Le contraddizioni emergono forti e chiare nella ricerca di Marlene Dumas, artista sudafricana nata a Cape Town nel 1953. Anche quando riprende la figlia addormentata in un viraggio verde che scontorna l’immagine fino a farla diventare una nebulosa indistinta, Dumas ci ricorda il suo vissuto. Quelle visioni di un Paese in cui la brutalità dell’apartheid ha fatto da padrona per moltissimi anni. Immagini che si vorrebbero rendere sfuocate fino a farle scomparire. E l’artista sembra entrare in un fluire di coscienza mentre racconta le sue opere con gli occhi chiusi, forse a non voler vedere qualcosa che comunque i suoi occhi riescono a vedere anche al buio.
È questa la forza della sua opera, è questa l’energia istintiva e istintuale che trasmette la sua personale “open-end”, curata da Caroline Bourgeois ora a Palazzo Grassi. Di sé ama dire:“ Sono un’artista che utilizza immagini di seconda mano ed esperienze di primo ordine. L’amore e la morte, le questioni di genere e razziali, l’innocenza e la colpa, la violenza e la tenerezza”.
La raffigurazione del dolore, del sesso, delle relazioni a volte sane e a volte malate è materia d’indagine per Dumas. In mostra a Venezia ci sono oltre 100 sue opere che tracciano un percorso pittorico che parte dal 1984 e arriva fino agli ultimi anni, opere che giungono dalla stessa Collezione Pinault, da musei internazionali e da collezioni private, Marlene Dumas è considerata una delle artiste più influenti della scena artistica contemporanea. Nei suoi lavori spiccano sicuramente i ritratti in cui Dumas mette tutta la disperazione, la paura e la sofferenza che trasudano dalla sua dimensione di artista che chiude gli occhi per non vedere il dolore, perché la sofferenza la abita senza soluzione di continuità. È incredibile come opere gigantesche di corpi nudi e spesso al limite dell’oscenità, rimandino a una condizione di emarginazione e solitudine, anche nei molti baci che si vedono raffigurati permane questa insondabile tristezza, questa marginalità senza rimedio.
Nel 1976 Marlene Dumas si trasferisce in Europa per proseguire gli studi e si stabilisce ad Amsterdam, dove ancora oggi vive e lavora. Se nei primi anni della sua carriera è conosciuta per i suoi collage e testi, Dumas oggi lavora principalmente con olio su tela e inchiostro su carta. La maggior parte della sua produzione è costituita da ritratti che rappresentano la sofferenza, l’estasi, la paura, la disperazione, ma che spesso sono anche un commento sull’atto stesso di dipingere.
Un aspetto cruciale del lavoro di Dumas è l’uso delle immagini dalle quali trae ispirazione, provenienti da giornali, riviste, fotogrammi cinematografici o Polaroid scattate personalmente. Nel lavoro di Dumas la sfera intima si combina con istanze sociopolitiche, fatti di cronaca o la storia dell’arte. Tutta la sua produzione è basata sulla consapevolezza che il flusso senza fine di immagini da cui siamo investiti quotidianamente interferisca sulla percezione di noi stessi e sulla nostra modalità di leggere il mondo. Per Marlene Dumas dipingere è un atto molto fisico, che ha a che fare con l’erotismo e le sue diverse storie.
Il lavoro di Marlene Dumas si concentra sulla rappresentazione delle figure umane alle prese con i paradossi delle emozioni più intense: “La pittura è la traccia del tocco umano, è la pelle di una superficie. Un dipinto non è una cartolina”, ama ripetere.
Incredibili sono i ritratti, dove si mischiano i caratteri afrikaans con scene di quotidianità suburbana, ma non solo, Marlene Dumas lavora sui ritratti di artisti e attivisti che hanno vissuto e pagato in prima persona la loro diversità. È commovente vedere ritratto Pier Paolo Pasolini insieme alla madre, Oscar Wilde, Lord Alfred Douglas che fu suo amante, Charles Baudelaire, e visi di donna a tratti dal segno infantile e improvvisamente densi della profondità del ritratto più veritiero.
Marlene Dumas ama sorprendere, ecco che la sua opera sembra cambiare segno a seconda della traiettoria della luce, dello stato d’animo o semplicemente spostando il punto d’osservazione. I volti appaiono appena accennati o totalmente avvolti da un’emotività insostenibile. Come se giocasse a nascondino con chi cerca di racchiuderla in una definizione, e così ogni sua opera sembra modificarsi nella condizione dello spazio, della luce o del tempo. Nell’inafferrabilità dell’arte autentica.