Io e Manu siamo usciti per cercare una strada.
Lo so che può sembrare strano cercare una strada, uno dice: “Che problemi hai? Cerchi il nome della strada sullo stradario e la trovi!” oppure, ancora più facile: “Accendi il tuo navigatore, digiti il nome della strada nello schermo e voilà! Compare la strada con tutto il suo percorso e passa la paura.”
Però vedete, io e Manu non sapevamo assolutamente nulla di quella strada, se non che l’avevamo percorsa, era bellissima e correva in un territorio di bonifica piatto come il mare, un mare di campi lavorati nella notte più stanca che si possa immaginare. O meglio, la notte non so se fosse più o meno stanca del solito ma noi sì! Noi eravamo stanchi come mai prima d’allora. Avevamo guidato da una famosa città del Nord facendo due volte un giro vizioso in strade di campagna tortuose e strette in cui un serpentone di bilici e autoarticolati cercava di sfuggire, come noi, a un blocco autostradale per incidente di mezzi pesanti.
Il destino volle che al rientro in autostrada, dopo circa un’ora di giravolte nella luce calante della sera, ci trovassimo nuovamente su una bretella autostradale chiusa un attimo prima per il peggiorare del blocco stradale, ributtati quindi indietro alla ricerca dell’uscita autostradale che avevamo già passato, sperando in un percorso alternativo… così il tempo passava, i chilometri scorrevano sotto le nostre ruote e le nostre energie calavano, calavano, calavano, fino a raggiungere nella notte un tenue lumicino proprio sotto le chiome degli alberi che ci avvolgevano da due lati congiungendosi a tratti alla sommità.
Sarà stato per la nostra stanchezza ma eravamo quasi sicuri che quella strada fosse uscita da qualche paesaggio profondo della Georgia nel Sud degli Stati Uniti, un posto non lontano dalla villa di Via col vento… Era una strada desolata dritta e bellissima, ci sentimmo soli ma confidenti, non avevamo paura, perché a volte la solitudine rende timorosi, ma noi eravamo anzi appagati dalla prospettiva che ci correva incontro veloce dinanzi a noi, sotto gli archi e le volte creati dagli alberi.
Quindi, capite bene che in quella sera tarda mutata in notte non avevamo memorizzato nulla del luogo che avevamo attraversato. Per quanto fascino potesse avere quella strada in mezzo al mare di terra non ricordavamo nulla del punto in cui l’avevamo imboccata e nulla del punto in cui l’avevamo lasciata, anche perché pur essendo in una regione che possiamo definire “nostra” non avevamo mai fatto la traversata da occidente a oriente di quella piana bonificata, quel mare di campi arati non lo avevamo mai navigato.
Quella notte finì, come finì il viaggio, ma non finì quel senso di unicità che aveva avuto per noi quella peregrinazione breve ma sorprendente.
Avevamo in mente la singolare linearità della strada, gli alberi che la cingevano ai fianchi creando una volta lunga molti chilometri, una sorta di tunnel con un vasto paesaggio desolato a perdita d’occhio ai lati.
Non vi erano strade, se non carraie nei campi circostanti, e non incontrammo auto sul nostro percorso, e parimenti non avevamo memorizzato nel buio della notte il numero della strada sui cippi segnaletici.
In sostanza quel viaggio aveva assunto più la rimembranza di un sogno, una allucinazione da sfinimento, che una reale peregrinazione ma io e Manu siamo curiosi e la curiosità è un piccolo roditore che apre molte vie d’acqua, e l’acqua quando comincia a fluire sgomita e allarga le spalle sempre di più fino a inondarti completamente.
