Di solito si crede che la Torre di Pisa sia diventata famosa perché pende.
La pendenza procura brividi che seducono, è indubbio, e, si sa, il monstrum attrae, ma c’è chi crede che, da dritta, la Torre di Pisa sarebbe famosa lo stesso. Concepita da maestri medievali provvisti di conoscenze inaudite, e forse decisi a suscitare ammirazione, è un edificio clamoroso eretto in una città dalle abitudini internazionali.
“Non si vuol tornare a parlare della Torre - tranquillizza, con spirito, Monica Baldassarri, docente alla Scuola di Specializzazione dei Beni archeologici dell’Università di Genova e direttrice del Museo civico di Montopoli Valdarno - ma solo aver pensato a una cosa come quella rende l’idea del clima di sperimentazione dell’epoca a Pisa e della portata degli architetti. Erano equivalenti ai nostri archistar, o anche di più, e si sono misurati con una costruzione complessa - non solo in quanto circolare - perché il terreno è molle e loro ne conoscevano benissimo le caratteristiche, tanto che hanno progettato il catino alla base del campanile come un ‘ciambellone’. Io ho scavato anche alle fondazioni delle case-torri pisane e ho visto che sono fatte apposta per diventare continue e scaricare le forze, con archi liberi riempiti di legno per alleggerirli”.
No, non si vuol tornare a parlare della Torre (era per la grandiosità dell’ambientazione...), ascoltando la competenza e la passione della professoressa Baldassarri, ma del Romanico pisano che ha peculiarità tutte sue con le quali ha irraggiato pure le terre circostanti che chiedono al viaggiatore di essere scoperte.
Secondo la studiosa questi tratti particolari sono tre: il cosmopolitismo, il colore e la Romanitas (altri aspetti, come l’utilizzo del bestiario, sono comuni ad altro Romanico). Ce li racconta e, la formula è vincente con i suoi studenti, consiglia di avventurarci nella visita con l’atteggiamento di chi partecipa a una caccia al tesoro.
Partiamo dallo sguardo oltre le frontiere?
Il Romanico pisano è più cosmopolita di altri. Le decorazioni con le losanghe policrome di marmo a motivi geometrici sono di chiara matrice islamica e anche le scodelle di ceramica messe in mezzo agli archetti ciechi vengono dall’area islamica sia spagnola che nordafricana, un po’ più raramente mediorientale e bizantina. È un fenomeno non solo pisano, ma a Pisa è stato impiegato prima che altrove e ampiamente.
C’è davvero il richiamo al Mediterraneo e ben oltre perciò parlo di cosmopolitismo. Non ci aspetteremmo nella Chiesa cattolica romanica influenze artistiche di religioni diverse perché siamo abituati a interpretare tutto con la mente di chi è nato e vissuto dopo il Concilio Tridentino e la chiusura culturale del mondo. Invece al tempo gli aspetti si intersecavano e, nonostante le crociate, c’era una grande apertura per quanto riguarda il sapere. Noi pisani ce lo diciamo spesso, ma probabilmente al di fuori di qui non si sa.
Sulla facciata di San Paolo a Ripa d’Arno ci sono da un lato una Madonna bizantina affiancata da archi romanici e dall’altro una Madonna di tipo romanico affiancata a degli archi acuti in stile islamico.
Il colore?
Le losanghe policrome e i bacini ceramici in verde lustro metallico, in azzurro, sono una spia del fatto che il Medioevo era colorato, tanto più colorato di quello che ci si immagina, soprattutto dopo il Mille. Specialmente le chiese erano molto colorate, anche perché dovevano fare effetto sui poveracci che vivevano nel buio e che quando andavano a pregare vedevano, per quanto illuminato solo con le torce e le lampade, un tripudio di bagliori dorati e di colore. E all’esterno, oltre a losanghe e bacini, i restauri hanno rivelato che c’erano degli intonaci dipinti che poi sono stati tolti e per questo ci eravamo fatti l’idea di un Medioevo tetro, con costruzioni severe, simbolo della povertà della Chiesa. Le tracce di intonaci dipinti sono difficili da individuare, mentre i bacini di ceramica e le losanghe si vedono bene: basta alzare gli occhi.
La Romanitas?
L’altro aspetto, magari ritenuto più scontato, è il richiamo a Roma che a Pisa è evidentissimo e si trova anche nel territorio. Da Roma venivano fatti venire capitelli di reimpiego, grazie a Porto Pisano che funzionava. Al di là dei capitelli, che ora possono sembrare simili agli altri, ma allora probabilmente si riconoscevano bene, sono presenti alcune forme architettoniche e le epigrafi romane nella muratura. Del resto, quando il Comune di Pisa si deve inventare il proprio sigillo perché decide che è uno Stato, sceglie un’aquila appoggiata su un capitello. E non è un’aquila tedesca: è un’aquila romana. Pisa voleva essere la nuova Roma. Gli imperatori tedeschi, a loro volta, hanno preso l’aquila.
Quali sono i posti da vedere?
Le citazioni islamiche si trovano in tutte le chiese cittadine, ma anche verso il mare nella bellissima chiesa di San Piero a Grado che, tra l’altro, è interessante perché è quella più vicina alla linea di costa. Si dice che San Pietro abbia celebrato lì la prima messa appena giunto sul suolo italiano. È l’unica del Romanico nel Pisano che, praticamente, non ha una facciata: da una parte ha tre absidi e dall’altra un’abside ricostruita dopo la distruzione, e un portalino sulla fiancata. Si fanno varie ipotesi per spiegarlo.
