Non è bene tacere e seder tranquilli
se non quando si è armati di freccia e di arco…(Friedrich Nietzsche, Zarathustra)
Dire la verità e tirare bene con l’arco, ecco la virtù persiana.
(Friedrich Nietzsche, Ecce Homo)
Raimondo. Come inizia il tuo interesse per l’arco? E per gli scacchi?
Giacomo. Guardando te mentre tiravamo con l’arco. Puoi apprezzare l’arco anche senza usarlo ma puoi iniziare a comprendere la profondità solo tirando. Ho notato che non miravi ma tiravi subito, scoccavi d’impeto. Ho capito che non dovevo correggerti ma imparare da te. La tua sicurezza e disinvoltura mi hanno attratto. Ho capito che dovevo tirare come gioco a scacchi: senza schemi e senza utilizzare i meccanismi del cervello.
Il nostro corpo, le mani, i nostri gesti, hanno una loro saggezza e una loro memoria. Lo vedi quando giochiamo a scacchi, come mi capiti, senza premeditarlo, di fare certe mosse di messa in scacco o di attacco, che chiamo “doppie” (o: “per sottrazione”). Anche nel tuo muovere vedo delle ritornanze. Questo accade perché il corpo ha una sua spiritualità e ci insegna, e ritorna. Nulla di più falso nel pensare che gli scacchi siano solo questione di mente razionale e di memoria. Ogni schema facilita certi movimenti ma pure rivela le intenzioni. Ragionare solo per schemi è come pensare che la realtà e la conoscenza sia inquadrabile in un test a risposta multipla. Quando ci muoviamo in profondità non utilizziamo solo la ragione. Mai. L’esercizio, anche selvaggio, possiede sempre una sua crescita, un’evoluzione. Come tu che quando pasticciavi da piccolo con il pianoforte avevo notato un tuo miglioramento nel tuo pasticciare: iniziavi a stonare di meno e dal caos sembrava emergere una qualche sorta di forma.
L’intuizione fu giusta e infatti è poi uscita una tua capacità pianistica seguendo le lezioni. Se noi pensiamo solo a mirare non ci esercitiamo con l’arco ma solo con un pensiero, che poi ci dà ansia. Occorre piuttosto pensare a “fare centro” ma il “fare centro” non dipende solo dal nostro pensiero altrimenti tireremmo pensando! Gli scacchi mi hanno sempre affascinato, prima di tutto visivamente. I pezzi sono bellissimi e la scacchiera è la tavola del mondo. Insegnano la cavalleria, come l’arco. Negli scacchi il re non muore, viene immobilizzato, viene crocefisso! I pezzi sono identici, la vita è comune. E cambiano continuamente le relazioni. Più giochi più le possibilità si restringono. Diventano più rare ma più intense. Come se aggiungi colpi sul medesimo bersaglio.
Nell’arco giapponese mi hai detto che c’è una parte maschile e una femminile. Che ne pensi?
Nulla. Accetto questa bellezza della tradizione giapponese. Posso associare la parte maschile, inferiore, ad una radice, e quella femminile, superiore, ad un fiore o ad un ala. Ma non vado oltre perché non conosco bene questa tradizione anche se ammiro la bellezza estetica e spirituale dell’arco giapponese e rispetto il suo valore. Non a caso è una delle arti sapienziali delle origini, fondamentale per la Tradizione, insieme alla spada, alla calligrafia, alla cerimonia del the e alla disposizione dei fiori.
L’arco è universale. Il Giappone ha la sua via all’arco, ma non è l’unica. Anche noi europei possiamo recuperare una spiritualità dell’arco. È quello che ho cercato di favorire scrivendo le pagine che sai e che seguono questa nostra conversazione. Se intendi dire se ci sia una “femminilità” e una “mascolinità” anche nell’arco occidentale posso pensare che sia possibile questa visione. Ma è una visione interpretativa, non tradizionale. Possiamo associare l’arco alla femmina per la sua elasticità e la freccia all’uomo per la sua rigidità. Possiamo dire che sia arco che freccia presentano componenti simbolicamente maschili e femminili. Possiamo recuperare una distinzione di James Hilmann tra animus e anima, tra lato attivo e passivo della spiritualità individuale e dire che l’arte dell’arco realizza le nozze fra Animus e Anima.
Freccia e arco sembrano intercambiabili in questo senso in quanto la freccia appare attiva e immagine di fuoco, quindi sembra richiamare Animus, che è un immagine di “vento” (spirito significa soffiare) mentre l’arco può indicare la dolcezza di Anima, ma forse è il bersaglio ad essere Anima, che attende il suo sposo: la freccia! Ci sono modi plurimi di percorrere un cerchio.
Ha senso un arco senza la freccia?
