La società globalizzata in cui viviamo tutti, è ancora, per molti versi, e per moltissime persone, caratterizzata da una globalizzazione diseguale. Il danaro, le merci, e soprattutto le informazioni, viaggiano a grande velocità, e senza sostanziali impedimenti frontalieri; per gli esseri umani, invece, questa mobilità è ancora assai ridotta, per ragioni variamente economiche, siano esse la ridotta capacità di spesa individuale, o le barriere protezionistiche erette contro i movimenti migratori.
Questo scarto, non solo acutizza la percezione delle diseguaglianze, ma ben rappresenta una delle grandi contraddizioni del tempo presente. La globalizzazione diseguale, infatti, non è che il prodotto di una accelerazione dei processi (economici, sociali, culturali) determinata dallo sviluppo tecnologico, ma soprattutto dalla governance che di questo è stata fatta dalle classi dirigenti mondiali.
A fronte delle infinite possibilità aperte dalla rivoluzione tecnologica digitale, il suo utilizzo è stato orientato verso un rafforzamento della struttura sociale ed economica preesistente, e ciò anche a prescindere dagli ovvi interessi di chi ha puntato a mantenere e moltiplicare i propri profitti. Le classi dirigenti, che si sono formate all’interno di una logica ed una prospettiva che è sostanzialmente quella del mercato, hanno continuato a muoversi in questo alveo, ed in pratica si sono mosse semplicemente in base ad una idea di ‘digitalizzazione’ dell’esistente, in sostanza di un mero adeguamento tecnologico.
Questo gap culturale della politica mondiale è andato a sua volta ad innestarsi su un altro cambiamento radicale, prodotto dalla medesima rivoluzione tecnologica, ovvero lo svincolarsi dalle pregresse forme di controllo statuale che ha ‘liberato’ il capitale finanziario e soprattutto le grandi multinazionali big tech - le cosiddette ‘gafam’ (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft). Questa perdita di controllo da parte dei poteri statuali, a cui gli stessi non hanno né saputo né voluto opporsi, ha ovviamente indebolito l’incisività delle decisioni politiche, rispetto ad un quadro in cui aziende private hanno (anche solo sotto il profilo economico) un potere enorme, con bilanci superiori a quelli di alcuni stati.
Di fatto, il quadro globale è quello di una economia di mercato che domina incontrastata su tutto il pianeta, e che dà in effetti forma alle singole società secondo un modello sostanzialmente unico.
Apparentemente, dunque, ma in realtà anche sostanzialmente, siamo in presenza di una omologazione crescente, che sembra procedere verso una sorta di ‘anarchia del capitale’. I poteri statuali si assottigliano, si riducono, mentre i poteri economici si dilatano, eludendo o soverchiando i primi.
Tutto sembra confermare l’assunto thatcheriano: “There is no alternative”.
Eppure, esiste tutto un mondo che, sia pure in modo sparso, non coordinato, spesso persino inconsapevole, va in un’altra direzione.
Un mondo fatto prevalentemente di persone giovani e competenti, ma anche di eccellenze in vari campi scientifici ed artistici. Quest’altro mondo, forse anche in conseguenza di questa sua natura ‘frammentata’, molteplice, pur muovendosi in direzioni opposte, non confligge col mondo ‘dominante’ - o quanto meno, non ancora in modo evidente.
Tra le due realtà si manifesta in effetti uno sfregamento, qualcosa meno di un vero e proprio attrito. Potremmo dire una frizione.
Ma, ineluttabilmente, questa è destinata a divenire sempre più ‘calda’, sempre più ‘ruvida’. Perchè le linee di attrito sono più d’una, e si incrociano tra di esse. La prima, quella già oggi più evidente, è quella climatica. C’è un mondo la cui parabola esistenziale è al tramonto, che si attacca al presente (ai suoi privilegi) a qualunque costo, e ce n’è un altro che è proiettato di necessità nel futuro, e quindi soffre la minaccia degli sconvolgimenti ambientali prodotti dal vecchio modello di sviluppo.
La seconda, pressoché sovrapponibile, è quella generazionale; le ultime generazioni vs quelle precedenti, per ovvi ed evidenti motivi.
Una terza, è quella economica, poiché aumenta vertiginosamente la polarizzazione tra ricchi e poveri, e - del tutto logicamente - ad ogni nuovo ricco corrispondono centinaia di nuovi poveri, con un continuo depauperamento delle classi intermedie.
La domanda, dunque, è: quando questi ‘sfregamenti’ diventeranno attrito, e quando questo svilupperà un calore tale da incendiare tutto?