione cooperativa nell’uomo poggia su una struttura psicologica di intenzionalità e di attenzionalità congiunte; il punto è che con il linguaggio noi uomini possiamo mentire, come abbiamo quasi sempre fatto, mentre con la gestualità è impossibile farlo. Il linguaggio ha certamente modificato il modo di condurre la nostra vita, ma assolutamente non reciso i rapporti che abbiamo con gli animali, soprattutto quelli a noi più prossimi, cioè le scimmie antropomorfe (scimpanzé, gorilla e orango), e con la loro gestualità.
Le scimmie
Nelle scimmie la gestualità è sempre condivisa e complementare alla comunicazione, la comunicazione linguistica lo è molto meno. Nell’uomo il linguaggio spesso è meno rilevante dell’atto comunicativo tra gli individui. La comunicazione umana deve essere implementata dall’atto con cui si manifesta, per esempio, da ciò che si fa nel dire qualcosa o dalla presenza o assenza di corrispondenza tra il significato dato alle parole e lo scopo per il quale vengono dette. Spesso tra ciò che diciamo e quello che ci prefiggiamo di raggiungere con il dire qualcosa non c’è conformità. Lo sappiamo molto bene quando realizziamo delle azioni discorsive. Ciò vale solo in parte negli animali quando utilizzano la gestualità. Nelle scimmie tra la gestualità e il suo significato c’è più unitarietà e raramente si verificano rappresentazioni irreali o addirittura false e ingannevoli. Le scimmie realizzano una sorta di linguaggio silenzioso, fatto di contatti oculari, di posture - una mimica e una cinesica incontrovertibili - con il quale è molto difficile fingere, nonostante gli animali, tutti gli animali, possano manifestare comportamenti ingannatori sia tra loro sia con gli altri animali, uomo incluso.
La gestualità
Durante la nostra evoluzione la gestualità ha perso lentamente il suo significato originario, o meglio, abbiamo sempre cercato sin dalle origini di renderlo ambiguo a esclusivo vantaggio di chi ha cominciato ad emettere le prime parole. Tutto questo è singolare in quanto senza questa possibilità il linguaggio nell’uomo non avrebbe potuto mai emergere. In sostanza, il linguaggio più che per trasmettere il pensiero, è emerso per nasconderlo ed è proprio vero quello che ha scritto il grande scrittore libanese Kahlil Gibran nella sua opera più famosa Il Profeta: “You talk when you cease to be at peace with your thoughts” (tu parli quando cessi di essere in pace con i tuoi pensieri).
Allora a questo punto dobbiamo chiederci se il sistema comunicativo nelle scimmie, soprattutto in quelle antropomorfe, abbia lo stesso significato di quello umano, cioè quello del linguaggio articolato. Per esempio, negli scimpanzé un comportamento culturale come il leaf clipping ha un significato inequivocabile e viene utilizzato per attrarre sessualmente una compagna. In sostanza con questo gesto il maschio vuole chiedere a una potenziale compagna: posso avvicinarmi e avere un rapporto sessuale con te? Ora sembra paradossale che un gesto come questo, cioè il modo in cui vengono prese in mano delle foglie e in cui vengono tagliuzzate con le mani o con i denti facendo un rumore udibile anche a una certa distanza, e non per cibarsene, possa avere a che fare con il sesso, ma il punto è che anche noi uomini facciamo la stessa cosa, ovviamente non con le foglie, per esempio quando ci lisciamo i capelli, distogliamo lo sguardo, o ci aggiustiamo la cravatta in un certo modo prima di fare delle avance a una partner potenziale. Cosa c’entrano i capelli, lo sguardo e l’abbigliamento con il sesso? In apparenza non c’entrano niente. Sono gesti molto comuni che facciano senza conoscerne veramente il significato e non sappiamo perché si siano evoluti in questo modo, ma li facciamo comunque, e spesso con successo. Di questo non ci dobbiamo meravigliare perché anche i suoni delle parole non hanno nessun senso almeno fino a quando non attribuiamo a esse un significato condiviso, sebbene arbitrario, in qualsiasi lingua si parli. Per esempio, noi italiani riconduciamo i suoni della p, della a, della n e della e al pane perché a questi quattro fonemi pronunciati uno dietro l’altro attribuiamo il significato di pane, mentre, per esempio, per un cinese questi suoni non avrebbero nessun significato.
Tornando al leaf clipping, che è stato osservato in un gruppo di scimpanzé che vivevano in una località della Tanzania, potrebbe non avere lo stesso significato o addirittura non esistere in altre comunità di scimpanzé che vivono in altri luoghi a migliaia di chilometri di distanza. Si tratta quindi di un comportamento culturale e la sua propagazione in queste comunità ha un significato specifico che può essere utilizzato coerentemente nel contesto comunicativo di quelle comunità, non di tutte.
La comunicazione gestuale nelle scimmie ha lo stesso significato delle parole?
