Una storia d’amore che intreccia sensibilità e umanità. Un giallo ma insolito. È stata la trasposizione cinematografica del romanzo Il bambino nascosto dello scrittore e regista siciliano, Roberto Andò, a chiudere la 78a Mostra internazionale d’arte. cinematografica di Venezia 2021, nella selezione ufficiale Fuori concorso.
Liberamente tratto dall’omonimo libro scritto dello stesso cineasta, che aveva già sperimentato il tema con Viva la libertà, il film vede nel cast Silvio Orlando, Giuseppe Pirozzi nel ruolo del bambino, Lino Musella, Imma Villa, Francesco Di Leva, Gianfelice Imparato e con la partecipazione straordinaria di Roberto Herlitzka.
Con il ritmo incalzante di un giallo, sullo sfondo di una Napoli dal duplice aspetto, dolce, avversa, feroce e segreta, ben narrata e conosciuta, popolare e criminale, che nulla toglie al suo fascino intrinseco, la narrazione salda, inframezzata da dialoghi in napoletano, assume il difficile compito del riscatto di una vita “sbagliata”. Un incontro folgorante e imprevedibile, di affiliazione di due personaggi opposti, un professore di pianoforte, Gabriele Santoro, interpretato da Silvio Orlando, che insegna al Conservatorio di San Pietro a Majella, e un bambino, Ciro Acerno, il debuttante, Giuseppe Pirozzi, figlio di un camorrista, che fa irruzione nell’appartamento del maestro a Forcella, quartiere popolare e problematico di Napoli.
Una città descritta nel suo aspetto più intimo, “cupa e malinconica”, che fa da sfondo a personaggi solitari, intellettuali e “invisibili, che resistono e sopravvivono in una realtà caotica, violenta e complessa. Un’unione fortuita volta a cambiare la vita del ragazzino in fuga e del maestro introverso, uomo borghese che si rivelerà paterno e determinante per Ciro, che nemmeno conosce ma che per lui è capace di affrontare e sfidare tutto.
Due voci lontane, Gabriele e Ciro, che lo sceneggiatore palermitano tuttavia riesce a fondere tra loro e che, dall’isolamento dell’una e dell’altra, formano una coralità che porta alla crescita di ciascuno.
L’elemento che infatti più colpisce del film, oltre alla trama rapida, abbastanza avvincente e che incuriosisce, è proprio la maturazione di ogni personaggio, che riesce a trascinare nel vortice continuo di sentimenti con l’interpretazione, intima, intimistica ed emotiva di Silvio Orlando, un attore “dell’anima”, come lo definisce Andó, affiancato dal talentuoso bambino, Giuseppe Pirozzi.
Gabriele, cinquantenne, è uno scapolo sicuro, “un uomo sterile che si condanna all’invisibilità”, abitudinario dalla routine indissolubile, e che, giorno dopo giorno la convivenza con il ragazzino, riscopre i piaceri di avere qualcuno di cui prendersi cura e la possibilità di amare e di essere amati. Ciro, “ lo scugnizzo”, dieci anni circa, di carnagione chiara, capelli neri e corti, occhi azzurri, intensi, dal suo canto, non sa cosa vuol dire essere bambino, cresciuto in un ambiente familiare criminale con fratelli avvezzi alla delinquenza, “una scheggia impazzita”, che non conosce altro che questa dimensione e prospettiva.
Al fianco del musicista, si riscopre bambino, impara ad abbattere le difese, ad affrontare quell’età dell’innocenza, quell’infanzia negata che gli è stata impedita di vivere. Impara a fidarsi del suo nuovo amico “protettore”, impara a volergli bene così come Gabriele nutre l’affetto sincero che si prova verso un figlio nei suoi confronti, lui che di figli non ne ha mai avuto e mai voluto, riscoprendo così un sentimento che credeva di non possedere.
Un tema di ribellione e riscatto, in cui i due protagonisti, sembrano riafferrare il senso della loro vita, in una società perennemente in conflitto. Un’atmosfera frenetica, tuttavia animata da citazioni culturali, da Gorgia a Sofocle, e riferimenti musicali, da Schumann, Beethoven e Bach, visto la professione dell’insegnante.
Una storia che risveglia l’accoglienza, un rapporto di amicizia e paternità, con il piccolo, Ciro, un legame ricco di sfumature e svariate forme di affetto, cambiamenti improvvisi, la vita con impreviste manifestazioni d’amore. Un’avventura di vita in cui si abbandona ogni riserva morale e in cui bisogna salvare la persona innanzitutto.
Roberto Andò, che attualmente dirige il Teatro Mercadante di Napoli, unisce realtà opposte, quella criminale e culturale, con discrepanze di linguaggi, in una lezione di vita, che ci insegna ad affrontarla in tutte le sue forme, con grande apertura a orizzonti morali, provando a cambiare i destini che sembrano segnati per sempre.
“Il cuore del film è la rivelazione di un rapporto misterioso, la creazione di una nuova famiglia - svela il regista sul personaggio del maestro -non è un padre naturale ma riconosce nel bambino un sentimento d’amore come quello della paternità. Un tema delicato che fa parte della vita civile. E in più capisce che l’arte non basta da sola, è consolazione, elaborazione del mondo”.