Dopo l’iniziale entusiasmo dell’allontanamento della Tunisia dalla deriva islamista, si paventa il rischio del ritorno all’autoritarismo che vanificherebbe i risultati della Primavera Araba e i sogni della popolazione tunisina. Gli osservatori internazionali, con sempre maggiore insistenza, si chiedono cosa stia succedendo in Tunisia e, in particolare, se stiano avvenendo dei mutamenti nella politica presidenziale che, un giorno dopo l’altro, sembra allontanarsi dagli obiettivi originari. Pertanto, partendo dalle recenti azioni del Presidente della Repubblica Kaïs Saïed, è importante tentare di comprendere: se tale paura poggia su fatti reali; se ci sono eventuali interferenze straniere sulla politica del Paese; quali potrebbero essere le cause strutturali che hanno influito a creare la pesante situazione economica attuale.
Sulle recenti azioni di Kaïs Saïed
Il Presidente della Tunisia il 25 luglio, facendo ricorso all’art. 80 della Costituzione, ha deciso di congelare il Parlamento e licenziare gran parte del Governo, assumendo i pieni poteri, compresi quelli esecutivi affidati secondo la costituzione tunisina al Governo.
L'articolo 80 afferma chiaramente che il Presidente della Repubblica può adottare tali misure soltanto se sono rese necessarie da circostanze eccezionali e solo dopo aver consultato il Primo Ministro e il Presidente del Parlamento e aver informato il Presidente della Corte costituzionale.
Si rende dunque importante capire perché la preliminare consultazione non sia stata fatta.
Una giustificazione potrebbe riscontrarsi nella palese volontà del Presidente Saïed di contrastare l’Islam politico, rappresentato in parlamento dal partito Ennahdah il cui leader è Rashid Gannoushi che era Presidente del Parlamento.
Allo stesso tempo potrebbe trovare giustificazione anche l’intervento temporaneo dell’esercito per ripristinare l’ordine pubblico, ma subito dopo era naturale che l’esercito tornasse alle sue funzioni normali e venissero indette le elezioni in breve tempo per dotare la popolazione di un governo stabile, credibile e produttivo.
Il discorso di Kaïs Saïed contro la corruzione, in occasione dello scioglimento del governo e del parlamento, ha trovato un favorevole riscontro nei tunisini che erano già ben consapevoli della situazione critica del Paese, infatti, in un’intervista rilasciata ad Afrobarometer1 nel 2020 il 72% della popolazione aveva già dichiarato che il governo andava verso una cattiva direzione.
Il 29 settembre 2021, quando nella popolazione la tensione era già alta, per la grave crisi economica che attraversava il Paese, Mme Bouden è stata nominata Primo Ministro. Successivamente, il 10 ottobre, dopo una marcia di migliaia di persone che hanno manifestano contro le misure "eccezionali" di Saïed, il Presidente ha annunciato la formazione del nuovo governo con 25 ministri di cui 8 donne. In quello stesso giorno (11 ottobre) Afrobarometer ha pubblicato un sondaggio da cui si evince che il 58% dei tunisini ha dichiarato di preferire la democrazia alle altre forme di governo e che l’86% dei tunisini era favorevole ad un governo che rispetti la legge in tutte le sue azioni.
Ancora una volta il popolo ha dichiarato in maggioranza di sostenere Kaïs Saïed, per la sua cultura giuridica, per il suo desiderio di abbattere la corruzione, di creare i presupposti per una crescita economica, per la volontà di sdoganare l’Islam politico pur mantenendo fede all’Islam come credo religioso, ma ha puntualizzato la necessità del massimo rispetto della legge.
Successivamente il Presidente ha previsto la convocazione di un comitato nazionale, per il prossimo 22 marzo in occasione dell’anniversario dell'indipendenza tunisina, che dovrebbe presentare le proposte per un progetto di revisione della Costituzione del 2014 da varare con un referendum il prossimo 25 luglio, nella ricorrenza dell’operazione con cui Saïed aveva deciso di rimuovere il governo e bloccare i lavori del parlamento.
Infine, è stata fissata la data delle nuove elezioni che si dovrebbero tenere il 17 dicembre 2022 in ricorrenza del giorno di inizio della Primavera Araba.
La Tunisia abbandona il rispetto dei diritti umani?
Purtroppo, nella stampa nazionale e internazionale aleggia una preoccupazione: sembra che ci siano dei cambiamenti radicali negli originari obiettivi di Saïed verso un regime democratico. Nel novembre del 2021 Amnesty International ha denunciato il forte incremento di civili di fronte ai tribunali militari tunisini e sembra che molti di essi siano stati denunciati principalmente per critiche mosse pubblicamente sull’operato del Presidente Kaïs Saïed.
