Quando mi accorsi che Paolo era morto non gli dissi nulla. Volevo aspettare che se ne accorgesse lui, mi metteva a disagio fare i discorsi che si fanno quando bisogna comunicare la morte di qualcuno. Per questo lo invitai a pesca, la pesca può essere rilassante se la pratichi nel modo giusto, ma offre anche la possibilità di specchiarsi nell’acqua e specchiarsi è una cosa che può agevolare la coscienza di sé. Se tu ti vedi, se vedi come ti muovi, vedi i tuoi occhi, vedi la tua postura, forse puoi accorgerti che c’è qualcosa di strano, che non va tutto come al solito, che c’è una specie di abbandono nel corpo, o magari una luce strana, spenta, negli occhi.
Io ho avuto occasione di vedere varie volte delle persone morte nella mia vita e ho un po’ l’occhio clinico per capire che sono ormai dall’altra parte, noto alcune cose minime ma specifiche: dei rallentamenti, le palpebre che sembrano sempre sull’orlo di precipitare, come se chiedessero di dormire, le mani molli, inespressive, le mani sono una parte del corpo molto significativa ed espansiva, nel bene e nel male, le loro sono come lumache morenti e pallide, le spalle sono remissive, sentono che non c’è più bisogno di sostenere un atteggiamento, una postura, si accalcano alle scapole attratte dalla forza di gravità, i capelli divengono fini e statici, paiono disegnati sulla testa di un bambolotto, e al vento svolazzano come anime nella tempesta, emettendo una specie di lamento frusciante… una roba brutta, per cui non stupitevi se non ho voluto aggiungere alla tristezza per la constatazione della morte di Paolo lo sgomento dei suoi occhi nel momento della consapevolezza, non avevo animo per sopportarlo, sono stato costretto a trovare una scusa, un metodo alternativo per farglielo capire e così ho pensato che se nel momento in cui io tiravo su col guadino una trota lui magari avrebbe potuto, rivolto all’acqua da cui avrei sollevato il pesce, scorgere una prima avvisaglia della sua definitiva condizione e cominciare un poco per volta a dubitare del suo stato, e magari a un secondo sguardo stupito alla superficie alternativamente increspata o immobile, mentre il pesce si dibatteva nelle ultime fasi della lotta per la vita che lui stesso stava combattendo, avrebbe colto qualche altro segno, un pallore terreo, la bocca inespressiva semiaperta, le spalle inette e tremule nella fredda superficie lacustre, e fu così che proprio nel lavorio paziente in cui guadagnavo lenza un poco alla volta per avvicinare quello che si rivelò il predatore principe dei laghi Paolo si vide!
Gli cadde lo sguardo sull’acqua poco innanzi i suoi piedi mentre era leggermente proteso per osservare ciò che facevo e io, che pur preso dalla lotta col pesce, lanciavo sguardi nervosi e incerti, fugaci, al mio amico che pareva non capacitarsi del suo aspetto e strabuzzava i globi, si sporgeva di più, ruotava la testa con gli occhi fatti enormi da una curiosità terrorizzata e si chiedeva se fosse un caso malandrino quello che lo aveva mostrato al suo sguardo quale un essere non vivo ma vegetante alle ultime fasi, o se l’acqua mobile scherzasse con lui nella sua fluidità multiforme mostrandogli, come una specie di specchio deformante in una fiera di paese, una figura di sé alterata, storpiata, ma questa figura più Paolo la guardava e più acquisiva concretezza, più volte l’occhio stanco e stravolto scorreva su quell’immagine e più lui la vedeva reale e sentiva crescere l’oscenità del momento in cui la sua nuova condizione gli si disvelava con sempre maggior forza malefica finché cercò di urlare, ohh e so davvero bene quanto cercò di farlo perché mille volte avevo visto compiersi quella trasformazione in cui tutto il corpo sembra dover partorire qualcosa di mostruoso e si contrae ripiegandosi su se stesso come fosse pronto ad esplodere ma invece implode ancora e ancora e poi finalmente si riespande flaccido con la bocca sovrumanamente aperta come fosse un rospo mitologico dallo sguardo obeso e torbido ma nulla esce da quella apertura vibrante, esce solo immenso l’alito che ancora voleva resistere ché la forza che ti spinge a vivere spesso è titanica, come la catastrofica scoperta che l’alito vitale ci abbandona e quindi è cataclismatico l’abbandono che non vorresti mai dare, per cui il momento più terribile, quello della consapevolezza che sei una trota e il luccio ti ha ghermito e ti divorerà le carni masticandoti avidamente, o che sei un luccio e il più grande predatore terrestre ti ha preso e finirai sul fuoco della brace alla fine della piramide, o ancora che sei un uomo e un attimo dopo non lo sei più… la fiamma fatua prenderà il posto della fiammella che arde dentro di te sempre fino all’ultimo soffio che la spenge…
Tutto questo passava nei pensieri di Paolo ma credo, come tutti, aveva necessità che una conferma gli giungesse, come chi ormai salito affaticato sul treno, carico di valigie, sudato, pur avendo consultato gli orari in tabella più volte prima di sistemare i bagagli e sedersi cerca una ultima conferma e chiede ansioso a un altro passeggero:
“È questo il treno per il tal posto?”.
Mi guardò, con quella domanda negli occhi, e io che ci ero già passato gli feci cenno col capo.