Sulla mappa, una cartina provinciale molto dettagliata, l’area che avevamo attraversato appariva chiara e incisa fittamente da un reticolo simmetrico di carraie sterrate e canaletti d’irrigazione, incluso in un ovale definito da fiumi e canali di bonifica, piccoli borghi e paesi. Non vi erano elementi grafici per capire sul foglio dispiegato della mappa quale strada fosse fiancheggiata dagli alberi, ma immagini reticolari, dendritiche come rami, piccolissimi rami di due lunghe file di alberi le riconobbi nelle proiezioni delle loro ombre a terra, sulla strada o accanto, nell’immagine satellitare.
C’era un numerino incluso in un piccolissimo riquadro adiacente alla linea bianca della strada, una specie di piccola appendice, diceva 79, era la strada provinciale 79, nulla a che fare per estensione e storia con la Highway 61 di Bob Dylan, o la Route 66 che attraversa 8 stati Americani, ma quella era la nostra strada.
La SP79, la strada provinciale settantanove era diventata per Manu e me motivo di ricerca.
Siamo usciti di casa tardi una mattina, abbiamo caricato sulla station wagon i nostri zaini con attrezzatura fotografica, binocolo, acqua e poco cibo e siamo partiti decisi a usare solo le mappe. Quello che avevamo visto volevamo ritrovarlo alla vecchia maniera. Ci eravamo trovati lì per caso, ci saremmo quindi tornati volontariamente senza aiuti particolari.
Ciò che abbiamo visto durante la ricerca di quella strada ci ha stupiti tanto quanto la notte in cui attraversammo la piana tagliata da canaletti e carraie, ci ha stupiti non per particolari grandiosità o bellezze naturali maestose, ma per la solitudine pacificatrice che mostra un territorio progettato oltre un secolo fa, non più abitato da alcuno, ma lavorato ancora adesso da enormi vomeri. Il fatto stesso di seguire solo l’immagine bidimensionale della mappa evitando ausili elettronici di geonavigazione ci fece tornare al periodo in cui era per noi la prassi basarsi sull’attenzione al dettaglio del paesaggio confrontato con quello disegnato sul foglio dal geografo.
È stato bello inseguire incroci, argini, ponti e case sperdute nella piana, fermarci a un crocevia e osservare la geografia dei luoghi, fotografare scorci, cogliere la fuga di animali, ascoltare il canto di uccelli che avevamo dimenticato, nessuno ci correva dietro, nessuno ci attendeva in alcun luogo e il percorso si snodò in paesaggi desolati. In alcune ore non abbiamo incontrato anima viva. Solo nutrie, qualche gatto solitario a zonzo nei campi e una infinità di uccelli.
È singolare come gli animali dell’aria mostrino tutto il loro attaccamento alla terra non appena l’uomo abbandona un’area, temporaneamente, o permanentemente, e lì dove eravamo era chiaro che dopo l’aratura e la semina, per mesi, contadini e braccianti non avevano bisogno di frequentare la zona e forse noi eravamo gli unici visitatori dopo molti giorni.
Fuggivano in volo, saltellando o a balzelli, alti nel cielo, a mezz’aria o raso-terra, uccelli di molti tipi diversi, in una quantità che non avevamo mai trovato neanche in oasi paesaggistiche e naturalistiche più volte visitate.
I più rappresentati erano i fagiani, maschi e femmine e le gazze, aironi bianchi e cenerini, garzette, germani, cornacchie, avocette, ibis bianchi con la testa nera in uno stormo di molti elementi che si sono involati sopra di noi, poi gallinelle acquatiche, ghiandaie, marangoni dal ciuffo, qualche picchio, sui posatoi poiane molto grandi che quando dispiegano le ali impressionano per la loro ampiezza e altri rapaci più piccoli intenti a cacciare nella posizione dello spirito santo, immobili nel loro frullio d’ali.
Altri uccelli sono fuggiti in distanza ma nonostante la nostra attenzione e il binocolo non siamo riusciti a identificarli, a volte vedi solo un batter d’ali, un lampo di colore che scompare tra i rami o sotto le prode dei canaletti.