Se queste denunce fossero vere evidenzierebbero due anomalie: che i civili non dovrebbero essere processati da tribunali militari e che non viene riconosciuto l’importante diritto dei cittadini di potere discutere liberamente ed eventualmente dissentire della situazione politica locale.
Sicuramente il Presidente, avendo assunto il controllo del Paese attraverso il controllo dei tribunali e della polizia, avrà accertato la veridicità dei fatti citati, poiché l’eventuale tacita accettazione della violazione di diritti umani, che rappresentano il simbolo della libertà e della democrazia, potrebbe dare il via alla deriva autoritaria abbondantemente citata nella stampa locale e internazionale.
Questa sola ipotesi potrebbe portare al crollo del livello di affidabilità da parte di Paesi amici, con probabile ripercussione sulle decisioni finanziarie da assumere nei confronti della Tunisia, mettendo in serio pericolo l’attuale precaria situazione economica locale.
Molti osservatori interni ed esterni sembrano avere sempre più la sensazione che il Presidente possa cambiare rotta, una sensazione che potrebbe fare svanire rapidamente la fiducia posta in Saïed nei mesi scorsi. Si è appreso, da vari organi di stampa, che è stata inibita la libertà di manifestazione con l’uso dell’esercito, con manifestanti picchiati con manganelli e bagnati con cannoni ad acqua ed è stato altresì impedito ai giornalisti dissidenti l’espletamento delle loro funzioni di corretta informazione denunciandoli per diffamazione.
È evidente che in un Paese civile la diffamazione va perseguita con un “giusto processo” verso chi ha commesso il reato, ma ciò è ammissibile quando è una vera diffamazione e non certo quando essa è riferita a notizie che dissentono da azioni governative.
La Tunisia deve essere il Paese che è sempre stato, amante della pace, con una popolazione carica di valori e tradizioni che lo rendono gradito al mondo orientale e a quello occidentale.
Monito e sostegno dell’Unione Europea a condizione che….
Con la “Proposte di Risoluzione” dell’UE del 18-10.2021 si chiede all'Unione Europea e ai suoi Stati membri di confermare l'impegno a lavorare con il popolo tunisino per promuovere la democrazia, lo sviluppo economico sostenibile, il progresso sociale, ecc. ma rimarcando chiaramente che “la base della cooperazione continua a essere il rispetto della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti democratici e dei diritti umani; ribadisce i suoi appelli ai fini dell'attuazione di meccanismi di monitoraggio del rispetto delle libertà fondamentali, dell'uguaglianza di genere e di altre questioni relative ai diritti umani, con il pieno coinvolgimento della società civile”.
Quella che è stata definita “Rivoluzione dei Gelsomini”, è stata, di fatto, una rivolta popolare senza programma e senza leader, esasperata dalla situazione politica locale, una rivolta che si è velocemente estesa al mondo arabo, coinvolgendo Paesi come l’Egitto, la Siria, la Libia, ecc. Una rivolta che è stata poi definita “Primavera Araba”, volendo simbolicamente rappresentare la ripresa della vita, il germogliare dei fiori, l’ingresso in un clima mite. Tutti fatti che simboleggiano il passare da un periodo di difficoltà economica e sociale, di ridotta libertà e di corruzione, a un periodo nuovo, quasi una forma di rigenerazione della popolazione. Un periodo segnato dal profumo della libertà e dalla speranza del miglioramento economico della popolazione. A ciò è stato anche indirizzato il monito europeo in diverse “proposte di risoluzione”.
Dalla deriva islamista a quella autoritaria?
La svolta operata dal Presidente Saïed è stata vista inizialmente, da una parte della popolazione e da diversi osservatori esterni come un’azione atta a fermare la deriva islamista del governo per indirizzarlo verso una democrazia lontana dalle disposizioni religiose, mentre da un’altra parte è stata vista come l’inizio di una deriva totalitaria pericolosa.
Molti abbiamo scritto favorevolmente secondo la prima interpretazione, anche per il forte segnale positivo che arrivava dalla costituzione del nuovo governo con una massiccia presenza femminile. Abbiamo elogiato l’evento che sembrava un passo determinante per una successiva democrazia, con un governo libero da condizionamenti religiosi, ma quelli che avevamo elogiato l’evento ci attendevano subito un programma credibile per una celere ripresa economica, anche ben consapevoli che ciò avrebbe dato maggiore fiducia per un consistente sostengo alla Tunisia da parte di diversi Paesi e dell’intera Comunità Economica Europea.
