Facile dire viva il lupo, ma cosa siamo disposti davvero a fare per costruire una pacifica convivenza con la fauna selvatica?
Bello se sono erbivori, come cervi e caprioli, o volpi affascinanti… ma se sono cinghiali o lupi o orsi?
Il contatto con la natura che abbiamo via via perso nei secoli e che stiamo fortunatamente recuperando grazie ad una rinnovata consapevolezza, non risolve le difficoltà della relazione con la natura selvaggia.
Esistono metodi per ri-creare una pacifica convivenza, ma richiedono sforzi, modifiche alle nostre abitudini di vita, è necessario studiare, informarsi, fare rete territoriale, riattivare dinamiche di comunità.
Il rischio è sempre lo stesso: indignarsi pubblicamente ma non essere intimamente disposti a modificare il nostro stile di vita per un bene che non percepiamo come un vantaggio personale immediato (per ironia questo è un istinto naturale, quella parte di noi rimasta selvatica).
È quello che accade per il riscaldamento globale, per lo spreco di acqua, per la plastica monouso, per i pesticidi, per il consumo di carne.
Viva il lupo, bello il lupo, ma se ci impedisce di andare a passeggio sereni nel bosco siamo ancora pronti a dire viva il lupo? Se dovesse capitarci di recuperare la carcassa del nostro cane sbranato, saremo davvero capaci di dire ancora viva il lupo?
Se saremo costretti a spendere soldi faticosamente guadagnati per costruire recinzioni, saremo ancora così propensi a difendere i diritti della fauna selvatica?
Saremo capaci di accettare le campagne di abbattimento dei cinghiali che si saranno moltiplicati oltre la capacità di pacifica convivenza con le altre specie nel loro territorio?
Ricostruire l’equilibrio degli ecosistemi è la più grande sfida che oggi gli esseri umani devono affrontare. Un lavoro di cesello sul compromesso, sulla disponibilità, sull’accoglienza e l’empatia.
La nostra capacità di gestire gli svantaggi della convivenza dipende dal nostro grado di preparazione ed è necessario ricordare che ogni questione non è circoscritta, qualunque tema è sempre parte di una dinamica di sistema, ogni protagonista ed ogni azione condizionano ciò che li circonda.
Un po’ come per tutte le questioni della vita, perché le nostre scelte siano efficaci, è necessario prendere quella distanza (fisica ed emotiva) che ci consente di mantenere la visione d’insieme.
Se ci alziamo, per vedere dall’alto la situazione, per allargare lo sguardo oltre il bosco dove il lupo ha fatto parlare di sé, vedremo un territorio variegato, vediamo il paesaggio. E ci accorgiamo che il problema è lo spazio.
Paesaggio: questa parola che tanto amiamo, descrive il risultato dell’incontro tra ambiente e attività umane. L’Italia è oggi praticamente un unico paesaggio, senza soluzione di continuità il tessuto delle attività umane si propaga con una trama sempre più fitta, con il semplice risultato che per i “non umani” c’è sempre meno spazio.
Negli ultimi anni in campagna (cioè la maggior parte del territorio italiano) sono aumentati progressivamente gli incontri con la fauna selvatica. Gli avvistamenti aumentano, gli animali arrivano sempre più vicini, scappano sempre meno alla vista dell’uomo, aumentano in specie e in numero di esemplari. C’è anche chi maldestramente ne gioisce, per superficiale entusiasmo.
Il motivo per cui accade è la progressiva riduzione del territorio non antropizzato.
Manca lo spazio.
Per secoli gli esseri umani si sono concentrati nelle città, che a questo punto sono diventate sempre più grandi. Siamo aumentati di numero e aumentando le bocche da sfamare le terre coltivate devono continuamente ampliarsi, e ora che nelle città diventa sempre più difficile stare bene, molti tornano a vivere nei territori, nei borghi, si disperdono, occupando o rioccupando altro spazio.
E il posto del lupo allora qual è?
Qual è il territorio dell’orso, perché possa starsene felice a fare l’orso lontano dalle case? Quali risorse alimentari ci sono a disposizione migliori dei bidoncini della raccolta differenziata porta porta che trasformano le strade in ghiotti buffet ogni notte?
Come si aumenta lo spazio su una sfera? La superficie della Terra è finita.
