Spesso considerata come la sorella europea della più stilosa Blue Note, la Red Records rappresenta un crocevia imprescindibile per qualunque appassionato/studioso/critico che si rispetti. Sotto le insegne del più rovente hard-bop, con un catalogo di oltre 200 titoli che ha raccolto alcune fra le migliori incisioni di Joe Henderson, Chet Baker, Cedar Walton, Steve Grossman, Bobby Watson fra i tantissimi altri, l’etichetta guidata con fervore e sapienza da Sergio Veschi dal 1976, ha da poco avuto un vibrante rilancio da un cambio al timone, su cui si è accomodato nel segno del rispetto di questa appassionante tradizione Marco Pennisi, che nello scacchiere della Red aveva sempre rivestito il ruolo di art-director.
Con lui abbiamo riannodato il filo della memoria: “Con Sergio Veschi ci conosciamo, lavoriamo insieme e ci frequentiamo da quasi 40 anni (dal 1983 per l’esattezza). Eravamo seduti a fianco ad un concerto al Capolinea. Da lì ho iniziato quasi spontaneamente ad occuparmi della grafica delle copertine e di conseguenza, ascoltare insieme musica, frequentarsi è stato facile, cosa che continua ancora oggi.”
Quali sono i primi obiettivi?
La direzione è molto chiara: valorizzazione del catalogo (restauro e ripresa dai nastri originali con nuovo missaggio), di cui una buona parte è disponibile su cd, mentre l’intero corpus artistico è stato caricato da poco sulle piattaforme digitali, arricchimento e ampliamento dello stesso con la ricerca di nuove voci nel panorama internazionale, acquisizione di materiale storico inedito che merita di essere pubblicato.
Che tipo di emozione rappresenta ascoltare un disco della Red?
Dovendo fare le copertine, ho sentito quasi sempre la musica “da vestire” con largo anticipo. In qualche caso ero presente alle sedute di registrazione, da imbucato o con il ruolo di fotografo scarso qual ero. Nell’89 la Red ha registrato i dischi di Jim Snidero e Steve Nelson in un festival estivo che con un gruppo di amici organizzavamo ad Acireale. Anche Alberto Alberti era un passaggio imprescindibile alla definizione dei programmi del festival. Tutto questo per dire che sono cresciuto con i dischi della Red e ho avuto modo di frequentare anche Alberto (altro grandissimo personaggio) per una decina d’anni. Ho amato Cedar Walton, Kenny Barron, Jerry Bergonzi, Steve Grossman, Joe Henderson, Salvatore Bonafede, Bobby Watson, Flavio Boltro e, tra questi, alcuni hanno suonato anche 3 - 4 volte al festival di cui ti parlavo. Quindi una vicinanza agli orientamenti della Red c’è sempre stata. È innegabile che sia Veschi, sia Alberti avessero una forte influenza su un ragazzo di 25 anni quale ero io. Ai miei occhi quei due erano dei marziani.
Alberti è stato fondamentale per la diffusione e la crescita della cultura jazzistica in Italia, mentre Veschi è noto per una fiera vis polemica al servizio di una profonda conoscenza di questa musica, ritengo che l’evoluzione del vostro rapporto personale sia stata già molto stimolante... ma in termini di ascolti personali come hai proceduto e quali sono state le tue “ossessioni”?
Sarò banale, ma il disco che ho ascoltato di più in assoluto e di cui ho una “vergognosa” collezione di versioni è Kind of Blue in formato stereo, mono, 45 giri, diverse versioni di stampa giapponese, audiophile, prima stampa americana, Mosaic, ecc. Lo conosco così bene che lo uso per tarare le testine. Miles quindi, soprattutto il quintetto, e poi Trane, Monk. Bill Evans, un’ossessione. Grandi, ripetute e reiterate litigate con Veschi che si protraggono da anni sul tema. Avremmo materiale per un robusto saggio sul pro e contro della musica di Bill Evans. Su Chet Baker che pure ha prodotto dissentiamo, ma li posso capire che il trombettista possa esser divisivo. Evans invece no dai: proprio non si tocca. Sono un fautore del primo ascolto, che trovo simile al primo sorso di birra. Il primo ascolto, senza fare altro, concentrato tu e l’impianto, raggiunge profondità e intensità diverse è il momento in cui si forma il giudizio. Gli ascolti successivi sono conferme, approfondimenti, si scopre dettagli. Spesso servono a fissare o correggere il giudizio del primo ascolto. I successivi sono di puro piacere e caldi come incontrare un caro amico con cui hai confidenza e conosci a fondo.
