Quando hai un figlio ti trovi i spesso a domandarti come sarà il mondo in cui vivrà. Quando hai un figlio dopo aver avuto un cancro ti trovi a farti più spesso del dovuto questa domanda e a chiederti anche come sarà il mondo in cui dovessi mai lasciarlo crescere senza di te.
Abbiamo assistito a un eclatante esempio pratico di butterfly effect attraverso l’esperienza del Covid: si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo.
Speravo che questo avrebbe reso la Terra un posto più umano, etico, empatico e altruistico, perché abbiamo visto la profonda connessione tra gli esseri umani e la necessità di allearsi, stare uniti e assumersi tutti la responsabilità sociale, gli uni per gli altri.
Invece il Covid ha semplicemente scoperchiato la vera natura delle persone e non ho visto alcun salto evolutivo ma solo una più netta distinzione tra egoismo e altruismo, tra arroganza e umiltà, tra utilitarismo e reciprocità, tra ignoranza e consapevolezza.
Il Covid ha miseramente svelato di più gli esseri umani per quello che sono e ha aumentano la separazione tra persone che stimo, a cui voglio bene e che frequento e quelle che non stimo e che non frequenterei mai nemmeno per caso. Il punto è che molte del primo gruppo, con mio grande dolore, sono migrate miseramente nella seconda categoria.
In questo Natale 2021 appena passato ho avuto una serie di spunti per le mie risposte. E non mi sono piaciuti per niente.
Sto vedendo un mondo pieno di principi ma vuoto di etica. Un mondo in cui si fanno continue lotte pro-qualcosa e contro-qualcosa che mi paiono però vuote di valori e non accompagnate da una comprensione profonda delle conseguenze sottostanti. Lotte fini a se stesse, come a mimare battaglie ben più significative che sono state fatte per i nostri diritti nei decenni precedenti: oggi mi sembrano fatte per sentirsi ribelli, per credere di star facendo qualcosa di nuovo e importante, oggi che fare qualcosa di nuovo e importante è così difficile.
Siamo troppo lontani dal dramma delle guerre mondiali per ricordarci davvero cosa vuol dire stare male e attivare quel senso di comunanza tra esseri umani, quella motivazione a costruire un mondo migliore.
La pandemia avrebbe potuto essere - attraverso il dolore che ha portato - uno sprone per essere davvero migliori, ma non è stato così. Perché alla fine molti, troppi, hanno affrontato il dramma chiusi nelle proprie gabbie dorate delle case, con tv, cibo portato a domicilio, Instagram e telefonino alla mano come in un lunghissimo weekend di abbruttimento sul divano.
Solo medici, infermieri, psicologi in prima linea hanno davvero fatto un’esperienza radicalmente differente.
Solo chi ha perso qualcuno, solo chi si è ammalato prima dell’arrivo dei vaccini. Solo chi ha vissuto esperienze importanti durante il lockdown che sono state totalmente svuotate della loro ricchezza emotiva, affettiva relazionale e di contatto umano. Solo chi ha tenuto il cuore aperto e ha guardato oltre il proprio naso ha potuto scoprire qualcosa di nuovo pur nel dolore.
Vedo un mondo pieno di benessere dove le persone non sanno più cosa è davvero il ben-essere, lo stare bene.
È il periodo storico col maggiore consumo di psicofarmaci e analgesici. Un mondo in cui anestetizzarsi è una pratica abituale e anzi socialmente rinforzata: anestesia da aperitivi, anestesia da weekend, anestesia da sesso, anestesia da cibo, anestesia da farmaci di automedicazione.
Un mondo in cui i nuovi tabu sono la solitudine, la tristezza, la sofferenza mentale, la malattia, la morte.
Non dire, non parlarne, non nominarle, fingi, mistifica sempre di più, fai viaggi, metti foto, fatti un altro selfie, usa Photoshop, acconciati, petto in fuori, donne e uomini: qui si vendono illusioni di potere e onnipotenza.