Bella domanda! Come arma militare non ha senso, a meno di usare l’arco quale bastone. Come esercizio ha poco senso ma c’è da dire che l’inizio dell’esercizio è proprio conoscere l’arco, brandirlo, toccarlo, entrare in confidenza con l’arco quale oggetto fisico. Certamente resta nell’arco solitario il suo valore di segno, di simbolo. Indica la volta del cielo e mi fa venire in mente il gioco dei buoi. Come sai oggi in molti ristoranti del territorio si usa come decorazione appendere alle pareti o al soffitto vecchi giochi di legno che erano usati per i buoi da aratura. Semplice decorazione? Non potrebbe anche essere un richiamo istintivo al giogo quale bilancia spirituale, quale segno cosmico?
Come il giogo anche l’arco presenta due parti simmetriche oppositive e unite. Possiamo dire che l’arco è un giogo verticale e il giogo è un arco orizzontale. Questa immagine mi sembra ora diventare un’immagine filosofica, grazie alla sua paradossalità e alla sua aura contemplativa. Come il non usare la spada nell’arte della spada. Ricordo al scena finale del film Hero, che insegnava questo paradosso. Se l’arco è solo la freccia diventa un “reale invisibile”, diventa un kòan, un aforisma sapiente, un’”idea-limite”, un varco. La freccia da sola invece appare ancora più solitaria. Ma ci fa capire che allora va impugnata come un pugnale o portata come un fiore. Ci fa capire che allora chi la porta diventa lui stesso arco. Bella domanda! Bravo!
Raimondo. Da dove viene l’idea di “vincere”, cioè di “fare centro”?
Giacomo. Da una parte penso che sia sempre esistita, come un archetipo vivente. Dall’altra viene certo dall’arco quale esercizio militare al fine di vincere una battaglia. La cristallizzazione di tale esercizio in un allenamento non più militare ha portato ad avere bersagli fissi. Arcieri fermi e bersagli fissi. Da una parte il “fare centro” quindi è una decadenza, un irrigidimento, un involuzione. Dall’altra coglie uno degli aspetti essenziali dell’arco quale arte, cioè l’aspetto del suo compimento, della sua destinazione. La freccia non deve andare persa, ma deve concludere il suo tragitto in modo bello e riconoscibile. Ecco un modo di vedere le cose, più sottilmente. Chiedersi il senso del bersaglio è anch’essa una buona domanda. Ma ogni arte rinvia al mistero.
Ogni arte sembra fondarsi dentro di se stessa, altrimenti sarebbe tecnica e non arte. L’idea del centro è più importante dell’idea di tirare in modo preciso. La precisione è relazionale. Il tiro cambia se muto posizione, se mi muovo. Ogni giorno l’arciere cambia e pure il bersaglio cambia, seppur più lentamente. L’idea del centro invece è essenziale, “centrale”, nell’arco, anche in assenza di un bersaglio fisso e anche in assenza di un bersaglio visibile. Possiamo dire che è già inclusa nell’arco ancora prima di scoccare. Se puoi “fare centro” allora c’è un centro e allora il tema finale e principale è l’Essere, e non il “fare”.
L’arco allora è una filosofia?
Ogni esercizio vissuto con consapevolezza e profondità ci fa crescere e se intendi come filosofia il diventare più saggi o il crescere nella coscienza allora certamente l’arco è operazione filosofica. Il tiro bello è il tiro pulito, sereno, equilibrato. Crescere con l’arco significa crescere in queste dimensioni apollinee. Non si tratta di una mera tecnica perché l’arco non è un mero oggetto, e non è solo uno strumento, ma pure un segno e un simbolo. Non solo: la struttura stessa dell’arco è tale che occorre imparare da essa, servirla. Certamente esiste un’etica e una spiritualità dall’arco e dalla freccia e nell’arco e nella freccia. Se ne ha conferma in quel grande racconto mitico-filosofico, seppur spesso delirante, che è lo Zarathustra di Nietzsche dove più volte si richiama l’immagine della freccia, sia quale simbolo del desiderio che quale emblema stesso del superamento dell’Io e dell’Uomo. Gli ideali di superamento dell’umanità tramite una nuova umanità vengono visualizzati da Nietzsche nell’immagine della freccia e in altre immagini simili come il fulmine e i raggi del sole.
Possiamo dire, banalizzando, che l’arco è una pratica filosofica in quanto pratica di “meditazione attiva”. Una sorta di “contemplazione in azione” o azione contemplativa. Il rito giapponese che prepara e conclude il rito lo indica chiaramente. Se non si intuisce il senso del rito si perde quasi tutto il fascino dell’arco. Ricorda che la filosofia nella storia nasce proprio dalla riflessione dal Mito e sul Mito. Anche questa nostra conversazione sull’arco è, da un certo punto di vista, filosofica, in quanto cerchiamo un Logos dentro un segno, cerchiamo dei significati e delle ragioni dentro la realtà, e una realtà molto antica quanto contemporanea.