Ci sono dischi nuovi che sono appena usciti ed un deciso rientro verso il seduttivo vinile...con quali cifre e tempi?
Quest’anno usciamo con otto vinili. In lavorazione ce ne sono quasi altrettanti per il 2023. I tempi di stampa e prezzi del vinile sono diventati proibitivi. Dal momento in cui consegni audio e file grafici al giorno in cui ti vengono consegnati i dischi passano nove mesi. Nils Winther della SteepleChase, che è anche il nostro distributore per gli Usa, mi ha detto che sono fortunato visto che a lui li consegnano dopo 14 mesi - per avere certezza che avessi capito mi ha ripetuto “un anno e due mesi”. Questo ha ribaltato e modificherà anche in futuro i piani delle uscite che prevedevano prima il rilascio del vinile e solo a seguire i cd. A meno di obbligate e azzardate programmazioni in cui produci titoli con un anno di anticipo in assenza di valutazioni sulle risposte del mercato.
Molto bello un live del 1987, del tutto inedito, appartenente al trio di Chet Baker: queste registrazioni storiche invece da dove provengono?
Soprattutto da appassionati o da altri organizzatori di concerti; come noi registravano da mixer i concerti per poi avere il piacere di riascoltarli. Il lavoro piuttosto complicato è recuperare poi gli aventi diritto, avere risposte, negoziare. Tutte cose poco sexy. Solo dopo viene il bello, fare i suoni, curare il missaggio, scegliere cosa pubblicare e in che ordine, selezionare il materiale fotografico, assegnare i saggi dell’inserto presente in ogni lp, curare la confezione. Posso anticipare che ho chiuso un accordo per il bel trio di Hank Jones con George Mraz e Kenny Washington, registrato nel luglio del 1993, probabilmente ad Acireale. Il master in questo caso è arrivato dagli amici del service audio che seguiva sia i nostri concerti jazz, che altri eventi nell’area del catanese.
Altre chicche all’orizzonte?
Tra i materiali “di casa” ho scovato sei alternate takes di Cedar Walton in piano solo, per cui avremo un More Blues For Myself. Tra le ristampe in vinile, ti cito Appointment in Milano di Bobby Watson, gli Sphere e ancora Kenny Barron & Buster Williams, The Quest di Sam Rivers, The Trio vol. 2 di Cedar Walton cui seguirà il volume1, il quintetto di Danny Richmond. Esistono altri progetti per nuove produzioni in stand by, già definiti e a più riprese slittati in avanti causa pandemia. Ne parleremo a cose fatte. Tra le nuove produzioni invece uscirà in cd un bel progetto di Fabio Morgera dedicato al repertorio di Joe Henderson, in sestetto con Odorici, Scannapieco, Gilardini, Pintori e Gatto.
Come sta il jazz oggi? Aldilà della sua evoluzione artistica, come vi volete posizionare/assestare sul mercato?
La premessa necessaria è che io sono prevalentemente un forte consumatore del prodotto fisico, nel formato vinile sia nuovo che usato e che sono un appassionato, cosa che ritengo sia un aggravante. Per parafrasare un’affermazione di Bill Evans che sosteneva di comporre la musica che avrebbe voluto ascoltare, io invece produrrò la musica che vorrei ascoltare. Di Hank Jones credo si possano contare un numero rilevantissimo di dischi, tutti di livello. La motivazione da appassionato e non da uomo di Excel è che quella musica con quel trio, con Mraz in stato di grazia, avevo l’imperativo di farlo. Credo sia la tremenda motivazione dei tanti editori - anche librari - che si ostinano nel fare, anche loro convinti della bontà delle loro proposte. “I numeri” dei prodotti fisici, sono veramente piccoli e il solo digitale non basta. La scommessa, quindi, sta nel vinile e nella capacità di intercettare coloro che come me, sono disposti ad acquistare un prodotto curato. L’idea di ripartire dall’acquisizione dei nastri originali non è un dettaglio e non è cosa da poco. Di alcune registrazioni, il passo avanti è stato significativo per fuoco, dettaglio, scena ovvero posizione avanti o dietro di uno strumento, perfino timbro.
Facci un esempio del materiale a cui hai lavorato che rappresenta un significativo passo in avanti dal punto di vista delle dinamiche.
