Il viaggio in Giordania mi ha fatto toccare luoghi della Bibbia e del Vangelo, delle occupazioni persiana, romana, araba e turca, camminare fra i silenzi dei deserti e delle gole rocciose, immaginare il suono delle voci delle carovane e dei caravanserragli e i fragori delle battaglie dei Crociati e godere dei sorrisi e della gentilezza della gente.
Ho realizzato anche il sogno di visitare i resti delle fortezze dei Crociati, affascinata sin da piccola dai racconti delle loro gesta. Forse perché influenzata da quanto circolava in famiglia, si diceva che avessimo antenati crociati, o forse di più dagli spettacoli dei Pupi che mi riportavano alle battaglie di Orlando, Rinaldo e del Feroce Saladino, (Salāḥ al-Dīn Ibn Ayyūb), il re musulmano curdo, governatore della Siria e dell'Egitto.
Sono riuscita anche a visitare i “Castelli del deserto”, fra cui il forte di Azraq che Lawrence d’Arabia ha utilizzato come quartier generale durante la Rivolta Araba. Altra figura che aveva colpito la mia immaginazione per le sue imprese.
Ho iniziato la visita dei Castelli dei Crociati percorrendo, con una guida locale e due amici, la panoramica Strada dei Re che si snoda da Amman per quasi 300 chilometri nel cuore della Giordania e arriva a Petra fra tornanti che disegnano canyon mozzafiato e attraversa deserti e antichi villaggi.
È stato tuffarsi nel passato. Il tragitto è disseminato dai resti di fortezze e avamposti della tradizione architettonica e militare dell'epopea crociata, i più importanti dei quali sono i Castelli di Kerak e di Showbak.
Abbiamo raggiunto la città di Kerak, i cui primi insediamenti abitativi sono riconducibili all’età del Ferro. Capitale del regno Moabito intorno al 900 a.C., venne dapprima conquistata dai Nabatei e successivamente dai Romani che se ne impadronirono intorno al 105 d.C. Sotto il controllo dei Bizantini, l’avamposto crebbe per dimensioni e importanza. L’influenza della religione cristiana perdurò anche dopo l’avvento dell’Islam e del popolo arabo, trasformandola in una roccaforte cristiana durante il periodo delle Crociate. Ne è testimonianza il suo Grande Castello Crociato.
Il Castello di Kerak, Crac dei Moabiti o Kerak di Moab, fu costruito, per iniziativa di Pagano vassallo del re Folco, dai soldati in marcia verso Gerusalemme su un antico insediamento moabita. Sorge su un’altura di 900 metri e domina tutta la vallata. Questa fortificazione ospitava e proteggeva le comunità di religione cristiana ancor prima delle Campagne crociate in Terra Santa.
I Crociati impiegarono circa vent'anni, dal 1141 al 1161 d.C., per erigere l'imponente castello. Una volta terminato diventò la residenza dei sovrani dell’Oltregiordano (nome usato nel periodo delle Crociate per identificare un’area a Est del fiume Giordano). Era considerato allora il più importante feudo dei Crociati.
Sono stata colpita dalle sue dimensioni; si sviluppa per una lunghezza totale di 220 metri e una larghezza di 125 metri sul lato Nord e di 40 metri sul lato Sud. Le sue possenti mura, in pietra locale, sono fornite di feritoie e torri di guardia per l’artiglieria e un profondo fossato lo circonda.
Percorrendo il ponte in legno e oltrepassando il fossato, siamo entrati nel Castello attraversando la monumentale Porta Ottomana. Dalla Galleria dei Crociati, sede un tempo delle vecchie scuderie, con una scalinata abbiamo raggiunto la Porta dei Crociati, già ingresso principale.
Abbiamo trovato, sulla parete settentrionale, il bassorilievo che risale al II secolo d.C. ed è una rara testimonianza di arte funeraria Nabatea e non del Saladino, come per parecchio tempo è stato ritenuto.
Nel museo del castello ho ammirato i reperti risalenti alle battaglie tra Rinaldo di Chatillon e il Saladino e ho rivissuto le loro gesta.
Rinaldo, signore dell'Oltregiordano, usò la sua posizione per attaccare pellegrini e carovane e minacciò di distruzione la stessa Mecca, provocando nel 1187 l'invasione del regno da parte di Saladino che lo giustiziò il 4 luglio dello stesso anno, dopo la battaglia di Hattin. Nel 1189 Saladino conquistò l'intero Oltregiordano.
Mi sono immaginata squilli di trombe, rumori di metalli, vocio e sventolio di vessilli pieni di stemmi colorati, fra tutti la Croce di San Giorgio: una croce rossa in campo bianco, utilizzata dai Crociati.
Il Castello di Kerak divenne poi possedimento Ayyubide, una dinastia il cui nome deriva dal genitore di Saladino, Ayyūb (Giobbe), passando successivamente ai Mamelucchi. Nel 1840 Ibrāhīm Pāshā d'Egitto lo conquistò e distrusse gran parte delle sue fortificazioni.
Il Castello di Shobak, chiamato Mons Realis (o Montréal, ovvero la Montagna Reale), ci è apparso in cima a una collina che domina tutto il Wadi Araba (valle di origine fluviale). La zona collinare e il paesaggio intorno sono da mozzafiato.