Perché per te è importante? E ha valore per tutti?
Penso che sia bello scoccare con l’arco per lo stesso motivo per cui lo ritengo bello e educativo per tutti. Ai giovani insegna la saggezza e ai non giovani ricorda la giovinezza. Esercitarsi con l’arco richiede silenzio, solitudine interiore, raccoglimento. Queste sono le stesse condizioni dell’esercizio della virtù e sono il luogo della nobiltà d’animo. Tirare con l’arco attinge in modo puro, non emotivo, non sentimentale, alla dimensione dell’eroismo. Non a caso Eros, da cui viene la parola eroe, è un fanciullo arciere. Mentre ti prepari a tirare e mentre tiri sei di fronte a te stesso. È un atto di presenza e che avviene dentro una presenza. Lo specchio è sempre stato immagine della sapienza. L’arco insegna anche la bellezza della forma, del gesto perfetto, dell’atto compiuto pienamente, senza ombre o sbavature. Sapere tirare con l’arco, dicevano i Persiani, aveva a che fare con il conoscere la Verità. Cogliere la sapienza dell’arco è come vedere nel buio, conoscere la luce dentro la tenebra e l’ombra dentro la luce. Non a caso è segno amato anche da Eraclito. Insegna che ogni cosa ha un inizio, uno svolgimento e una fine.
Perché pensi che oggi sia importante praticare l’arco?
Perché l’arco è veloce, elegante e tende all’unità, insegna l’unità. Non c’è segno e attività più consona al ritmo e al timbro esistenziale attuale, insieme all’arte degli scacchi, similmente fatidica e inesorabile. Ogni mossa sulla scacchiera è come scagliare una freccia. Il mondo cambia. Non si torna indietro! C’è un senso di responsabilità in questo. Oggi viviamo in una dimensione sociale e tecnica che al contrario vuole diseducarci insegnandoci che siamo frammenti, siamo effimeri, siamo parti di un tutto indistinto e senza senso. L’arco invece insegna la saggezza mostrando l’effimero e la traccia. E lo insegna indicandolo nella velocità e nella preparazione. Chi oggi sa meditare? Chi oggi sa aspettare? Chi oggi sa programmare? L’arco insegna tutto in unità e lo fa nel silenzio, costringendoti a ritornare in te stesso. È la stessa struttura fisica dell’arco che rieduca il nostro pensiero e i nostri gesti. Non è un caso che l’arco e la freccia non siano cambiati in 20.000 anni, dalla loro raffigurazione di pittura rupestre ad oggi. Le cose prime e le cose ultime si parlano.
Nell’ultimo tempo, l’attuale, ritornano i primi movimenti dell’umanità. Lo scoccare è uno di questi pochi primi movimenti che è rimasto identico, puro, inalterabile. Nell’arte dell’arco non può essere scissione fra anima e corpo. Oggi il mondo si fonda su questa dolorosa scissione, che va contro la natura umana che è sia anima che corpo. E va contro nello svalutare il corpo, manipolandolo e usandolo come merce e oggetto e nello svalutare lo spirito, preferendogli suoi morti simulacri. La via dell’arco e l’arco quale via di saggezza insegna invece, mostrandola e richiedendola, aspetti e carismi della nobiltà interiore, l’unione di anima e corpo, lo stile quale perfezione vivente, la continuità fra interno ed esterno. Ogni colpo, come negli scacchi ogni mossa, genera un percorso. Noi non lo vediamo ma ogni atto insegna e prepara al successivo. Si genera un tessuto, una rete, un con-testo. È come la scure del taglialegna. Ogni colpo successivo non è deciso tutto dal taglialegna ma pure dalla resistenza del legno e dalle tracce dei colpi precedenti.
Pensi che la tua mente possa controllare tutte le variabili di un tiro con l’arco. Impossibile. Sembrano poche, come poche sembrano le caselle della scacchiera ma con le loro relazioni il mondo-arco come il sistema-scacchi è una rete non tutta controllabile cerebralmente. Occorre imparare facendo, ripetendo, come insegnava Aristotele. Sono uno dei grandi insegnamenti dell’arco e degli scacchi: si inizia dell’indeterminato e si fa verso la determinazione, verso scelte sempre più decisive, irrevocabili, di valore. La vita ci chiama alla ri-soluzione, alla con-clusione, alla de-cisione. Le radici delle parole illuminano. L’arco riconcilia estetica con etica. Oggi non mancano i valori né le idee né le energie, ma manca un’etica sociale, un’etica della volontà, dell’autodisciplina e una direzione di senso. L’arco educa a tutto questo. E tu sei Raimondo sei la freccia, la più bella, la più preziosa.