Negli ultimi 50 anni la popolazione mondiale è raddoppiata, ma quello che rifiutiamo di capire è che a consumare tutto lo spazio, non sono gli esseri umani con la loro presenza, ma la modalità con cui stanno, le loro abitudini e attitudini. I danni maggiori vengono fatti dal sistema con cui produciamo o procacciamo il nostro cibo. L’altra è la patologica necessita di accumulare cose, la maggior parte delle quali non sono di nessuna utilità al nostro reale benessere e sono incredibilmente dannose per “tutto il resto”.
Mi chiedo se i dati e i numeri siano importanti. Forse sì, anche se sempre contestabili. Ne riporto due che hanno a mio parere una forza significativa. La prima: il 60% dei tutti i mammiferi presenti sul pianeta è costituito da animali di allevamento, gli umani sono il 36%, tutte le altre specie insieme (dal giaguaro allo scoiattolo) costituiscono il 4%. Un uccello su sette è un pollo d’allevamento. Per dovere di precisione il calcolo è sulla biomassa e non sul numero di esemplari.
La seconda: nel 2020 l’ammasso di tutto ciò che l’uomo ha costruito (palazzi, strade, giocattoli, bottiglie, scarpe…) ha superato la biomassa, l’insieme di tutto ciò che sul pianeta invece è vivo. Anche qui per amor di precisione provo a dare una semplicistica definizione di massa (i fisici non me ne vogliano): immaginiamo la massa di una qualunque cosa come la quantità di spazio che occupa, lo spazio che toglie al vuoto. Insomma, è ancora una questione di spazio.
A qualcuno farà impressione, a qualcuno no. Ricordiamoci però che la vita ci ha messo miliardi di anni ad escogitare sistemi affinché tutto ciò che si produce sia al tempo stesso risorsa, nulla vada perso, tutto rientri in un flusso di energia che azzera lo spreco. Ad un certo punto abbiamo smesso di produrre cose che potessero partecipare a questo flusso (di cui, tra l’altro, facciamo parte anche noi) e abbiamo iniziato a consumare, prima risorse, e poi spazio.
Ecco, dopo questo viaggio verso l’alto, che ci ha consentito di allargare lo sguardo, possiamo ritornare al nostro bosco e al nostro lupo e provare a chiederci in tutta onestà quale sia realmente il problema che dobbiamo affrontare.
Cosa rappresenta, cosa significa la presenza del lupo nel territorio degli umani? Siamo disposti a riconoscere l’immenso valore di ciò che non è esclusivamente a nostro uso e consumo? Riusciamo a rinunciare ad utilizzare, consumare, occupare altro spazio?
Siamo disposti a capire che ci sono esseri viventi che hanno un valore per il nostro benessere ma che devono restare fisicamente lontani da noi, ai quali siamo legati da una catena molto lunga e più è lunga e ricca di passaggi e meglio è per noi? Siamo disposti a batterci per il benessere e la sopravvivenza di esseri viventi con i quali non vogliamo e non dobbiamo avere contatti?
Gli episodi di incontro dell’uomo con il lupo, a volte affascinanti, a volte meno, devono essere un’occasione per riflettere, non sull’episodio in sé, ma sulla gestione dello spazio condiviso del Pianeta che abitiamo.
Dovremmo ricordarci che siamo noi ad aver invaso il loro territorio e non loro ad essere entrati nel nostro.
La mancanza di aree neutrali, che porta alla sovrapposizione del territorio occupato dagli umani con quello a disposizione di altri esseri viventi, crea eventi catastrofici di tale portata che i danni ad un gregge o l’incidente ad un cane domestico rivelano solo la punta dell’iceberg. Riusciamo ad ignorare le estinzioni di massa, le pandemie sono invece per noi un esempio più evidente.
La domanda giusta, dunque, è: come possiamo contribuire affinché la fauna selvatica rimanga selvatica?
Essere consapevoli della dinamica degli spazi è essenziale. Come sempre non sembra eppure ognuno di noi, nel quotidiano, può contribuire in positivo o in negativo a non consumare spazio. E nel nostro piccolo, anche se sembra strano a dirsi, possiamo scacciare con energia gli animali selvatici che incontriamo, anche se ci affascinano e ci incuriosiscono, sapendo che è per il loro bene, perché continuino ad essere schivi e sospettosi e non associno le nostre case a fonte di cibo, perché stiano il più possibile lontani dai centri abitati e si facciano vedere il meno possibile. Perché continuino ad avere paura degli esseri umani. Che rimangano lontano da noi è la loro e la nostra unica salvezza.