Quello che è rimasto del castello è meno spettacolare, ma il sito è di importanza storica. Costruito, per volere del re crociato Baldovino I nel 1115 d.C. per controllare le rotte commerciali tra l'Egitto e la Siria, ha subito numerosi attacchi da parte delle armate di Saladino prima di soccombere definitivamente nel 1189 d.C. dopo un assedio durato 18 mesi.
Un pozzo molto profondo (di circa 70 metri) aveva permesso agli abitanti del Castello di Shobak di sopportare lunghi assedi, poi nel XIV secolo fu occupato dai Mamelucchi.
Appena superato l’ingresso, sopra una porta del muro orientale abbiamo notato una malandata incisione che raffigura la Croce che i cavalieri cristiani, partecipanti a una delle Crociate, portavano cucita o dipinta sui propri abiti.
Percorsa la salita, che parte dall’ingresso, si trova una chiesa restaurata che ha un’elegante abside sostenuta da due piccole nicchie.
Sotto la chiesa si estendono le catacombe, che contengono tavolette islamiche, qualche scultura cristiana, grandi pietre sferiche utilizzate per le catapulte e quello che forse fu trono del Saladino, come ci ha riferito il custode del Castello.
Ci siamo diretti poi a Est di Amman per percorrere parte del deserto sassoso che arriva fino all’Iraq e l’Arabia Saudita e che è costellato di suggestive rovine di forti, padiglioni di caccia e caravanserragli, noti come “Castelli del deserto”.
Mi chiedevo perché dei palazzi, costruiti tra il 660 ed il 750 d.C. dagli Omayyadi all’inizio dell’Islam e che erano riccamente decorati con mosaici e affreschi ispirati alle migliori tradizioni persiane e greco-romane, fossero stati edificati in un’area così inospitale.
La guida mi ha spiegato che i sovrani usavano questi edifici per sfuggire alle epidemie che dilagavano nelle città e per passare, nello spirito beduino legato al deserto, giornate di caccia e di piacere nelle oasi artificiali che li circondavano. Venivano usati anche dai pellegrini che si dirigevano verso la Mecca e dai mercanti, diretti con le carovane a Damasco, come luoghi di ristoro. Cosa che ho avuto modo di verificare visitando gli ambienti dei Castelli di Qasr Al Azraq, di Qasr Haraneh e soprattutto quelli del Qasr Amra.
Quest’ultimo, Patrimonio dell’Umanità Unesco, è stato costruito all'inizio dell'VIII secolo accanto al Wadi Butum, un corso d'acqua stagionale. Era sia una fortezza con una guarnigione che una residenza, palazzo di piacere del califfato omayyade, e fungeva anche da caravanserraglio. Ho ammirato gli affreschi dell'edificio, delle sue terme e della sala di ricevimento. Unici per l'architettura islamica del periodo omayyade, si tratta di ritratti in stile bizantino, scene di caccia, raffigurazioni di animali e uccelli e sono accompagnati da iscrizioni in greco e arabo. Mi ha colpito particolarmente la volta celeste sul soffitto a cupola del calidarium. Si tratta di uno dei primi tentativi noti di rappresentare l’universo su una superficie che non fosse piana.
Non tutti gli uomini sognano allo stesso modo, coloro che sognano di notte nei ripostigli polverosi della loro mente, scoprono al risveglio la vanità di quelle immagini, ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi perché può darsi che recitino i loro sogni ad occhi aperti per attuarli… fu ciò che io feci… Io intendevo creare una Nazione nuova, ristabilire un’influenza decaduta, dare a venti milioni di Semiti la base sulla quale costruire un ispirato palazzo di sogni per il loro pensiero nazionale.
Il colonnello Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto come Lawrence d'Arabia, il “re senza corona degli arabi”, in questa citazione, tratta dal suo libro autobiografico I sette pilastri della saggezza, ha rappresentato la sua vita avventurosa, parte trascorsa nel Qasr Al Azraq, dove stabilì il quartier generale nell’inverno del 1917-1918 durante la Rivolta Araba contro i Turchi.
Nel panorama che si perde a vista d’occhio tra le dune di sabbia e qualche strato di roccia vulcanica dal colore nero pece, mi è apparso il Qasr al-Azraq, il cui nome significa “Castello blu”, sorto in un sito Nabateao, caduto nel III secolo d.C. sotto il controllo dell'Impero Romano, che vi costruì una struttura utilizzando il basalto locale. Al centro del cortile sorge una piccola moschea rivolta verso la Mecca risalente al periodo Ayyubide (inizio del XIII secolo), edificata sui ruderi di una chiesa bizantina.
Entrando nella stanza che è stata la camera di E.T. Lawrence, ho ripensato alle imprese e alla figura di questo personaggio, eroe romantico entrato nella leggenda. Ufficiale dei servizi segreti di Sua Maestà britannica, paladino del nazionalismo arabo, è stato uno dei capi della rivolta araba di inizio Novecento. Decorato con la Légion d'honneur per la sua attività militare, è stato anche archeologo e uomo di cultura: tradusse l’Odissea di Omero.
Ultima tappa desertica, prima di tornare ad Amman, è stata la visita al Qasr al-Harraneh. Il suo scopo non è stato individuato con certezza. L’interpretazione più verosimile sembra quella di un sito utilizzato dagli Omayydi per gli incontri di campagna con i capi beduini. Certo è che si tratta di una costruzione dell’era islamica edificata intorno al 700 d.C. in un sito già occupato da altre costruzioni romane o bizantine.
Dal tetto dell’edificio ho ammirato, nel silenzio più assoluto, il panorama desertico che sempre mi affascina.