Eravamo nel centro della valle bonificata di cui, per nostra volontà, non sapevamo nulla di documentazioni ufficiali o di storia, e in distanza scorgevamo per tutto l’orizzonte una fila uniforme di alti alberi, esfoliati secondo stagionalità.
Quella era la nostra strada.
Quando vi arrivammo vicini, in prossimità dell’incrocio, ci fermammo a mangiare un boccone e dissetarci.
La strada era lì, proprio di fronte a noi. Si stendeva sonnacchiosa da Ovest a Est, i cartelli indicavano a occidente Portomaggiore e a oriente Comacchio e per quanto noi allontanassimo lo sguardo alle sue estremità non ne scorgevamo la fine, semplicemente l’immagine della fila di alberi si rimpiccioliva nell’aria diafana fino a non essere più leggibile.
Rimanemmo lì circa una mezz’ora, passò solo un’auto, e un furgoncino ci arrivò alle spalle e proseguì dritto all’incrocio dinanzi a noi intersecando perpendicolarmente la strada.
Io e Manu ci guardammo e senza parlare ci scambiammo un’espressione di assenso, come a dire: " È proprio lei, la strada solitaria che avevamo percorso all’imbrunire quella sera”, non avevamo bisogno di dirci altro, avevamo senz’altro trovato lei, ma era come se avessimo ritrovato noi stessi dispersi quella sera.
Il bisogno di sapere di più, una volta accertato che non avevamo vissuto un sogno ma avevamo realmente attraversato quel mare solitario di terra emersa ci portò a indagare successivamente il luogo che avevamo visitato. Fu così che leggendo e parlando avemmo la conferma che era un’area di quasi trentamila ettari bonificata in parte all’inizio del secolo scorso e in parte oltre la sua metà, senza insediamenti abitativi, tant’è che risulta essere l’area meno densamente popolata in tutta Italia.
Anni fa, quando il fondo della strada in terra battuta venne asfaltato e un lungo nastro di asfalto liscio si stendeva da Ovest a Est, sulla strada provinciale 79 correvano i ragazzi in moto. Non c’era molto traffico neanche allora e il rettilineo infinito pareva fatto apposta per raggiungere le massime velocità, ora invece le radici degli alberi hanno ondulato e sconnesso il manto stradale rendendo insicura qualsiasi percorrenza che non sia prudente e c’è anche, a monito, un cartello di divieto di accesso alle biciclette e alle moto.
In primavera e in estate, ad uno degli incroci con le strade sterrate che tagliano a 90 gradi tutto il territorio, mi hanno detto che compare ad un incrocio una bancarella di frutta e verdura. Vendono quello che non viene inviato dai campi ai mercati, frutta succosissima e verdure già pronte per la tavola che non reggerebbero il trasporto commerciale a lunghe distanze. Dal produttore al consumatore quindi, così come i paesaggi che vivi dal vero, quando i tuoi occhi e gli altri sensi colgono appieno la bellezza di ciò che ti viene offerto non mediato da foto o immagini televisive.
Ci siamo rimessi in viaggio immergendoci nel tunnel di alberi della nostra strada che tagliando la bonifica del Mezzano conduceva alle valli verso il mare, a Comacchio.
Eravamo stranamente ancora soli su quella strada, poi gradualmente, in prossimità della cittadina di pescatori, abbiamo trovato più gente in movimento e siccome si approssimava nuovamente, come la prima volta, il calar del sole, abbiamo voluto riempirci gli occhi della visione delle valli dorate in controluce e poi via via arrossate dal disco di fuoco sempre più basso all’orizzonte, fino alla sua scomparsa che ha steso un velo più freddo su ogni cosa.
Abbiamo avuto, io e Manu, la sensazione di gioire con grande intensità di cose antiche e semplici… il cielo, la terra, l’acqua e gli animali che vi vivevano, trovando alla fine di quel piccolo viaggio null’altro che noi stessi nel mondo.