Fate che il vostro spirito avventuroso vi porti sempre ad andare avanti per scoprire il mondo che vi circonda con le sue stranezze e le sue meraviglie. Scoprirlo significherà, per voi, amarlo.
(Kahlil Gibran, Il Profeta)
La prima volta che ho messo piede a Windhoek, capitale della Namibia, è stato per uno scalo tecnico durante un viaggio con destinazione Maun in Botswana. Girando per la città mi sono subito accorta che mi trovavo in un Paese complesso e anche contraddittorio.
La toponomastica, Kaiserstrasse (attualmente Viale dell’Indipendenza), era ancora presente a testimonianza di quando la Namibia è stata, sotto il Kaiser Guglielmo II e Bismarck, colonia tedesca.
La Christuskirche, chiesa luterana, storica pietra miliare di quel periodo, svettante in un cielo blu intenso nel centro della città, con le sue vetrate colorate e gli elementi in stile Art Nouveau, mi hanno fatto dimenticare di essere nel profondo Sud del continente africano. È stata costruita tra il 1907 e il 1910, in memoria delle guerre tra i tedeschi e la popolazione indigena.
Anche le sue strade sono plasmate da stili architettonici tipicamente tedeschi, come lo Jugendstil e l’Arte Neogotica.
Nelle bancarelle lungo la Kaiserstrasse gli oggetti erano esposti con ordine, molto lontano da quanto visto in altre città africane.
Mi chiedevo se mi trovassi in Africa e mi è sorto il desiderio di conoscere meglio questo Paese. Così appena ho potuto vi sono ritornata, dopo essermi informata della sua storia.
La Namibia è stata per anni parte integrante del Sudafrica.
Dal XV secolo esploratori e mercanti portoghesi utilizzarono questa terra come base per il rifornimento di provviste fresche e di acqua per le navi dirette alle Indie Orientali. Nel 1652 i mercanti della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, avuta notizia del clima, delle ricchezze del suolo e dei corsi d’acqua, vi sbarcarono e furono i primi europei a fondare una colonia in Africa, “Colonia del Capo Olandese”.
Nel 1684 giunsero in questa colonia altri pionieri dall’Olanda, mentre dalla Francia arrivarono le famiglie ugonotte che scappavano dalle persecuzioni religiose. I loro discendenti, che vengono denominati Afrikaner, erano contadini alla ricerca di terre da coltivare che strapparono con violenza agli antichi abitanti, fra cui gli Herero, i San o Boscimani e i Bantu.
Con la fine delle guerre tra Inghilterra ed Olanda (guerre che durarono per oltre un ventennio per il dominio commerciale nel nuovo mondo coloniale) il Capo divenne possedimento inglese.
La Conferenza di Berlino (1884-1885) ufficializzò l’annessione da parte della Germania dell’intero Paese che divenne un protettorato tedesco, denominato Africa del Sud Ovest.
Il malcontento delle popolazioni indigene si fece sentire presto. Gli Herero e i Nama iniziarono ad attaccare i possedimenti e le fattorie dei tedeschi, massacrando un centinaio di coloni, a cui seguì una spietata repressione tedesca che decimò tali popolazioni.
Con il trattato di Versailles del 1919, la Germania fu costretta a rinunciare a tutti i suoi possedimenti coloniali e nel 1920 la Società delle Nazioni - costituita durante la Conferenza di pace a Versailles nel 1919 - dichiarò che l’Africa del Sud Ovest sarebbe appartenuta all’Impero britannico, dando mandato nel 1922 al Sudafrica di amministrare il Paese. Il piano non venne però accettato dall’esercito sudafricano e ebbe inizio una vera e propria guerra, con interventi militari stranieri e contingenti di pace, che durò per anni. Solamente con l’intervento dell’ONU, nel 1989 fu raggiunto un accordo: l’esercito sudafricano avrebbe lasciato il Paese in cambio del ritiro delle truppe cubane dall’Angola. Il 21 marzo 1990 la Namibia venne proclamata indipendente.
Questo Paese mi ha colpito per la varietà e i contrasti dei suoi paesaggi e conoscere la sua popolazione è stato un tuffo nel passato.
Gli Himba incontrati nel Kaokoland ci hanno accolto con molta curiosità. Pastori nomadi, discendenti di un gruppo di Herero, vivono in una landa inospitale che ha permesso loro di mantenere nei secoli inalterate le tradizioni. Come quelle delle donne, di straordinaria bellezza, che sin da piccole indossano solo un gonnellino di pelle di capra e hanno il corpo completamente coperto da un impasto di polvere d’ocra, erbe e burro che dona loro un colore rossastro e che serve per proteggere la pelle dalle punture degli insetti e dalle scottature.
Gli Herero le cui donne, le sposate e le anziane, mi hanno sorpreso perché ancora indossano tutti i giorni gli ohorokova (abiti tradizionali a collo alto con gonne voluminose e sottovesti realizzate con 10 metri di tessuto) e un copricapo cornuto orizzontale chiamato otjikaiva. Abbigliamento imposto dalle mogli dei pastori luterani per coprire le nudità. Ora è indossato anche in memoria del loro genocidio, il primo del ventesimo secolo, avvenuto tra il 1904 e il 1908. Si dice che ci furono tra le 60 e le 80 mila vittime (circa l’80% degli Herero e il 50% dei Nama). Solo nel maggio 2021, dopo oltre sei anni di negoziati, il governo tedesco ha firmato un accordo di riconciliazione con la Namibia in cui ha riconosciuto ufficialmente il genocidio.