È ben noto che spesso nella crisi economica che alimenta la sfiducia di un popolo verso il proprio governo i primi a manifestare il loro dissenso sono i giovani, parte dei quali li ritroviamo tra i migranti in fuga dal loro Paese e non per guerra o per paura di persecuzioni, ma per tentare di dare maggiore dignità alla loro vita. Non possiamo dunque meravigliarci se sono stati i giovani per primi a manifestare, ancorché in maniera rispettosa, per le difficili condizioni di vita in Tunisia. Dobbiamo invece meravigliarci e dissentire quando e se a loro viene impedito di manifestare il dissenso in maniera ordinata, perché ciò potrebbe facilmente degenerare in un disordine incontrollabile e aprire le porte all’autoritarismo e degenerare in una vera e propria dittatura.
E il nuovo governo?
Se ci fosse veramente il rischio di una deriva autoritaria dovemmo pensare che l’eclatante nomina di una donna a capo di un Governo con 25 ministri di cui 8 donne sia stata solo una mossa strategica per raggiungere ben altri fini e comunque non per consolidare i primi passi verso la democrazia.
Se sono stati fatti elogi per il nuovo governo, fortemente tinto di rosa, è perché si sperava in una inversione di tendenza, in un’operosità che avrebbe dovuto cominciare ad annullare gli anni improduttivi trascorsi dalla Primavera Araba, ma perché ciò possa avvenire occorre che il governo abbia una capacità propositiva con una propria autonomia, in accordo col Presidente, ma non dallo stesso fortemente condizionato nelle decisioni da assumere. Il governo dovrebbe supportare il Presidente per evitare che, anche se involontariamente, si possa aprire il varco ad un regime autoritario, che potrebbe portare alla violenza anche quelli che nella pace avevamo riposto le proprie speranze.
Influenze straniere sulla Tunisia
È importante chiedersi “cui prodest” una eventuale deriva totalitaria, chi potrebbe trarne vantaggio. Non certo il popolo tunisino, che vedrebbe un fallimento della propria rivoluzione e sicuramente vedrebbe ridursi gli aiuti che oggi riceve dall’Europa e da altri Paesi, mentre gli interessi internazionali possono essere diversi, ma come esempio ci limitiamo all’Egitto e alla Turchia.
L’Egitto sostiene la Tunisia perché confinante con la Libia, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo e per i suoi buoni rapporti con l’Europa e col mondo occidentale, ecc.
La Turchia cerca invece di allargare il suo controllo sul Mediterraneo, oltre quanto ha già fatto nell’Africa centrale e, per tale motivo, la Tunisia potrebbe assumere un ruolo importante anche per i suoi noti buoni rapporti col mondo occidentale. Ma per fare ciò la Turchia deve avere il sostegno della Fratellanza Musulmana, il movimento integralista islamico che, seppur originario dall’Egitto, dove rappresenta il più forte gruppo di opposizione al governo, ha avuto negli anni scorsi forti sostegni finanziari anche dalla Turchia e dal Qatar. Come ben noto questa formazione politica teorizza lo Stato islamico, senza porre sostanziali differenze tra la sfera religiosa e quella politica.
Per raggiungere tale obiettivo, dunque, la via migliore per la Turchia potrebbe essere rappresentata dal sostegno da dare alla linea politica del partito Ennahda, molto vicina ai Fratelli Musulmani, il cui maggiore esponente è proprio Rashid Ghannushi, Presidente del Parlamento tunisino fino a luglio 2021 quando il Presidente Saïed ha sospeso il parlamento e assunto l’autorità esecutiva del Paese.
Dunque, l’azione del Presidente della Repubblica potrebbe avere anche il significato di porre una forte limitazione al potere della Fratellanza Musulmana in Tunisia e contestualmente e all’influenza turca sul Nord Africa.
Purtroppo, col passare del tempo un’ampia parte della popolazione, ancorché concorde con le azioni di Saïed, non avendo constatato alcun miglioramento concreto sulle condizioni di crisi del Paese, ha dato vita a continue manifestazioni di protesta alle quali hanno partecipato non più solo gli avversari politici, ma anche una parte degli elettori che hanno sostenuto Saïed, distinguendo nettamente il gradimento verso il Presidente con i risultati del Governo.
La mancata politica degli investimenti produttivi
Dalla rivolta del 2010 in Tunisia c’è stato un crollo degli investimenti produttivi che ha causato un forte indebitamento pubblico, con una vistosa svalutazione della moneta locale (allo stato attuale un euro è cambiato con circa 3,2 dinari, nel 2010 con circa 2 dinari). Forse occorrerebbe una maggiore attenzione ad economizzare, nei limiti possibili, alcune spese correnti e privilegiare le spese di investimento che sono quelle potenzialmente produttive.
