Immobile fui un albero del bosco e seppi cose che prima mi erano ignote.
(E. Pound)
Ho un caro amico silenzioso, libero e saldo. Guardandolo mi insegna cosa è il tempo, la pazienza. Ha radici profonde, è molto saggio perché ha vissuto a lungo, 500 anni o forse il doppio (così misurano il tempo gli uomini, chissà come sarà e quanto sarà il tempo per gli alberi?). I suoi due o tre centimetri di espansione, sono per noi una lunga vita di passioni, tormenti, amori e sogni. Chissà chi ti ha protetto lungo questi secoli, dall’avidità e dall’incuria degli uomini? Forse una mano nascosta, rispettosa e divina.
Questo amico mi insegna che ogni piccolo seme o simpatica ghianda, potrà divenire come lui, se io uomo saprò proteggere quel germoglio spavaldo ed anche il piccolo merlo che porta nella pancia un minuscolo, rosso arillo, futuro albero maestoso.
Sei cresciuto vigilando queste pietre monastiche e magari i tuoi genitori o tuoi nonni sono, con il loro legno, a dare vita ancora al monastero.
Chissà quanti monaci hai ascoltato nei loro profondi tormenti, nelle preghiere, nelle meditazioni, nei dubbi esistenziali. Se fossi monaco vorrei un altare come te, dove celebrare in silenzio la gloria del Creatore, se fossi eremita ti vorrei come mia grotta, mio rifugio; innamorato porterei la mia amata per dirle: “Guarda, il mio amore per te è come questo albero” e quando sarò molto vecchio vorrei riuscire ancora a camminare per venire a dirti: “Io non ci sarò più, non ti scordare di me… ti ho amato”.
Non posso farti visita tutti i giorni, ma sei sempre con me. Quando mi sfrecciano vicino le macchine impazienti e puzzolenti che intridono l’aria, mi vedo sotto la tua chioma, il mio respiro è attorno ai tuoi rami, più libero e più pulito. Quando sono stanco mi appoggio al tuo tronco, quando non ricordo più la bellezza della vita ti abbraccio, quando non riesco ad amare chi mi ama, tu mi ricordi che accogli tutti, generoso, sotto i tuoi rami, senza chiedere niente.
Gli uomini dicono che appartieni all’ordine delle Pinales, alla famiglia delle Taxaceae, al genere Taxus, ma lo sai, la mente umana cataloga, struttura per conoscere e riconoscere perdendo il senso dell’ordine universale. Altre menti dicono che con il tuo legno si possono fabbricare questo o quest’altro, ma sanno solo sfruttare e approfittare senza ringraziare. Non penso solo che sia stato utile solo per archi, frecce, lance, ma che abbia vissuto anche nei manici degli strumenti di artisti e artigiani, nelle penne dei poeti e letterati e nei legni vibranti dei musicisti.
Le leggende e i miti raccontano che sei l’albero della morte, anche per le tue bacche rosse come guance di bimbo che coprono il seme tossico, ma credo che tu non voglia far male a nessuno, ma ricordare che la vita è fatta così: una parte dura, legnosa rivestita da un abito rosso, vitale e fruttuoso.
Sei bello e sono felice quando ti guardo, ma sono addolorato pensando ai denti meccanici di acciaio che mordono, in ogni parte del mondo, per avidità o ignoranza, sterminando i tuoi fratelli, minacciando le tue cugine sequoie, abbattendo i lunghi tronchi che anelano alla luce nelle foreste amazzoniche.
Un tempo di ardori giovanili, inconsapevole che Dio esiste dappertutto, avrei voluto vestirmi delle bianche tonache di questo ordine, ma le pietre di questo luogo sono mute al mio spirito, perché la mia anima vive, soffre e cerca nella vita umana. Ma sono sicuro, sarei stato monaco eretico e dendritico, errante e delirante nei boschi, ubriaco di foglie e fiori.
Chi è il vero abate di quel monastero? Chi conosce le sacre scritture, la parola d’inchiostro di Dio, o tu che mostri la Sua esistenza alzando le tue braccia di legno come lode verso il cielo in continua preghiera?
Le tue radici sono così profonde che ascoltano il battito del cuore pulsante di Madre Terra, succhiano in profondità la sua essenza. Quando sarò anima libera, quanto vorrei depositare la cenere della mia scatola di carne attorno a queste radici, per poter essere succhiato e scorrere insieme alla tua linfa, per nutrire un altro seme, un altro albero, così per l’eternità.
Uno dei poeti più amati, di luoghi lontani assolati dove non nevica mai, ti avrebbe adorato, lasciando questo scritto alla base del tuo tronco, perchè solo dei poeti e dei visionari nutriti da una vena divina è la comprensione della bellezza e delle verità:
Gli alberi sono lo sforzo infinito della terra per parlare al cielo in ascolto.
Quanto vorrei che tu parlassi anche ai più sordi e dicessi loro:
Poiché quando l’uomo starà
così chino verso il suolo
ritornando umilmente
verso il luogo del seme
salirà una linfa d’intelletto
rivolta verso lo Spirito
si costruirà là dove sono i suoi piedi
e la sua testa fiorirà.
Nota
Il mio amico vive accanto all’eremo di Fonte Avellana in provincia di Pesaro-Urbino a 700 metri di altitudine. Il monastero, gemma di religiosità, cultura e storia, è incastonato nel monte Catria. Fondato da S. Romualdo nel 980, S. Pier Damiani lo descrive a Dante nella Divina Commedia:
… E fanno un gibbo che si chiama Catria
di sotto al quale è consecrato un ermo.
È considerato il tasso più longevo in Italia, ma nel resto del pianeta abbiamo esemplari di tra i 1500 e 3000 anni, anche se le datazioni dendrologiche possono risultare non particolarmente esatte causa la particolarità della crescita del tronco che determina delle conformazioni (cordoni di risalita) che rendono difficile la conta degli anelli. Il tasso rappresenta una delle entità vegetali più tossiche in natura per la presenza dell’alcaloide, la tassina, nelle foglie, nei rami e nei semi (racchiusi nell’arillo rosso e innocuo, il cosiddetto frutto).
Ma, secondo il principio secondo il quale, ciò che è velenoso può trasformarsi in farmaco, gli estratti vegetali del tasso vengono utilizzati come chemioterapici in diverse forme tumorali.
Forse i visitatori non sanno, presi dall’aura del luogo, che un altro albero più modesto, ma di grande utilità, è il protagonista del sito, tanto che ne onora la denominazione: Fonte Avellana si riferisce alle avelle, le nocciole; termine che ritroviamo nella definizione botanica di Corylus avellana, il cui etimo ha radici dalla città di Avella in provincia di Avellino nota per le coltivazioni di nocciole.
In termini della visione alchemica-spagirica il tasso è la manifestazione dell’archetipo saturnino, di Kronos, divinità del tempo, ed anche Guardiano della Soglia, linea di confine tra due stati di coscienza: verso la materia cristallizzata e oltre la materia. Per questo una antica tradizione popolare sconsigliava di dormire (che è entrare in un altro piano di consapevolezza) sotto un albero di tasso, per non rischiare la morte (altro cambiamento di stato di coscienza… più radicale).