Quale autoritratto per parlare di lei ?
All’apparenza sono mite, ma dentro di me arde un fuoco, chi mi conosce lo sa bene. Sono determinata, con un forte senso della giustizia e difficilmente mi piego di fronte a ciò che ritengo sbagliato.
Essere mamma mi ha insegnato la pazienza e la soddisfazione che viene dal dedicare il proprio tempo a un compito minuzioso e costante come quello dell’educazione dei figli. Più coltivo la mia fede più mi sento libera perchè cerco sempre di agire per un’ideale più alto e sento una grande responsabilità verso il prossimo. So di aver ricevuto tanto nella vita e voglio donare il più possibile a mia volta.
Mi stupisce che i miei pazienti mi ringrazino per la mia gentilezza. Non mi sento più gentile del dovuto, credo piuttosto che molti colleghi non lo siano abbastanza. Cerco di trasmettere pace e positività perchè sono fermamente convinta che la cura e la guarigione passino attraverso l’amore e non la paura.
Da dove è scaturita la passione per la medicina?
Sin da piccola sono sempre stata affascinata dal mio medico, il Dott. Grewati luminare della medicina omeopatica italiana, anche se ai tempi non lo sapevo. Quando gli ho detto che avrei voluto studiare medicina e lui mi ha risposto “ti insegno io” non ci ho pensato due volte, avrei imparato i suoi segreti, mi avrebbe aperto la porta di quel suo profondo sapere. Mi affascinava tantissimo come riuscisse a percepire anche le più remote increspature dell’animo, quasi come se ti leggesse nel pensiero.
E quindi la scelta dell'omeopatia.
È venuta da sè. L’omeopatia era la medicina che conoscevo, quella con cui si curava tutta la mia famiglia da quando ne ho ricordo, per me era del tutto naturale, non sapevo di fare una scelta così controcorrente. La vera sfida è stata approcciarmi al sistema medico convenzionale. L'ho studiato a fondo, talvolta con difficoltà nel comprendere perché dei malati si considerasse solo il corpo e per di più a pezzi separati l’uno dall’altro, come se non esistesse una continuità sistemica e soprattutto come se l'organismo fosse completamente scisso dalla sfera emotiva e spirituale.
Essere omeopata unicista… cosa significa?
L’omeopatia unicista è l’omeopatia classica che prescrive un solo farmaco alla volta basandosi sul quadro completo dei sintomi del paziente. È l’unica omeopatia che davvero vede la persona in modo olistico nella sua interezza psico-fisica e dà una terapia su misura per riequilibrare l’organismo globalmente.
E i rimedi omeopatici - per le singole problematiche - vengono bypassati o si possono integrare?
I rimedi omeopatici per un solo sintomo sono di solito composti oppure esiste una scuola omeopatica, quella francese, definita appunto pluralista che dà molti farmaci insieme lasciando che ogni sostanza agisca solo su uno o pochi sintomi. Questo può aiutare ad alleviare i sintomi ma non porta alla guarigione profonda e duratura della persona, perciò a mio parere va evitato.
È come usare i farmaci preparati omeopaticamente ma secondo la filosofia della medicina convenzionale, uno spreco, perchè spesso così l’omeopatia non funziona. È una medicina con principi terapeutici precisi che devono essere applicati.
In seguito ecco farsi avanti la curiosità per l'agopuntura.
Anche l’agopuntura è un lascito del mio maestro, ma ho deciso di approfondirne lo studio quando ho incontrato il Dr. Natour, preside della scuola di agopuntura di Genova durante i miei studi di medicina, altra grande fonte di ispirazione.
C'è un legame tra omeopatia e agopuntura?
La medicina tradizionale cinese, pur essendo un sistema terapeutico sviluppato in tempi e luoghi molto diversi da quelli dell’omeopatia, porta a conoscenze molto vicine e compatibili. Per questo affianco la terapia omeopatica all’uso dell’agopuntura, soprattutto nel trattamento del dolore e in gravidanza e parto dove gli effetti sono talmente immediati da sembrare miracolosi.
Nella sua vita ha fatto incontri molto importanti che hanno influenzato le sue scelte formative e professionali, una vita ricca di esperienze.
La nostra generazione si siede sulle spalle di giganti del sapere. Cerco sempre di avere l’umiltà di imparare e sono davvero grata di avere la possibilità di seguire grandi maestri di medicina e di vita.
Cosa ci può raccontare della sua lotta contro il Coronavirus?
Ho continuato a curare i miei pazienti con la medicina omeopatica in base ai sintomi che si presentavano, con attenzione alle peculiarità individuali. Intervenire precocemente aumentando le difese naturali del corpo permette di evitare complicanze nella stragrande maggioranza dei casi, invece è da evitare assolutamente di trascurare i primi segnali. Ogni infezione ha una modalità di attaccare l’organismo e dipende molto dalla persona che la contrae, che ne è il terreno in cui si sviluppa la replicazione virale. Scelgo la terapia mirata in base i sintomi, che sono il canale attraverso cui il corpo sta già lavorando per superare la malattia.
Cosa ne pensa della scelta di far fronte alla pandemia quasi unicamente col vaccino? Si poteva agire anche diversamente?
