Dai tempi di Aristotele, che è morto nel 322 a.C., fino alla metà del XVII secolo si credeva che l’ape regina fosse un re, infatti, era chiamato ape re o ape mastro ed era descritto come un despota assoluto che passava il suo tempo a impartire ordini e a controllare l’operato dei suoi sudditi.
Tra i pochi che avevano intuito l’incredibile perfezione della vita sociale delle api, vi era Sant’Ambrogio, vescovo di Milano (parliamo del IV secolo d.C.) - oggi, non a caso, patrono degli apicoltori - il quale si rivolgeva alla regina, chiamandola “benedetta e meravigliosa ape madre”.
Storicamente l’apicoltura è sempre stata un’occupazione per soli uomini, nonostante l’organizzazione dell’alveare sia l’espressione più evidente di un modello di vita sociale improntato al femminile.
Quello dell’apicoltore non è un lavoro, ma un mestiere. Un mestiere che richiede pazienza, costanza, e soprattutto sensibilità. A questo proposito le donne hanno molto da dire, in effetti, oggi anche loro si cimentano in questa attività con risultati eccellenti.
Le api sono degli insetti sociali evoluti, organizzati secondo un criterio rigidamente matriarcale, tanto da rendere inutile qualsiasi discussione sull’identità di genere.
Da una parte primeggia la figura della regina, che all’interno dell’apiario funge da polo di attrazione, dall’altra quella apparentemente silenziosa delle operarie, che garantiscono l’efficacia dell’intero sistema di gestione, dalla costruzione delle cellette alla pulizia dell’arnia, dalla produzione di cera alla cura e alla nutrizione delle larve, dalla raccolta del nettare alla produzione e all’immagazzinamento del miele.
Le api vivono su diversi piani di esistenza sia come animali terrestri, perché sono completamente immersi nella Natura e attraverso l’impollinazione contribuiscono alla sopravvivenza delle piante e degli animali, sia come esseri cosmici, essendo la loro vita scandita contemporaneamente dalla luce del sole e dalla sua assenza. Infatti, non bisogna dimenticare che, a parte le bottinatrici impegnate nella raccolta del cibo, le operarie assolvono i loro compiti completamente avvolte nel buio.
L’alveare è una specie di ambiente lunare che vive di luce riflessa, trasportata dal nettare reso attivo dai raggi del sole (il miele è una sostanza che incorpora l’energia solare in forma fluida).
La voce della luna è rivolta a quella che gli antichi chiamavano intelligenza del cuore e il cuore pulsante dell’alveare è l’ape regina.
Il compito della deposizione delle uova e del loro destino genetico è affidato solo a lei, ovviamente non prima di aver compiuto il fatidico volo nuziale, durante il quale riesce ad accoppiarsi con vari maschi (fino a dieci-quindici). Questo evento, unico e irripetibile, le permette di immagazzinare gli spermatozoi in un’apposita sacca detta spermateca.
Dalle uova non fecondate nascono esclusivamente maschi (fuchi), le cui cellule aploidi contengono solo i cromosomi della madre, cioè della regina. A volte accade che una cellula uova destinata a diventare maschio venga accidentalmente fecondata da uno spermatozoo. Il frutto di questa “svista” è una larva di sesso maschile con un numero doppio di cromosomi (come le femmine) che però viene prontamente riconosciuta ed eliminata dalle api operaie. L’apparente cinismo di questo gesto è giustificato dal fatto che i maschi affetti da questa anomalia genetica soffrono di atrofia testicolare e di conseguenza manifestano una scarsa capacità riproduttiva.
Invece, le larve delle operaie e quelle delle regine inizialmente sono identiche: tutte derivano da cellule uovo fecondate geneticamente simili, di tipo diploide, cioè dotate di un corredo cromosomico doppio, con 16 cromosomi provenienti dalla madre e 16 appartenenti a un padre difficilmente identificabile. Di conseguenza le operarie risultano divise in vari gruppi di sorelle (stessa madre e stesso padre) e sorellastre (stessa madre e padri diversi).
Pur avendo lo stesso corredo cromosomico, l’ape regina e le operaie di differenziano per il diverso tipo di alimentazione.
Per i primi tre giorni tutte le larve sono nutrite con la pappa reale, dal terzo giorno in poi solo la regina continua a seguire questo particolare regime dietetico. Agli altri membri della comunità viene servito il cosiddetto “pane delle api, composto da una miscela di miele e polline.
Gli effetti di questo cibo ad alto valore nutrizionale trovano spiegazione nei meccanismi di regolazione epigenetica, attraverso i quali un particolare stimolo ambientale può risultare determinante ai fini della regolazione dell’espressione del DNA, attivando o “spegnendo” l’operosità di specifici geni impegnati in funzioni vitali strategiche.