Se cerchiamo il carattere della città nella sua storia e nei suoi monumenti, il Teatro Magnani è un esempio eloquente. Borgo San Donnino nell’Ottocento e poi Fidenza sono ben rappresentate nella vicenda della fabbrica teatrale che sorse in luogo della chiesa di San Francesco penalizzata dalle soppressioni napoleoniche.

Costruito anche con materiali di recupero provenienti dalla demolizione del convento di San Giovanni, l’impianto prese avvio nel 1812 quando si costituì una associazione di trentanove notabili borghigiani che affidarono il progetto all’architetto neoclassico Nicola Bettoli. L’impresa però si arenò e nonostante nel 1833 il consiglio comunale avesse espresso la volontà di subentrare nella proprietà, e quindi di portare a termine i lavori, non giunse l’autorizzazione dal governo di Maria Luigia e si dovette attendere la decisione favorevole di Carlo III di Borbone. Infatti il passaggio delle consegne dalla società dei palchettisti alla municipalità risale all’atto di approvazione del sovrano che a Parma nel 1853 aveva trasformato il teatro da Ducale a Regio e aveva nominato Girolamo Magnani direttore scenografo dopo avergli affidato l’incarico di rinnovare la decorazione della sala teatrale in occasione dell’ adeguamento ai più moderni sistemi di illuminazione a gas.

Così nel 1854 si riaprì anche il cantiere di Borgo San Donnino sotto la direzione del tecnico comunale Antonio Armanetti e con il controllo di una apposita Commissione di vigilanza. E quando ormai si temeva di non poter proseguire l’opera a causa dei costi troppo elevati, giunse il ritrovamente inaspettato di sessantasei monete d’oro durante uno scavo, nell’area del palcoscenico, che portò in luce una antica sepoltura. Il ricavato dalla vendita di quel tesoretto, decisa dal Consiglio comunale, contribuì alla conclusione dei lavori, sempre sotto la supervisione di Girolamo Magnani, il pittore di scene e decoratore di importanti fabbriche teatrali che era nato a Borgo San Donnino nel 1815 e che nei confronti della città natale e dei concittadini nutriva particolare riconoscenza. Era stato infatti il loro sostegno economico a permettergli di intraprendere gli studi all’Accademia di Parma, dove peraltro dal 1848 era stato nominato professore di ornato, modellato e dipinto.

Sicché Magnani, proprio negli anni in cui era particolarmente coinvolto nella decorazione di spazi teatrali (dopo il nuovo municipale di Reggio Emilia inaugurato nel 1857 era stato chiamato anche al municipale di Piacenza) seguiva la costruzione del teatro di Borgo fornendo con sicura competenza i consigli tecnici per ottenere i migliori risultati sul piano della funzionalità e dell’acustica.

Nel marzo del 1861, incaricato ufficialmente di predisporre tutti gli interventi di decorazione e ornato, elaborò un programma omogeneo che collegava i vari ambienti secondo un disegno iconografico fedele alla tradizione allegorica neoclassica, ma rivisitato attraverso il gusto dell’eclettismo neobarocco e neorococò, con una accentuata esuberanza per cornici e modanature dorate in contrasto con il fondo bianco nei parapetti dei palchi e l’azzurro intenso dei cieli dipinti sui soffitti. E ora il recupero della camera acustica giunge a completare un articolato impianto ornamentale ed estetico, contribuendo ad accrescere l’illusionistico del trompe l’oeil che amplifica l’effetto di meraviglia e straniamento a cui è sottoposto lo sguardo degli spettatori. La sala dipinta da allestire sul palcoscenico coniuga le tecniche della scenografia e dell’ornamentazione di cui Girolamo Magnani era maestro riconosciuto dai contemporanei, e non solo fornisce informazioni inedite per la comprensione della tradizione teatrale a Borgo San Donnino nell’Ottocento, ma soprattutto viene a colmare, in parte, la dispersione di tante scene dipinte restituendo un manufatto di notevoli dimensioni, integralmente salvaguardato e funzionante.

Commissionata nel 1871, dieci anni dopo l’inaugurazione ufficiale del teatro, per essere utilizzata come sala da ballo in occasione dei veglioni di carnevale, la camera acustica ha le caratteristiche di una “scena parapettata”, termine proprio della scenotecnica, che sottende l’insieme di fianchi collegati tra loro da un telaio, in modo da chiudere completamente i tre lati e spesso concluso da un plafone. E alla fine si presenta come un salone allestito sul palcoscenico mediante grandi tele incernierate e congegnate in modo da apparire le pareti e il soffitto di un’altra ampia stanza che si proietta oltre la platea.

Sicuramente venne utilizzata per i due veglioni proposti nel decennale del teatro - che fu festeggiato con l’opera “La contessa D’Altemberg” appositamente composta dal maestro Giovanni Rossi - e ancora negli anni seguenti poiché, come aveva scritto nella sua relazione al Consiglio Comunale il Sindaco Giuseppe Chiarpa nella seduta del 10 gennaio 1871, alla tradizione dei veglioni era molto affezionata la popolazione che “vi accorreva sempre numerosissima”. Nel Novecento le tele risultano essere state utilizzate fino alla fine degli anni Cinquanta e, in base alla documentazione fotografica, possiamo supporre che sia prevalsa la funzione di camera acustica o comunque di fondale per l’attività concertistica. Ma si suppone che non sia più stata riproposta con il suo plafone. Il tema iconografico e i partiti decorativi alludono alla danza e lo ricordano soprattutto le figure a grisaille che evocano un corteo di ninfe alternate a due medaglioni color ocra dove sono riprese immagini femminili, probabilmente le Muse che presiedono alla musica e alla poesia già celebrate nell’atrio.

Sul plafone, dove il registro ironico rende particolarmente festosi i gesti dei piccoli geni delle arti che dalle nuvole si affacciano al centro della sala, lo stemma di Borgo San Donnino, ripreso ai quattro angoli della copertura, collega indissolubilmente questa macchina scenica alla città di Fidenza e al suo teatro.