La mancanza di credibilità e sicurezza che hanno fornito i diversi governi nel decennio scorso ha allontanato gli investitori che, ai tempi del Presidente Ben Alì, avevano programmato e in parte realizzato interventi di dimensioni eccezionali che avevano ridotto la disoccupazione.
Come è stato già scritto da diverse fonti, forse in Tunisia l’errore più grande, nell’immediato periodo post Ben Ali, è stato quello di “buttare via il bambino con l'acqua sporca”, cioè di non aver saputo mantenere in attività lavorativa tutte quelle risorse umane che avevano portato il Paese ad un alto livello di competitività nei diversi settori dell’economia. Infatti, sotto il governo “Ben Alì” sono state molte le cose da criticare, ma senza dubbio bisogna ammettere che la struttura amministrativa dello Stato funzionava bene, con persone preparate e ben formate che facevano funzionare l’assetto burocratico al punto tale da avere anche dei settori, come quello dell’industria, del turismo e della tutela e rispetto dell’ambiente che hanno rappresentato per anni un vero orgoglio tunisino.
Non avere continuato con l’assetto tecnico-amministrativo di comprovata efficienza ha certamente frenato fortemente lo sviluppo della Tunisia. Si sente ancora l’eco dei grandi progetti di diversi miliardi di dollari proposti da investitori stranieri che credevano nella Tunisia, alcuni con accordi già sottoscritti col governo e altri in corso di trattazione. Programmi che stavano innescando un circuito virtuoso a spirale che spingeva sempre più operatori stranieri ad interessarsi della Tunisia.
Riflessioni finali
È vero che il post Primavera Araba in Tunisia è stato segnato da un continuo cambiamento di governi, ma ciò può essere interpretato come la ricerca della strada più percorribile per il forte cambiamento che si spera di dare al Paese. Un cambiamento che, come si sta constatando, non è di facile attuazione perché ci saranno sempre, in maniera vistosa o nascosta, delle forti resistenze interne ed esterne al Paese.
Purtroppo, in Tunisia la primavera non è ancora arrivata e anche se il popolo ha continuato a dare fiducia a Kaïs Saïed e al nuovo governo il clima sociale si è deteriorato in attesa di un segnale di ripresa economica che non potrà più tardare ad arrivare.
La Tunisia sta vivendo momenti di gravi difficoltà generali maggiori di quelli che hanno spinto il popolo alla rivolta. Nel Paese c’è una situazione economica ai limiti della sopportazione, un incremento della disoccupazione, una situazione sanitaria carente fortemente aggravata dalla ben nota pandemia, una forte evasione fiscale, una costante emigrazione di giovani e una carenza di investimenti produttivi.
Il popolo tunisino ha comunque da sempre manifestato grande capacità e grande spirito di adattamento, ha saputo superare altre crisi economiche e anche periodi di cruenti atti terroristici da parte dello Stato Islamico, dall’attacco a Kasserine del 2014, a quelli del 2015 al Bardo e Hammamet e altri ancora, anche se di minore impatto, fino al recente attacco terroristico contro una pattuglia della polizia a Douz del 4 gennaio 2022. È un popolo che non demorde.
La grande maggioranza della popolazione ha esultato per le coraggiose e forti azioni iniziali del Presidente Saïed, ha apprezzato il suo coraggio e la sua determinazione e tutt’ora è in lui fiduciosa, ma nello stesso tempo continua a manifestare, in modo sempre più pressante, la propria stanchezza, insofferenza e preoccupazione, poiché le criticità del Paese restano immutate.
Il Paese attende le urgenti risposte sulla politica degli investimenti produttivi con programmi chiari e mirati e l’apertura di un maggiore dialogo con le forze sociali, evitando che vengano fatte azioni che potrebbero interferire con la libertà democratica a cui aspira il popolo tunisino, avviandolo invece verso un regime autoritario.
Se, a breve termine, non ci saranno cambiamenti tangibili nelle azioni del governo, è legittimo chiedersi: il popolo tunisino attenderà il dicembre 2022 per le elezioni o sarà costretto a chiedere l’anticipazione di tale data?
1 Afrobarometer è un istituto di ricerca apartitico e panafricano che conduce indagini a ciclo regolare sull'atteggiamento del pubblico sulla democrazia, la governance, l'economia e la società in oltre 30 Paesi.