Per esempio?
L’ultima spiegazione che ho sentito mi sembra eccessiva: i costruttori si sarebbero richiamati ai modelli tedeschi perché Pisa è città ghibellina. Pisa era ghibellina perché politicamente le conveniva, ma dal punto di vista culturale e artistico tutto questo non ha avuto un’influenza tale da giustificare che una basilica fondamentale per i pisani, una di quelle con le tracce più antiche, rivelate dagli scavi, quella più vicina al porto, si ispirasse alle chiese tedesche. Secondo me ci sono altri motivi, forse anche più banali, magari di tipo statico.
Comunque San Piero a Grado ha una teoria di bacini molto bello che oltretutto spicca sul prato che la circonda e dentro conserva un apparato decorativo medievale, inclusi degli affreschi trecenteschi interessanti, senza le trasformazioni barocche che si trovano altrove.
L’uso delle losanghe policrome e tentativi di bicromia si incontrano anche andando verso la zona del Monte Pisano: splendida la Pieve di Calci. Facendo un percorso lungo il Monte Pisano si incrociano sia le pievi che le cappelle, come quella di San Martino al Bagno, a Uliveto, che sono carine e fanno quasi da puntatori di un itinerario fra la campagna e le chiese rilevanti e da lì si può arrivare a Vicopisano dove ci sono i capitelli di reimpiego.
Meno ricco e meno cosmopolita è il Romanico nel Volterrano. Se nei Monti Pisani, verso la costa e fino a un certo punto del Valdarno, Cascina, San Casciano lo stile è molto simile a quello cittadino, in Val di Cecina, Valdera, a Montopoli, nella zona fra San Miniato comincia a ibridarsi e a confondersi con elementi del Romanico lucchese. Sono zone di confine anche culturale. Però nella chiesa di Santa Maria Novella a Montopoli tornano i bacini ceramici. Il portale della cattedrale di Volterra ha un archetto con decorazioni policrome ma è, appunto, la cattedrale.
Tranne che nelle chiese veramente importanti l’apparato decorativo è ridotto al minimo, più severo. Tutto è un po’ giallastro nel Romanico volterrano, ma si confà ai calanchi e la sua particolarità è quella di essere immerso in un paesaggio meraviglioso: le chiese poco lontano dagli abitati sono affascinanti, spoglie, e corrispondono all’idea del Medioevo che ci è stata trasmessa.
Paradossalmente la pieve di San Piero a Grado, ma anche quella di San Casciano che ha l’architrave istoriato da Biduino, sono più ricche della cattedrale di Volterra. Tra l’altro nel Volterrano usano una pietra locale che si rovina anche di più mentre a Pisa impiegano calcari, arenaria, tufo.
Pisa e Volterra erano città molto diverse, anche a livello di contatti culturali e questo si riflette negli artisti e nelle maestranze. È significativo paragonare le case-torri: a Volterra sono completamente chiuse, a Pisa diventano presto più ampie, più libere con grosse arcate, più “arieggiate”, con gli archi ogivali che arrivano prestissimo, già nel XII secolo.
A Pisa, insomma, “hanno visto cose”…
A Siena, Firenze, in Umbria ci sono chiese romaniche notevoli però il Romanico declinato così, che a volte è già un passo avanti e sembra quasi ‘non romanico’, si vede a Pisa e dintorni. Anche a Genova, in certi contesti.
Un’altra particolarità del cosmopolitismo di Pisa è che ci sono chiese a pianta circolare che si ispirano al Santo Sepolcro: la cappella di Sant’Agata e San Sepolcro dove c’era anche un ordine di ospitalieri con un vescovo che è diventato il primo patriarca di Gerusalemme.
Da non dimenticare le chiese a loggia, non viste da altre parti: quella dedicata dei SS. Felice e Regolo è nel cuore del centro antico. Quando si dice che si mercanteggiava in chiesa ci si immagina che lo si facesse sul sagrato, ma in questo caso c’era proprio la loggia dove si poteva mercanteggiare e sopra la chiesa. C’è il sospetto che alcune chiese del territorio in origine fossero fatte così.
Tornando alle scodelle decorative messe sulle chiese, stava per aggiungere qualcosa?
Sì, erano le stesse che i pisani usavano per apparecchiare. Sono talmente belle e colorate che quando cominciano a essere importate prima conquistano gli aristocratici, ma poi, in pieno XII secolo, le troviamo dagli artigiani e ovunque. Quindi erano vivaci anche le case, il Mediterraneo era in tavola.
Fino agli inizi del Duecento da noi non sapevano ancora fare la ceramica colorata: è una tecnica che si importa a Pisa dal mondo islamico, a Genova e a Venezia dal mondo bizantino, in due modi leggermente diversi, ma non voglio fare lezione.
Non che nuocerebbe…
Da ribadire è il discorso sul colore e su queste scodelle che da noi non si producevano. Quando i pisani vanno nel Mediterraneo vedono questi oggetti, li apprezzano molto, e siamo nella seconda metà del 1100, poi dalla crociata c’è il boom. E all’inizio del 1200 decidono di farsela da soli e probabilmente chiamano dei ceramisti islamici. La supposizione è che a Pisa sia stata fatta la prima maiolica, una maiolica arcaica che ha delle caratteristiche simili a quella delle isole Baleari.
Lo sapete, chiedo sempre, da dove viene il nome maiolica? E tutti rispondono di no. Da Maiorca!