Probabilmente la comunicazione gestuale nelle scimmie non ha lo stesso significato che noi esseri umani attribuiamo alle parole. La gestualità nelle scimmie e anche nell’uomo viene utilizzata intenzionalmente, cioè con uno scopo; con il linguaggio articolato questo è meno evidente. Questo può essere confermato dal fatto che tutti gli individui che appartengono a una stessa comunità utilizzano dei gesti che hanno lo stesso significato o che dovrebbero avere lo stesso significato. Questo ce lo ha spiegato molto bene diverso tempo fa Desmond Morris nel suo libro capolavoro L’uomo e i suoi gesti. Prendiamo, per esempio, il gesto con cui un signore saluta un amico con un cenno della mano. Lo fa sempre allo stesso modo e sempre con lo stesso risultato, cioè quello di essere quasi sempre corrisposto senza la necessità di utilizzare nemmeno una parola.
Facciamo un altro esempio ancora più calzante. Prendiamo il caso in cui durante una lezione di psicologia uno studente si mette la testa tra le mani rivolgendo lo sguardo a destra e a sinistra, dimostrando, senza dubbio, di essere annoiato per quello che sta ascoltando. In questo caso lo studente non emette una parola ma palesa ai suoi vicini e anche al professore che sta facendo lezione il suo stato d’animo, cioè quello di sentirsi annoiato. Se il professore chiedesse allo studente se si sta per caso annoiando, il ragazzo ovviamente risponderebbe di no, mentendo. Potrebbe addirittura aggiungere di trovare la lezione interessante. In sostanza qui le parole servono solo per nascondere il proprio stato intenzionale, nonostante qualche volta, in queste situazioni, possano emergere delle condizioni di ambiguità in cui è difficile stabilire il rapporto stretto che esiste tra un gesto e il suo significato. Questo è frequente nell’uomo, molto meno negli animali.
Per esempio, il leaf clipping di cui abbiamo parlato, non dimostra mai nessuna ambiguità, il significato del gesto è chiaro e quanto più è chiaro tanto più avrà successo. Nell’uomo invece esistono dei gesti ambigui. È il caso in cui battiamo l’indice della mano sulla tempia destra se siamo destrimani e sulla tempia sinistra se siamo mancini. In questo caso il gesto va coadiuvato con delle parole perché potrebbe significare due cose diverse e addirittura opposte. In un caso, potrebbe voler dire che ci si sta riferendo a un genio, nel caso opposto a un individuo debole di mente, un matto. Queste ambiguità sono invece praticamente assenti negli animali. Inoltre nell’uomo questi gesti simbolici fatti con le dita dirette alla tempia possono variare da cultura a cultura. In alcune culture si batte più volte l’indice sulla tempia, in altre si tracciano, sempre con l’indice, dei cerchi vicino alla tempia, in altre si batte con le nocche delle dita la fronte anziché con le dita, anche se complessivamente il significato ambiguo rimane sempre lo stesso: genio da un lato, matto dall’altro.
Conclusioni
In conclusione l’uomo è e rimane l’animale più simbolico di tutto il regno animale. Lo è sempre stato, lo era anche prima che cominciasse a pronunciare le prime parole. Rispetto agli altri animali, infatti, l’uomo ha dovuto affrontare il problema di dare dei significati ai suoni che emetteva o, meglio, che ha potuto cominciare a emettere per accelerare e rendere più proficua la comunicazione verbale. Questo è stato un lavoro lungo e faticoso, un’operazione mentale difficile, perché si doveva creare qualcosa di nuovo che stava per qualcos’altro. Ai fonemi e alle parole si dovevano assegnare dei significati inequivocabili. Tuttavia, si è sempre mantenuto un certo accostamento dei suoni a quello dei gesti, anche se il gesto ha sempre preceduto l’articolazione delle parole e quindi, almeno all’inizio del nostro percorso evolutivo, ha sempre dimostrato di avere una relazione più stretta con il pensiero che con il linguaggio stesso. Il gesto avrebbe dovuto controllare meglio un interlocutore se fosse stato attento alla comunicazione, oppure per analizzare le sue reazioni e in alcuni casi per poter manipolare le sue intenzioni.
La gestualità non nasconde mai lo stato emozionale che sottende ed è quindi importante per una comunicazione basata sulla fiducia reciproca, mentre il linguaggio potrebbe essere invece utilizzato per nascondere le proprie intenzioni. Se così stanno le cose, per l’uomo sarebbe stato molto meglio se non avesse scoperto l’uso del linguaggio articolato che sembra abbia creato più problemi che vantaggi all’umanità. Il fatto è che gli uomini e gli animali non possono, almeno per ora, gestire la propria evoluzione. Il linguaggio è stato, in definitiva, un accidente del nostro percorso evolutivo. Poteva anche andare diversamente. Si è trattato di un “esattamento”: nell’uomo l’apparato fonatorio (laringe, faringe, glottide ecc.) si è modificato e ha permesso a questa struttura, che prima svolgeva la funzione principale di consentire l’ingresso dell’aria nei polmoni, di evolversi anche per emettere dei suoni, quelli delle parole.