Certamente lo è An Evening with di Joe Henderson, dove ho trovato tre tracce non presenti nell’album originale, ho deciso di aggiungere un secondo vinile. Ho passato all’ingegnere del suono un dat che li conteneva, utilizzato per una produzione solo per il canale edicola. Non c’è stato verso, sembrava un altro strumento, il suono era chiuso l’ambiente sembrava un altro, diverso. Abbiamo recuperato i pezzi mancanti dai nastri originali e le cose sono andate a posto. Siamo tornati a sorridere. Quel che voglio dire è che sto provando a ‘far suonare’ al meglio quanto in catalogo. Questo è il posizionamento: chi non ha trovato una buona copia del tal disco della Red lo potrà comprare in edizione limited edition 180 gr. Chi ce l’ha già, spero lo ricompri. Suonerà diverso: meglio, peggio lo scopriremo presto. Le tirature annunciate sono di qualche migliaio di copie. In realtà stampiamo a blocchi di 500, per poi ristampare, con il tema che per il secondo giro bisognerà aspettare 9 mesi. Un po’ prudenza e un po’ questione di spazio fisico: sono perfettamente conscio di lavorare per una nicchia o, forse, per una nicchia della nicchia.
L'impressione è anche che non ci sia un ricambio generazionale adeguato/affezionato al supporto fisico.
La questione presenta vari aspetti da considerare. Innanzitutto, quanta gente ha oggi in casa un impianto stereo? Com’è che alle fiere di alta fedeltà o vinile in coda vedi prevalentemente teste brizzolate? La speranza e l’obiettivo della Red è andare in allargamento su mercati extra italiani ed europei. La contro-domanda è perché il Giappone (case piccole, popolazione numericamente inconfrontabile con altre realtà), sia di gran lunga in testa nei venduti del fisico, molto sopra gli Stati Uniti e quanto un buon numero di ricchi Paesi europei? Mi piacerebbe rispondere “cultura” nell’accezione più ampia e qui intendo del bello, del rito dell’ascolto, della curiosità intellettuale, di educazione. Ma è un’ipotesi, non una risposta.
E il jazz invece quando è entrato nella tua vita?
Il jazz a casa mia era proprio qualcosa di imprescindibile. Mio padre pittore, aveva lo studio in casa, e la musica risuonava a volume alto da mattina a sera già quand’ero piccolo. Poi intorno ai miei 26 anni, l’avventura con il Brassgroup di Acireale che, oltre alla rassegna estiva, aveva una programmazione invernale sia di concerti che di jazz club. è stata una palestra e un divertimento. Si faceva scouting, si ascoltava montagne di giovani, si litigava, si stava attenti al budget. Si valutavano le proposte di agenti a volte scommettendo: di Frank Morgan avevamo letto essere l’artista rivelazione di che Frank Gordon (Village Vanguard) e l’abbiamo preso al buio sapendo che suonava alla Art Pepper. Per Roy Hargrove (il suo manager voleva facesse esperienza e non voleva compenso), ho chiamato la mamma per avere il consenso, essendo Roy all’epoca minorenne. Spesso si contattava direttamente il musicista. Il più felice di tutti durante gli anni del festival è sempre stato mio padre. Quando gli aerei che portavano gli artisti arrivavano in orari imprevisti, li portavo a casa. Grandi pranzi con Milt Jackson, Ray Brown, Carmen McRae, Cedar e molti altri. Sono stati anni davvero gioiosi.
Ascolti più volentieri un disco della Blue Note o uno della Ecm?
Se il gioco è scegline una, Blue Note. Ma era un’altra epoca vivace e ricchissima. Si può avere una buona idea della storia del jazz anche solo sui dischi della Blue Note. L’Ecm si è affacciata in un altro periodo storico ed è una realtà europea. Ha una precisa connotazione stilistica ed ha avuto la forza di creare nuovi stilemi estetici, tellurici ed a volte divisivi: Jarrett e Metheny su tutti. Esattamente come funzionava per la Blue Note, dove negli anni buoni sapevi cosa avresti trovato nei solchi, stessa cosa avviene per l’Ecm con tutt’altro linguaggi, atmosfere, orientamento. Avere comunque un’identità precisa (che piaccio o meno) è di per sé un grande risultato. Tra le cose più recenti a me piace moltissimo il trio di Marcin Wasilewski.
Mi segnali qualche musicista da tenere d'occhio? Sia italiano che straniero...
Assolutamente no! Si fa già così tanta fatica a mettere a terra dei progetti facendo lo slalom tra agguerrite etichette d’oltreoceano, quelle italiane e europee che non voglio spoilerare un bel nulla. Pensa alla difficoltà di concorrere con etichette che sono già dall’altra parte dell’oceano, parlano la stessa lingua e dove per incontrare qualcuno basta saltare su un taxi ed entrare in un club, e noi da qui a mandar e-mail e chiedere video-call. Altro effetto collaterale, molto penalizzante, questa disastrosa pandemia.