Nel deserto del Kalahari ho comprato dei cestini di paglia di diversa dimensione che i Boscimani, con abilità e velocità, creavano all’istante con della paglia che richiamava le sfumature del loro deserto.
I Boscimani o San è un popolo antico di oltre 20.000 anni che, secondo un’accreditata teoria scientifica, discenderebbe addirittura dalla prima Eva mitocondriale (nome assegnato alla presunta antenata comune dalla quale tutti gli esseri umani viventi discenderebbero in linea materna).
Della Namibia non mi hanno lasciato indifferente le savane, il maestoso Fish River Canyon che, secondo una leggenda San, era stato scavato da un serpente, le Pupa Falls in una sorta di oasi verde in mezzo al nulla, la Piana di Etosha con la sua varietà di animali, i dipinti rupestri e graffiti dell’età della pietra sulle rocce d’arenaria della valle di Etosha, la Skeleton Coast, tratto costiero dell’Atlantico, tra i più selvaggi e ostili del Paese, con le sue dune che si gettano in mare e i molti relitti di navi e gli scheletri di grossi cetacei, disseminati sulla spiaggia.
Ho ammirato le dune più alte e spettacolari al mondo, fra cui la numero 45, del deserto del Namib , ‘luogo vasto ’ nella lingua del popolo Nama che vi abita. Sono rimasta stupita che, nonostante l’estrema aridità, il deserto del Namib, ritenuto il più antico del mondo, ospitasse numerose specie endemiche vegetali fra cui la particolare Welwitschia mirabilis, le cui foglie sono nastri verdi che crescono continuamente dalla base.
Ma quello che non mi aspettavo è stata la città fantasma di Kolmanskop, ‘la testa di Coleman’, sbucata da una nebbia sottile che si alzava dal mare. Il suo nome deriva dal primo tedesco che si è fermato, per la rottura del suo mezzo, nel Namib Naukluft National Park, il parco nazionale che comprende parte del deserto del Namib, dove poi sarebbe sorta la cittadina. Non lontano, in pieno deserto vicino ad un pozzo, è apparso un incredibile branco di wild horses, in un luogo non usuale per quegli animali. Ho poi appreso che sono i cavalli inselvatichiti che discendono da quelli importati dai primi coloni tedeschi e boeri, e poi abbandonati al loro destino come la cittadina.
Kolmanskop, a pochi km dall'Atlantico, sperduta nel nulla di un deserto di dune sabbiose il cui colore varia man mano che ci si allontana dal mare, mi ha affascinato per la sua storia e mi ha ricordato le cittadine dei pionieri. Si trova non lontano da Lüderitz, piccola cittadina costiera del Sud della Namibia, dall’architettura coloniale e ricca di fauna selvatica tra cui foche, pinguini e fenicotteri.
La sua storia è iniziata nel 1908 con il ritrovamento di una pietra lucente che risultò essere un diamante. Prima era solo una piccola stazione sulla linea ferroviaria tra Lüderitz e Keetmanshoop.
La notizia non rimase a lungo segreta e ben presto diede vita ad una corsa all'oro nel deserto della Namibia con orde di cercatori di diamanti e avventurieri che decisero di stabilirsi nella zona alla ricerca dell'"Eldorado africano".
Kolmanskop si sviluppò in pochi anni diventando la città più ricca dell'Africa e una delle città più ricche del mondo.
Molti minatori tedeschi vi si stabilirono e, dopo che il governo tedesco la dichiarò Sperrgebiet, ‘zona riservata’, cominciarono a sfruttare i campi di diamanti e costruirono una città in stile architettonico tedesco, dotandola di servizi tra cui un ospedale, una sala da ballo, un pista da bowling, una centrale elettrica, una scuola, un teatro, un casinò, un impianto di produzione di ghiaccio e pure il tram, il primo in Africa. Venne anche potenziata la ferrovia per Lüderitz, città isolata, che deve la sua esistenza alla scoperta dei diamanti ed è sopravvissuta grazie alla sua attività di pesca. Kolmanskop invece, con la diminuzione dell'attività estrattiva dei diamanti, trovati altri filoni più a sud, fu gradualmente abbandonata a partire dal 1938. L'ultimo abitante ha lasciato Kolmanskop nel 1956.
Camminando per quel che resta di Kolmanskop, in un silenzio che avvolgeva tutto, non ho saputo decifrare il mio stato d’animo: stupore, ammirazione, inquietudine. Sono riuscita a cogliere ancora alcuni aspetti della vita dei suoi abitanti.
La sabbia del deserto ha creato dune dentro e intorno agli edifici, seppellendone alcuni quasi completamente. Altri sono ancora per metà visibili. È stata una strana sensazione dover scavalcare una duna per passare da una stanza all’altra, o salire su una duna ammucchiata all'esterno di una casa per raggiungere il davanzale della finestra dell'ultimo piano ed entrare in quella che una volta era la camera da letto principale.
Alcuni edifici contengono attrezzature delle passate attività. Nella sala di bowling, con la pista a due corsie, in parte sommerse dalla sabbia, e la tipica palla abbandonata in un angolo, ho immaginato i minatori che, alla fine della giornata dedicata all’estrazione dei diamanti, si rilassavano giocando e bevendo pinte di birra.
Ho lasciato la Namibia con tanto negli occhi e con la scoperta della Città Fantasma di Kolmanskop con il suo silenzio che emana un fascino tutto particolare, carico di storia.