La mia visione è molto alternativa e poco conosciuta e non mi aspetto che si debba adottare l’omeopatia su scala globale, anche se è stata usata efficacemente in molte epidemie del passato. Per me cercare di sconfiggere un virus che muta continuamente con un vaccino è come cercare di uccidere un topo in casa mettendo una bomba: devasti la casa e non sei sicuro di aver preso il topo. Questo per spiegare che per ogni male bisogna trovare la soluzione proporzionata, mirata e sicura. Sono in linea con i colleghi che promuovono le terapie domiciliari precoci, hanno dimostrato che anche con la medicina convenzionale ci sono terapie efficaci che vanno date senza temporeggiare in base al quadro clinico del paziente.
La sua passione per curare si è estesa con particolare dedizione alle donne in difficoltà.
Essendo medico, donna e musulmana sono entrata in contatto con molte donne emarginate che chiedevano aiuto per le problematiche di salute e sociali più svariate. Da questo bisogno è emersa l’esigenza di creare uno spazio sicuro per l’aiuto e l’ascolto di chi è in difficoltà, così è nato Progetto Aisha.
Può raccontare in cosa consiste il progetto Aisha? Quali obiettivi, quali finalità, quali modalità di intervento?
Progetto Aisha è un’associazione nata per contrastare la violenza e la discriminazione contro le donne. La nostra missione è quella di valorizzare le donna, favorendo la sua libertà di scelta, la sua indipendenza sociale ed economica. Ci battiamo per una società nella quale le donne e gli uomini possano condividere diritti e doveri, godere di pari opportunità e vivere di mutuo aiuto e collaborazione.
Questo si traduce in numerose attività di formazione, sensibilizzazione e assistenza che va dal supporto psicologico a quello legale, con grande attenzione al benessere psico-fisico e sociale della donna. Offriamo gratuitamente alle nostre assistite arteterapia, cure omeopatiche, life coaching e molto altro.
La sua competenza si è esplicitata anche lavorando per Progetto Arca. Ce ne può parlare?
Ho lavorato per più di due anni presso il Post-acute per senza fissa dimora di Fondazione Progetto Arca. È un piccolo reparto territoriale dove accogliamo malati che non hanno possibilità di cure domiciliari, il tempo necessario alla stabilizzazione della loro situazione. È un luogo di cura straordinario dove la prima terapia consiste nel restituire agli uomini e le donne invisibili a tutti la loro dignità di persone. Spesso arrivano dall’ospedale dopo lunghi ricoveri in condizioni di igiene spaventose, anche solo aiutarli a fare una doccia, ammorbidire i calli dei loro piedi e lavare le loro cose migliora la loro salute. L’assistenza sanitaria è di alto livello nonostante le scarse risorse e i professionisti sono eccezionali. Si è a contatto con persone con patologie sempre più croniche e invalidanti, tossicodipendenze, invalidità e fragilità psichiatriche. Persone che hanno solo un bagaglio o un sacchetto di vestiti e la loro storia sulle spalle. È una scuola di vita ogni giorno.
I suoi impegni evidenziano chiaramente una forte attenzione per il sociale, anzi la sua attività è intrinsecamente fatta di cura per il corpo, inteso anche come corpo sociale.
La cura non è disgiunta dall'interesse per la collettività, in particolare per la collettività sofferente. Ciascuno di noi ha tre sfere molto importanti di cui prendersi cura: personale, familiare e sociale. La prima comprende sia il corpo fisico sia la vita spirituale e va curata nella sua interezza. Tuttavia la malattia non è solo un problema da ascrivere all’individuo, si può ammalare un’intera famiglia e anche la società. Per questo la malattia è anche un problema collettivo che va curato migliorando le condizioni di vita ogni singolo individuo.
Milano che tipo di attenzione mostra per il benessere dei cittadini, quale cura offre o potrebbe offrire per favorire lo star bene?
A Milano ci sono tante possibilità lavorative e buoni servizi, ma c’è ancora molto da fare. C’è purtroppo molta differenza tra cittadini e non cittadini nell’accesso alle cure. Ho visto con i miei occhi la povertà estrema e l’emarginazione, Milano offre servizi unici in tutta Italia per fare fronte alle fragilità ma non basta, ho conosciuto uomini che sono morti in strada per il freddo o sotto il sole di ferragosto, nella mia città non vorrei che succedesse. Sogno una città più solidale, con più luoghi di aggregazione sociale, senza alcuna forma di discriminazione.
Cosa vuol dire "stare bene"?
Prima di tutto amarsi e saper amare, poter esprimere al massimo le proprie qualità, essere grati e soddisfatti, avere una mente sana per valutare le priorità e un cuore limpido che sappia discernere il bene dal male.
Che proposte può suggerire perché si possa stare bene, in una buona relazione col proprio corpo così da poter vivere in armonia anche nel corpo sociale?
Penso per prima cosa all’educazione dei bambini. Sin da piccoli dovremmo imparare a conoscere noi stessi e la società in cui viviamo. Apprezzare la natura e l’ingegno umano, ascoltare il proprio corpo ed esprimere i propri sentimenti. I sintomi del corpo e gli stati d’animo non vanno mai soppressi ma compresi perchè ci parlano in un linguaggio semplice, simbolico e potente.
L’ingiustizia sociale è alla base delle malattie, per vivere in armonia è giusto denunciarla, agire per cambiare le cose, senza farsi mai sopraffarre dal senso di impotenza. Il primo passo verso la guarigione è la fiducia, perchè non esiste male senza rimedio.