Finalista Tenco e Musicultura, Roberto Michelangelo Giordi, cantautore partenopeo, torna con un disco e un libro che raccontano lo smarrimento identitario dell’Occidente e il desiderio di riscatto. Canzoni e racconti sullo sfondo di scenari umani e post umani, con Piero De Asmundis, Lino Cannavacciuolo, Emilia Zamuner, Alessandro Hellmann e molti altri.
Un album, un libro. Un periodo denso in cui hai tirato fuori molto di te. Che differenze ci sono tra Aliene sembianze e il precedente Il sogno di Partenope?
Sono due opere musicalmente molto differenti tra loro. Con Il sogno di Partenope ho voluto raccontare Napoli con un linguaggio più contemporaneo attraverso la contaminazione con le musiche del mondo.
Con Aliene sembianze, invece, mi sono messo completamente a nudo, filtrando il mio vissuto attraverso le storie di vita dei personaggi delle mie canzoni e dei miei racconti. Le loro inquietudini esistenziali sono un po’ anche le mie.
Una riflessione su Napoli. Città stimolante ma anche vorace, tanto da rischiare di fagocitare l‘opera. È così anche per te o riesci a mantenere le distanze?
A Napoli devo tutta l’ispirazione e il senso di ciò che sono, ma non ho mai pensato di sacrificarle la mia libertà. Le mie radici sono sacre così come lo è il mio sguardo sul mondo. Non posso fare a meno di pensarmi in altri luoghi, parlare altre lingue e confrontarmi con altre culture. Il mio peregrinare, il mio essere sempre sospeso, mi regalano sempre profonde ispirazioni.
Aliene sembianze esce in un periodo complesso. Nel tuo caso, poi, è ancora più impegnativo visto che un lavoro del genere ha necessità di essere assimilato lentamente.
Tutti noi italiani stiamo vivendo un periodo molto triste e angosciante. Per quanto mi riguarda però, farò il possibile affinché il mio nuovo lavoro possa trovare spazi di presentazione: teatri, librerie, sale concerti, case private, ecc., ecc. Credo fermamente che Aliene sembianze sia un’opera potente e popolare che merita tutta l’attenzione del pubblico e di chiunque abbia conservato una solida coscienza civile.
Scorrendo titoli e argomenti, Aliene sembianze si presenta come un incrocio tra confessioni personali e una sorta di pamphlet riflessivo su temi caldi della contemporaneità. È questa la tua idea di canzone d’autore?
La canzone d’autore vive un periodo di profonda crisi estetica. Per un cantautore di oggi è difficile trovare nuovi sentieri percorribili. Si ha l’impressione che tutto sia stato già detto, ma non è affatto così. Tale crisi va imputata sicuramente alla volontà della pseudo cultura dominante che propugna costantemente l’appiattimento sonoro oltraggiando il canone. Come dice Paolino, uno dei personaggi dei miei racconti, bisogna tornare alle regole per essere di nuovo rivoluzionari. Sembra un paradosso, ma tornare a un’immagine del mondo più armonica può farci scrollare di dosso quei cliché ormai vetusti e profilare orizzonti e cammini più degni.
Aliene sembianze è anche un libro di racconti: dove non arrivi con la musica c’è la scrittura?
Credo che il mio disco e il mio libro siano due entità del tutto indipendenti ma comunque speculari. Ho voluto sperimentare la fuga dalla canzone inoltrandomi nei territori della prosa col desiderio di raccontare storie più articolate. E così, per ogni canzone ho scritto un racconto. Consideratelo pure un esercizio di fantasia, e forse di stile. Avevo voglia di raccontare in uno spazio linguistico più ampio la mia visione del mondo, di parlare dei personaggi che immaginavo da tempo.
Tutte le aliene sembianze che abitano il libro e il disco (Paolino, Gianuario, Alonso, Romolo, Agatha, ecc.) sono figure in cerca di un riscatto da una società sempre più distopica e alienante. Anime in bilico tra la Terra e il Cielo, nelle quali ciascuno di noi può rispecchiarsi e trovare una parte di sé. Aliene sembianze è un’opera che parla degli ultimi, di quelli che ancora hanno la forza di lottare per disvelare il miracolo della bellezza.