Un mondo in cui si inneggia alla libertà come un mantra, come un principio assoluto: libertà di genere, libertà di pensiero, libertà di opinione, ma mi pare che quello che davvero succede è che ognuno si sente libero di offendere e aggredire qualcun’altro solo perché la pensa diversamente. Quello che sapevo io da piccolina era che la tua libertà finisce dove comincia la mia. Mah…
Ho visto un Natale con più fila fuori dai centri per tamponi che fuori dalle gastronomie, e mi ha messo tanta tristezza.
Ho visto adulti, genitori, zii, nonni (chiariamo: in piena salute e vaccinati correttamente con tre dosi) non voler vedere figli e nipotini che venivano da lontano - figli e nipotini vaccinati e negativi - perché “se c’è qualche rischio meglio di no”.
Non giudico, ma rilevo i fatti.
Vorrei chiedere a queste persone se ricordano che la natura umana ha connaturato in sé il grande mistero della morte e se si rendono conto di essere fortunate a vivere in un’epoca in cui la salute pubblica è un bene comune, gratuito, pagato con le tasse di ciascuno di noi e in cui la famiglia e gli anziani sono un bene prezioso e una priorità sociale tutelata in ogni modo.
Tutto questo dovrebbe generare gratitudine e non egocentrismo.
La paura chiude il cuore e qui, spesso, quando si parla di Covid, subentrano aspetti irrazionali e primitivi che nulla c’entrano con la prevenzione sanitaria.
Non tornerà più l’affetto dei nipotini mai visti, mai torneranno i giorni persi senza vedersi e abbracciarsi e senza la sana naturale costruzione dei ricordi che lega gli esseri umani.
Di una cosa sono certa: se Dio mi concederà il privilegio di invecchiare (ed è davvero un privilegio quando ogni tot anni continui a fare biopsie) sceglierò sempre la relazione, il rapporto, la costruzione del legame e dei ricordi. Sempre. Sopra a tutto.
Vedo un mondo in cui ci si dà molto da fare, giustamente, per i diritti e l’accettazione delle famiglie arcobaleno, ma in cui non ho trovato un solo libro che parli di una semplice famiglia ricostruita.
Un uomo - o una donna - che si separa, che ha già dei figli e che costruisce una nuova famiglia con un’altra persona e fa un nuovo bimbo. Niente scalpore, niente battaglie di genere, niente temi pruriginosi: solo la vita. E l’avventura piena di amore e impegno e fatica di tenere tutto insieme, costruendo quotidianamente un nuovo equilibrio.
Ebbene non ho trovato nessun libro per bambini che lo spieghi e aiuti i protagonisti a viversi bene l’esperienza.
E allora dirai, se hai una visione talmente negativa, perché hai messo al mondo un figlio?
Infatti, non l’ho messo al mondo: è lui che ha scelto me e il suo papà per venire al mondo, senza se e senza ma, dimostrando già nella pancia il caratterino risoluto che oggi ha.
A 42 anni, con molte delle probabilità di diventare mamma portatemi via dal tumore e senza più la speranza di riuscirci, lui ha voluto proprio noi due. O meglio, noi due e tutto il nostro ingombrante bagaglio.
Certe tradizioni buddiste dicono che l’anima sceglie la famiglia in cui incarnarsi perché ciò ha a che fare con la propria evoluzione. La propria o la nostra, mi sa.
Forse in un angolo della mia mente comincio a intuire (e sperare) che sia proprio lui, mio figlio, a sapere esattamente come funziona tutto quanto, come funzionerà e cosa c’è da fare; che sia lui a insegnarmi come stare in questo difficile e complicato equilibrio; che sia lui con il suo sguardo sempre pieno di magia e stupore a farmi fare pace con questo mondo, che ora vedo così opaco e sporco. E comincio anche a pensare che forse su certe cose potrò farmi guidare da lui e potrò fidarmi del suo singolare, unico, modo di mettersi comodo proprio in questo mondo.
Che poi non sarà più neanche questo che vedo io.